11 Maggio 2016

Il decreto ministeriale sui criteri di approvazione dei programmi di Cigs

di Giovanna Carosielli

 

I caratteri comuni delle misure di sostegno al reddito

In attuazione dei criteri contenuti nella L. n.183/14, il D.Lgs. n.148/15 ha modificato la disciplina degli ammortizzatori sociali, prevedendo una sorta di Testo Unico di misure di sostegno al reddito, con l’obiettivo di segnare il passaggio da area di parcheggio dei lavoratori a vero strumento di gestione della crisi, disciplinando in modo unitario gli istituti, anche per le ipotesi di Cigo, in merito a:

  • ambito soggettivo di intervento;
  • misura della prestazione;
  • durata complessiva del trattamento;
  • contributo addizionale;
  • modalità di erogazione del contributo.

Infatti, giusta art.1, D.Lgs. n.148/15, beneficiano dei trattamenti di integrazione salariale tutti i lavoratori subordinati assunti a tempo indeterminato, compresi gli apprendisti con contratto di apprendistato professionalizzante ed esclusi i dirigenti e i lavoratori a domicilio, che, al momento di presentazione dell’istanza, vantino un’anzianità di effettivo lavoro di almeno 90 giorni all’interno dell’unità produttiva interessata dal provvedimento. Intervenuta sul punto, la circolare n.24/15 del Ministero del Lavoro ha chiarito che vanno contemplati anche i giorni di ferie, festività, infortuni, nonché, giusta sentenza della Corte Costituzionale n.423/95, l’astensione obbligatoria a seguito di maternità, sussistendo viceversa dubbi sulla computabilità del periodo di malattia. Altresì, è conservata la previsione che contempla nell’anzianità di effettivo lavoro il periodo di impiego del dipendente nell’attività appaltata nel caso di subentro nell’appalto di altro datore di lavoro. L’entità della prestazione è pari all’80% della retribuzione globale spettante al lavoratore per ora non svolta, calcolata per ciascuna settimana e con previsione di un massimale; è prevista una durata complessiva differenziata in ragione della specifica causale di intervento, mentre il contributo addizionale, non dovuto nel caso di evento oggettivamente inevitabile, è legato all’effettivo utilizzo del rimedio integrativo del reddito, nonché calcolato sulla base della retribuzione globale che sarebbe spettata al dipendente per le ore di lavoro non prestate. Comune è, infine, la modalità di erogazione del trattamento mediante un’anticipazione datoriale e suo rimborso e/o conguaglio, entro 6 mesi dalla fine del periodo di paga nel quale scade l’erogazione, salva l’ipotesi di pagamento diretto da parte della sede Inps territorialmente competente, a fronte di “serie e documentate difficoltà finanziarie dell’impresa”, giusta art.7, co.4 e 5, D.Lgs. n.148/15, emergenti da un indice di liquidità, “calcolato come rapporto tra liquidità immediate e passività correnti (…) manifestamente negativo – con valore inferiore all’unità”.

Per quanto attiene al campo di applicazione, ai sensi dell’art.20, D.Lgs. n.148/15, possono beneficiare dei trattamenti di Cigs le imprese appartenenti a determinati àmbiti produttivi e con requisiti dimensionali che, nel semestre precedente la data di presentazione della domanda, abbiano occupato, rispettivamente, più di 15/50 dipendenti, compresi dirigenti e apprendisti, ovvero a prescindere dal numero dei dipendenti se appartenenti a particolari categorie. In proposito, la circolare n.30/15 del Ministero del Lavoro ha chiarito che rientrano nel predetto campo applicativo anche le imprese cooperative e i consorzi che manipolano e trasformano i prodotti agricoli, essendo l’attività di manipolazione inclusa in quella di trasformazione, nonché le cooperative e i consorzi che commercializzano detti prodotti.

 

Le causali di Cigs: la riorganizzazione aziendale

Ai sensi dell’art.22, co.1, D.Lgs. n.148/15, la Cigs può esser richiesta per:

  • riorganizzazione aziendale;
  • crisi aziendale, esclusi dal 1° gennaio 2016 i casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda/suo ramo;
  • contratto di solidarietà.

La riorganizzazione aziendale, comprensiva per orientamento di prassi così dell’ipotesi di ristrutturazione (cambiamento delle tecnologie), come di quella di conversione aziendale (variazione dell’attività), deve volgere a una piena attività lavorativa, recuperando i lavoratori interessati dalla sospensione/riduzione dell’orario di lavoro, affrontando mediante un piano di intervento le inefficienze gestionali o produttive, con indicazione degli investimenti e dell’eventuale formazione dei lavoratori che l’azienda intende compiere. Per espressa previsione di legge, la Cigs può durare fino a 24 mesi, anche continuativi, nel quinquennio mobile, non più prorogabile per particolarità dei processi produttivi e per complessità legate alle ricadute occupazionali.

Il decreto ministeriale n.94033/16 ha dettagliato i programmi di Cigs, stabilendo al proprio art.1 la contestuale presenza dei seguenti criteri in caso di riorganizzazione aziendale:

  • programma per fronteggiare le inefficienze gestionali, produttive o commerciali, da adottare anche nel caso di ridefinizione dell’assetto societario e del capitale sociale, di ricomposizione dell’assetto imprenditoriale o della sua articolazione produttiva;
  • investimenti per impianti/attrezzature legate al processo produttivo e per la formazione/riqualificazione del personale;
  • obbligo per gli investimenti del programma riferito alle unità produttive interessate dalla Cigs di avere un valore medio annuo superiore a quelli di uguale tipologia posti in essere nel biennio precedente;
  • collegamento funzionale e motivazione nell’entità e nei tempi delle sospensioni dal lavoro rispetto al processo di riorganizzazione;
  • integrabilità fino all’80% delle ore lavorabili nell’unità produttiva, nel prospetto temporale indicato nel programma (dal 24 settembre 2017);
  • previsioni di recupero occupazionale, attuato mediante rientro in azienda dei lavoratori sospesi, il loro riassorbimento presso altre unità produttive della medesima impresa ovvero di altre imprese o, infine, tramite altre iniziative volte a una gestione non traumatica dei lavoratori, essendo necessario dettagliare le modalità di gestione degli esuberi;
  • esplicite indicazioni di copertura finanziaria degli investimenti programmati.

Rispetto ai criteri in precedenza adottati, viene meno la percentuale del rapporto tra i lavoratori interessati dai processi formativi e quelli sospesi, che non poteva essere inferiore al 30%: l’eliminazione di tale requisito è ragionevolmente ascrivibile alla degradazione in facoltà dell’obbligo aziendale di previsione di attività di formazione del personale contenuto nel programma di interventi per fronteggiare le inefficienze poste alla base della riorganizzazione. In base alle nuove indicazioni ministeriali, quindi, la riorganizzazione aziendale deve costituire l’occasione per effettuare un consistente recupero occupazionale, mediante effettivi investimenti su attrezzature/riqualificazione personale apprezzabili in termini quantitativi (il valore medio annuo), nonché sospensioni dal lavoro funzionali al piano di intervento e motivate in relazione alla loro durata e al numero di lavoratori coinvolti. Che la ratio di tale causale sia la piena attività lavorativa è ricavabile dalla triplice modalità per ottenere un recupero occupazionale, la cui consistenza è data tanto da misure nominate – il rientro dei lavoratori nell’unità produttiva interessata dalla Cigs ovvero presso altre unità produttive della medesima azienda o di altre – quanto da provvedimenti atipici, le iniziative di gestione dei lavoratori, appunto, proposte unilateralmente dall’azienda e/o concertate con le organizzazioni sindacali, unite alla dettagliata gestione degli eventuali esuberi strutturali. La formulazione utilizzata nel decreto non sembra lasciare dubbi sull’effettiva capacità – e non mera idoneità o possibilità – del piano di recupero occupazionale di limitare al massimo le eccedenze di personale, costituendo tale elemento il fulcro centrale, al cospetto del quale andrà compiuto l’apprezzamento in termini positivi del programma, con conseguente approvazione. Infine, il decreto ministeriale prevede che, escluso quello relativo al valore medio annuo, i nuovi criteri vengano considerati anche in relazione ai programmi di riorganizzazione aziendale già in essere al momento della sua emanazione.               

 

La crisi aziendale

La seconda causale di Cigs è rappresentata dalla crisi aziendale, inclusiva, per espressa precisazione ministeriale, della crisi per andamento involutivo/negativo, per un evento improvviso e, fino al 31 dicembre 2015, per cessazione dell’attività. La ratio della Cigs de qua è la continuazione dell’attività produttiva e la salvaguardia dei posti di lavoro, ottenute mediante un piano di risanamento che, fronteggiati gli squilibri di tipo produttivo, finanziario, gestionale o derivanti da fattori esterni, indichi gli interventi da adottare e gli obiettivi concretamente raggiungibili in relazione alle finalità indicate. In ragione di ciò, tale causale non può durare più di 12 mesi, anche continuativi, per ciascuna unità produttiva, dovendo decorrere un periodo pari ad almeno due terzi di quello precedentemente concesso, pena l’infruttuosità, e conseguente inutilità, del medesimo piano adottato.

L’art.2 del citato decreto ministeriale prevede la contestuale presenza dei seguenti criteri per l’approvazione del programma di crisi aziendale:

  • evidenza di un andamento negativo/involutivo derivante dagli indicatori di bilancio (fatturato, risultato operativo e d’impresa, indebitamento) complessivamente considerati nell’ultimo biennio e motivato da relazione tecnica redatta dall’azienda;
  • accertato ridimensionamento/stabilità dell’organico aziendale, con assenza di nuove assunzioni, specie se incentivate da agevolazioni contributive/finanziarie, con obbligo aziendale di motivare le assunzioni compiute/da compiere nel periodo di Cigs e la loro compatibilità con la causale invocata;
  • definizione nel piano di risanamento degli interventi correttivi per fronteggiare gli squilibri individuati;
  • finalità del piano di risanamento di continuazione dell’attività e di salvaguardia, pur parziale, dell’occupazione e piano di gestione degli esuberi durante la Cigs ovvero al suo termine.

Nel caso in cui la crisi aziendale sia dovuta a un evento improvviso e imprevisto, è obbligo dell’azienda dar conto dell’imprevedibilità dell’evento, della sua autonomia rispetto alla crisi e della rapidità con cui ha prodotto effetti negativi, elaborando un piano di risanamento che, pur prescindendo dai dati sull’andamento negativo e sulla consistenza dell’organico, contenga le contromisure che l’azienda intende adottare per continuare l’attività e proteggere l’occupazione. Non costituiscono oggetto di istanza di Cigs per la causale in parola le richieste avanzate da aziende con attività avviata nel biennio antecedente la medesima domanda, ovvero non avviata proprio – posto che in entrambi i casi non sarebbe possibile verificare l’andamento negativo/involutivo – ovvero interessate da trasformazioni societarie avvenute nel biennio precedente, salvo che le medesime riguardino imprese con assetti proprietari nella sostanza coincidenti e volti al contenimento dei costi gestionali, ovvero, pur senza assetti proprietari coincidenti, implichino un risanamento aziendale e tutela occupazionale a carico delle imprese subentranti.

In base ai criteri indicati nel decreto ministeriale, quindi, la spirale negativa interessante l’azienda, dimostratane la causa, va fronteggiata con un programma di interventi correttivi finalizzati alla prosecuzione dell’attività e dell’occupazione, dovendo gli eventuali esuberi strutturali esser gestiti tramite un piano dettagliato. 

Infine, per entrambe le causali di Cigs è prevista una procedura sindacale snella e contingentata nei tempi, con comunicazione datoriale alle Rsa/Rsu e alle articolazioni territoriali delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale della causale di integrazione salariale invocata, dell’entità, durata prevedibile e numero dei lavoratori interessati. Entro 3 giorni, una delle parti sociali presenta domanda di esame congiunto della situazione aziendale, avente ad oggetto:

  • il programma da attuare, la sua durata e il numero dei lavoratori interessati dal trattamento;
  • le ragioni che rendono non praticabili forme alternative di riduzione di orario;
  • le misure per la gestione di eventuali eccedenze di personale;
  • i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere in coerenza con le ragioni dell’intervento;
  • le modalità di rotazione tra i lavoratori o le ragioni tecnico-organizzative per cui non è possibile effettuare la rotazione.

Entro 25 giorni – ridotti a 10 per aziende fino a 50 lavoratori – decorrenti dal giorno successivo alla presentazione dell’istanza, la procedura deve esser conclusa.

 

Il contratto di solidarietà

Sensibilmente innovando rispetto al passato, il D.Lgs. n.148/15 affida alle causali di ricorso ai trattamenti di integrazione salariale – unitamente alla previsione di limitazione delle ore integrabili rispetto a quelle lavorabili nell’unità produttiva interessata, alla ridotta durata degli interventi e all’effettivo utilizzo del rimedio quale base di calcolo del contributo addizionale – la preferenza della riduzione di orario rispetto alla sospensione del lavoro, in particolare prevedendo che il contratto di solidarietà di tipo difensivo costituisca la principale causale di accesso al sostegno al reddito, come previsto dall’art.24, co.4, D.Lgs. n.148/15, alla cui stregua: “Salvo il caso di richieste di trattamento presentate da imprese edili e affini, le parti devono espressamente dichiarare la non percorribilità della causale di contratto di solidarietà di cui all’art.21, co.1, lettera c)”.

In proposito, la dottrina si è posta due interrogativi:

  1. in primo luogo, se sia sufficiente che le parti concordino sull’impossibilità del contratto di solidarietà, ovvero se sia necessario un diverso presupposto, ancorché implicito;
  2. altresì, se l’adottabilità di altri strumenti sia consentita nel caso di mancato accordo, visto che il testo di legge si riferisce a una dichiarazione congiunta.

Mentre per il primo dubbio ermeneutico è possibile fornire una risposta positiva, anche sulla scorta dell’orientamento di prassi, in relazione al secondo l’inequivoca formulazione normativa presupporrebbe una concorde valutazione dei presupposti oggettivi di ricorso agli ammortizzatori sociali.

Ai sensi dell’art.21, co.5, D.Lgs. n.148/15, i contratti collettivi aziendali di cui all’art.51, D.Lgs. n.81/15, stabiliscono una riduzione media dell’orario di lavoro non superiore al 60% dell’orario giornaliero, settimanale o mensile dei lavoratori interessati dall’accordo. Innovando rispetto al passato, il D.Lgs. n.148/15 stabilisce che la riduzione oraria per ciascun lavoratore non possa superare il 70% nell’arco dell’intero periodo di stipulazione del contratto di solidarietà, mentre il trattamento di integrazione salariale è ridotto in ragione di eventuali successivi aumenti retributivi a seguito di negoziato aziendale. Altresì, le quote di Tfr riferite alla retribuzione persa dai lavoratori a fronte della riduzione di orario grava sulla relativa gestione, salvo che non si riferisca a lavoratori licenziati per motivo oggettivo o nel corso di una procedura di licenziamento collettivo verificatisi entro 90 giorni dalla fine del trattamento o di un ulteriore periodo di Cigs. L’accordo di solidarietà – che può durare fino a 24 mesi, anche continuativi, nel quinquennio di riferimento, con possibilità di un ulteriore periodo di 12 mesi se l’azienda ha fatto ricorso soltanto a tale causale – non richiede una particolare procedura sindacale, dovendo l’accordo specificare le modalità di soddisfazione di eventuali esigenze di maggior lavoro, con possibilità di modifica in aumento dell’orario ridotto, pur restando nei limiti del normale orario di lavoro. Infatti, come precisato dall’art.4, co.2, D.M. citato, la modalità di esercizio della deroga alla riduzione di orario concordata, dovuta a temporanee esigenze di maggior lavoro, deve esser contenuta nel contratto e comunicata al competente ufficio del Ministero del Lavoro e dell’Inps, laddove, se la deroga in parola implica una maggiore riduzione di orario, occorre stipulare un nuovo contratto di solidarietà, come già chiarito in un precedente orientamento di prassi (Ministero del Lavoro, interpello n.27/12). Lo stesso D.M. prevede l’inammissibilità del beneficio per contratti di lavoro a termine stipulati per soddisfare temporanee esigenze produttive legate a fenomeni di tipo stagionale, nonché nelle ipotesi di fine lavoro e fase lavorativa nei cantieri edili, dovendo il medesimo accordo distinguere a livello nominativo i dipendenti edili inseriti nella struttura permanente rispetto a quelli impiegati nelle fasi produttive temporanee.
Altresì, i lavoratori interessati dal contratto di solidarietà non possono svolgere, in via generale, prestazioni di lavoro straordinario, laddove i contratti part-time rientrano nel trattamento ove l’azienda ne dimostri il carattere strutturale rispetto all’organizzazione del lavoro, essendo altresì possibile la trasformazione dei contratti a tempo pieno in tempo parziale e viceversa, ove ciò sia funzionale alle esigenze dei lavoratori e sempre nel rispetto della percentuale di riduzione media stabilita nell’accordo. Le riportate disposizioni ministeriali sono coerenti con le finalità dell’istituto, che, nel responsabilizzare l’azienda nella richiesta di accesso allo strumento di integrazione al reddito, intende scongiurarne un uso improprio, rendendo invocabile il rimedio solo quando sussista l’effettiva necessità di evitare ripercussioni negative sull’organico aziendale. Pertanto, alcun ammortizzatore sociale di questo tipo può esser concesso per integrare le retribuzioni di lavoratori non rientranti in modo stabile nell’organizzazione produttiva, perché soddisfacenti necessità estemporanee, stante il carattere assertivo della formulazione utilizzata nell’art.3, co.3, D.M. citato. Viceversa, la compatibilità del lavoro straordinario eseguito da dipendenti interessati dal contratto di solidarietà, di difficile coniugazione in astratto, può trovare applicazione concreta ove adeguatamente motivato dall’azienda: così è argomentabile dall’esordio “possibilista” dell’art.4, co.3, D.M., per il quale lo straordinario non è ammesso per i lavoratori posti in solidarietà, “in linea generale”, appunto. Altresì, il consueto divieto di attivare procedure di licenziamento collettivo in pendenza di contratto di solidarietà cede, a mente dell’art.4, co.4, D.M., per evitare una gestione traumatica degli esuberi di personale ove manchi l’opposizione dei lavoratori.                  

Vale infine rilevare che, avendo l’art.46, D.Lgs. n.148/15, abrogato, dal 1° luglio 2016, l’art.5, L. n.236/93 sui contratti di solidarietà di tipo B, la circolare del Ministero del Lavoro n.8/16 ha precisato che le aziende non rientranti nel campo di applicazione della Cigs potranno stipulare detti contratti entro il 30 giugno 2016 e, in ogni caso, fino al 31 dicembre 2016, giusta art.1, co.305, L. n.208/15. Pertanto, i contratti di solidarietà:

  • stipulati fino al 15 ottobre 2015 saranno applicati per l’intera durata dell’accordo prevista dal verbale;
  • sottoscritti dopo il 15 ottobre 2015 troveranno applicazione fino al 31 dicembre 2016, pur diversamente prevedendo l’accordo delle parti, con mancato riconoscimento del trattamento di integrazione salariale per il periodo ulteriore.

 

I profili ispettivi degli ammortizzatori sociali

In conclusione, appare utile soffermarsi, seppur in modo sintetico, sui risvolti ispettivi derivanti dalla nuova disciplina degli ammortizzatori sociali. Innanzitutto, come precisato dal Ministero del Lavoro, il personale di vigilanza dovrà verificare l’esistenza dei parametri soggettivi e oggettivi previsti per ciascuna causale di intervento salariale, ivi compresa l’ipotesi di difficoltà finanziaria che legittima il pagamento diretto, effettuando le dovute verifiche nei 3 mesi antecedenti la conclusione dell’intervento salariale, con invio della relazione entro 30 giorni dalla conclusione del medesimo intervento integrativo, laddove, se è stato richiesto il pagamento diretto, l’accertamento ispettivo dovrà avere luogo entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza. Un ulteriore profilo di rilievo ispettivo attiene alla mancata rotazione dei lavoratori interessati dalla sospensione/riduzione oraria, ovvero dall’assenza delle ragioni tecnico-organizzative inibenti tale meccanismo, con contestuale incremento del contributo addizionale a carico dell’azienda previsto dall’art.24, co.6, D.Lgs. n.148/15, e definito in un successivo decreto ministeriale.

È, infine, ravvisabile un profilo ispettivo nel caso in cui un lavoratore, destinatario di una misura di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro, sia occupato presso un altro datore senza un regolare contratto e/o senza previa informazione all’Inps territorialmente competente, continuando quindi a beneficiare dell’integrazione reddituale, malgrado l’attività lavorativa di fatto prestata e remunerata: in tali circostanze, accanto alle sanzioni per lavoro “nero” da contestare al datore di lavoro irregolarmente occupante il lavoratore, non è possibile escludere, a carico di quest’ultimo, conseguenze negative – consistenti, a titolo esemplificativo, nella riduzione/perdita del beneficio – a seguito della prevedibile informativa che il personale ispettivo dovrà compiere agli uffici competenti.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Il giurista del lavoro“.