14 Settembre 2022

Gestione del doppio rapporto di lavoro: le novità dal Decreto Trasparenza

di Francesco Capaccio

Il presente articolo si prefigge di analizzare, anche alla luce della novella di cui al Decreto Trasparenza, D.Lgs. 104/2022, gli adempimenti del datore e del lavoratore, nonché i controlli datoriali, nell’ipotesi in cui un subordinato intenda svolgere un secondo lavoro. Pur non esistendo un divieto di cumulo di impieghi, in particolare nel settore privato, debbono – ex adverso – essere garantite condizioni di lavoro adeguate, donde specifici obblighi datoriali da osservare.

 

Il cumulo degli impieghi lavorativi: diritto (vincolato) dei lavoratori

Il recente (contestatissimo) Decreto Trasparenza, recte il D.Lgs. 104/2022, pubblicato sulla G.U. n. 176/2022, ha codificato normativamente il principio che la giurisprudenza e la prassi avevano sempre affermato: il datore di lavoro, fatto salvo il diritto all’integrità psico-fisica e l’obbligo di fedeltà, non può impedire al proprio lavoratore subordinato lo svolgimento di altra attività lavorativa.

Più in dettaglio, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13196/2017, aveva affermato che “è nulla, con conseguente illegittimità del licenziamento intimato in ragione della sua violazione, la clausola del regolamento aziendale che disponga l’incompatibilità fra il rapporto di lavoro (anche a tempo parziale) intercorrente con l’azienda e ogni altra occupazione o attività, limitando in tal modo il diritto del lavoratore in regime di part-time di poter svolgere un’altra attività lavorativa”.

Parimenti, e ancor prima, il Ministero del lavoro, con la circolare n. 8/2005, punto 12, rubricato “riposo giornaliero”, aveva testualmente precisato “poiché non esiste alcun divieto di essere titolari di più rapporti di lavoro non incompatibili, il lavoratore ha l’onere di comunicare ai datori di lavoro l’ammontare delle ore in cui può prestare la propria attività nel rispetto dei limiti indicati [undici ore di riposo nelle 24 ore] e fornire ogni altra informazione utile in tal senso”.

A riguardo dei riposi giornalieri (articolo 7, D.Lgs. 66/2003), il Ministero del lavoro, con risposta a interpello n. 4581/2006, aveva – altresì – avuto modo di precisare che “nelle ipotesi di cumulo di più rapporti di lavoro a tempo parziale con più datori di lavoro, resta fermo l’obbligo del rispetto dei limiti di orario di lavoro e del diritto al riposo settimanale del lavoratore, come disciplinati dal D.lgs. n. 66/2003”.

Va peraltro ricordato che, così come ribadito dal Ministero del lavoro con la risposta a interpello n. 1769/2006, “l’art. 7 del d.lgs. n. 66 non può infatti essere interpretato (come conferma la Circolare n. 8 del 2005) che nel senso di stabilire un obbligo di riposo consecutivo di 11 ore per ogni periodo di 24 ore, vale a dire per ogni periodo di 24 ore a partire dall’inizio della prestazione lavorativa[1].

Nel settore pubblico, invece, la situazione in esame era già disciplinata dall’articolo 53, D.Lgs. 165/2001, che, come vedremo, continua a essere il riferimento normativo, atteso l’espresso rinvio contenuto nel Decreto Trasparenza.

Sul punto, si segnala il recentissimo intervento della Corte nomofilattica, che, con la sentenza n. 22497/2022, ha precisato che i dipendenti pubblici con un part-time non superiore al 50% possono instaurare rapporti con altri enti anche in assenza di autorizzazione da parte della Pubblica Amministrazione di appartenenza.

La Suprema Corte, infatti, ha respinto il ricorso di un Comune, che, dopo aver concesso il part-time a un proprio dipendente, lo aveva licenziato dopo essersi accorto che aveva instaurato un secondo rapporto di lavoro, a tempo parziale, con un Municipio non lontano, senza averne dato alcuna comunicazione. Licenziato, l’impiegato ha proposto ricorso. In entrambi i gradi di merito, i giudici gli hanno dato ragione sul presupposto che, essendo impiegato a tempo parziale per 18 ore (al 50%), non era soggetto alla disciplina autorizzativa degli incarichi ex articolo 53, commi 7-13, T.U. pubblico impiego, trovando piuttosto applicazione la deroga prevista dall’articolo 53, comma 6.

L’attuale fonte normativa, sia per i rapporti privati che per quelli pubblici, è, come si diceva, l’articolo 8, D.Lgs. 104/2022. Detta disposizione prevede testualmente:

1. Fatto salvo l’obbligo previsto dall’articolo 2105 del codice civile, il datore di lavoro non può vietare al lavoratore lo svolgimento di altra attività lavorativa in orario al di fuori della programmazione dell’attività lavorativa concordata, né per tale motivo riservargli un trattamento meno favorevole.
2. Il datore di lavoro può limitare o negare al lavoratore lo svolgimento di un altro e diverso rapporto di lavoro qualora sussista una delle seguenti condizioni:
     a) un pregiudizio per la salute e la sicurezza, ivi compreso il rispetto della normativa in materia di durata dei riposi;
     b) la necessità di garantire l’integrità del servizio pubblico;
     c) il caso in cui la diversa e ulteriore attività lavorativa sia in conflitto d’interessi con la principale, pur non violando il dovere di fedeltà di cui all’articolo 2105 del codice civile.
3. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche al committente nell’ambito dei rapporti di lavoro di cui all’articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile e di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81.
4. Resta ferma la disciplina di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano ai lavoratori marittimi e ai lavoratori del settore della pesca”.

Dalle previsioni normative appena citate e le interpretazioni giurisprudenziali e di prassi è possibile estrapolare il seguente corollario

  1. è possibile, per il dipendente[2] e per il lavoratore parasubordinato[3], svolgere, in costanza di rapporto di lavoro[4], un’altra attività lavorativa;
  2. detta (seconda) attività non deve essere svolta durante l’orario di lavoro con il (primo) datore di lavoro;
  3. l’attività lavorativa non deve violare l’obbligo di fedeltà del lavoratore di cui all’articolo 2105, cod. civ., e, in ogni caso, sia in conflitto d’interesse con la principale;
  4. l’attività lavorativa (secondaria) non deve recare pregiudizio per la salute e la sicurezza del lavoratore, con particolare riferimento alla normativa sui riposi;
  5. il lavoratore che si dedichi (anche) ad altra attività lavorativa, fermi i limiti di cui sopra, non può essere discriminato – sia normativamente, sia economicamente.

Va tenuto presente che l’integrazione di anche uno dei requisiti di cui ai precedenti punti da 2 a 4 comporterà il diritto del datore di limitare o negare al lavoratore la possibilità di attendere un ulteriore lavoro.

 

Il rispetto dell’obbligo di fedeltà, ex articolo 2105, cod. civ., e, in generale, la situazione di conflitto d’interessi

La disposizione in commento – articolo 8, D.Lgs. 104/2022 – pone, a carico del lavoratore, una serie di vincoli che debbono essere osservati al fine di poter svolgere un’ulteriore attività lavorativa.

In particolare, la prima restrizione concerne la previsione di cui all’articolo 2105, cod. civ., così come indicato al comma 1.

Più in dettaglio, l’articolo 2015, cod. civ., prevede che “il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore [melius datore di lavoro], né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.

Detta previsione, oltre che costituire una (classica) ipotesi che può dar luogo, nel rispetto della procedura di cui all’articolo 7, L. 300/1970, a sanzioni disciplinari, potrebbe anche assumere un rilievo penale. Deve, infatti, tenersi presente quanto disposto dall’articolo 622, c.p., laddove è declinato il reato, punibile a querela della persona offesa, che va sotto la rubrica di “rilevazione del segreto professionale”.

In particolare, la norma penale prevede che

I. Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da 30 euro a 516 euro.

II. La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società”.

Tuttavia, si rende necessario precisare che l’articolo 8, comma 2, lettera c), Decreto Trasparenza, impone, altresì, un’interpretazione ancora più rigorosa e restrittiva dell’articolo 2105, cod. civ.. Vi è, infatti, espressamente previsto che l’ulteriore attività, anche se non viola il dovere di fedeltà di cui all’articolo 2105, cod. civ., non deve – in ogni caso – porsi in conflitto d’interessi con la principale.

La nozione di conflitto di interessi indica quella situazione in cui, nello svolgimento di un’attività di rilievo privato o pubblico, un individuo sia tenuto a realizzare un c.d. interesse primario che pertiene ad altri e che, per caso, può trovarsi in contrasto con un suo personale interesse (definito come secondario).

La precisazione trova certamente un’agevole individuazione del campo di applicazione in tutti quei rapporti, declinati al comma 3, che non si sostanziano in un vero e proprio contratto di lavoro subordinato. Il riferimento, expressis verbis, è a quei rapporti di collaborazione, ex articoli 409, c.p.c., e 2, comma 1, D.Lgs. 81/2015, nei quali l’obbligo di fedeltà, ex articolo 2105, cod. civ., non trova una specifica attuazione.

Tuttavia, la violazione del conflitto d’interessi[5] ben potrebbe trovare albergo nei rapporti di lavoro subordinato, con particolare riferimento al lavoro pubblico[6]. Così, ad esempio, il dipendente privato che lavori contemporaneamente presso il committente e l’appaltatore di una prestazione di servizi, ovvero il dipendente di un consulente del lavoro che svolga contemporaneamente attività lavorativa, quale impiegato, nell’area delle risorse umane in una società cliente del consulente.

È evidente che, di fronte a tale situazione, si potrebbe verificare un conflitto di interessi (si pensi, ad esempio, all’influenza che il dipendente della società/committente potrebbe esercitare sulla scelta di rinnovare il contratto di appalto ovvero di consulenza).

Pertanto, nei casi di cui all’articolo 2105, cod. civ., ovvero di conflitto d’interessi, come sopra evidenziato, il datore di lavoro principale (detentore del primo contratto) potrebbe limitare o, finanche, negare al lavoratore, che gliene abbia fatto richiesta, l’assenso allo svolgimento di altra attività lavorativa.

Parimenti, verificatosi, successivamente al momento genetico del contratto, il conflitto d’interesse, ciascuno dei 2 datori potrebbe attivare una procedura di contestazione disciplinare, ex articolo 7, L. 300/1970.

Resta fermo che, in ogni caso, fermi gli obblighi di cui all’articolo 2105, cod. civ., e l’assenza di un conflitto d’interessi, l’attività lavorativa presso il secondo datore/committente deve svolgersi in orario differente rispetto al principale (recte primo datore).

 

Il rispetto dell’integrità psico-fisica del lavoratore

L’articolo 8, comma 2, lettera a), Decreto Trasparenza, prevede che la (seconda) attività lavorativa deve svolgersi senza recare “pregiudizio per la salute e la sicurezza, ivi compreso il rispetto della normativa in materia di durata dei riposi”.

Il riferimento, oltre che alle norme antinfortunistiche, è chiaramente al decreto delegato 66/2003 e, in particolare, agli articoli 4 (durata massima settimanale dell’orario di lavoro), 7 (riposo giornaliero), 9 (riposo settimanale).

Infatti, la violazione di tali disposizioni è tale da incidere (id: comporta un pregiudizio) sulla salute e sicurezza del lavoratore.

Con riferimento alla durata settimanale massima, l’articolo 4, comma 2, D.Lgs. 66/2003, prevede che “la durata media dell’orario di lavoro non può in ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le quarantotto ore, comprese le ore di lavoro straordinario[7].

Tale primo limite da osservare va, in particolare, tenuto presente per i rapporti part-time. Difficilmente, infatti, il lavoratore full time avrà spazio per un’ulteriore attività lavorativa – quale subordinato – presso un altro datore di lavoro. In quest’ultimo caso, infatti, il rapporto potrà essere instaurato per un massimo di 8 ore, da svolgere – necessariamente – in giorni e/o una fascia oraria differente da quella del datore full time.

In assenza di specifiche disposizioni, si può ritenere, in ragione del disposto di cui all’articolo 1, comma 2, lettera c), D.Lgs. 66/2003[8], che, nel caso di un lavoratore che intrattenga doppio rapporto lavorativo di cui uno full time (40 h/sett.) e l’altro part-time (8 h/sett.), le ore di questo secondo rapporto (part-time) vadano retribuite come “ordinarie” e non come “straordinarie”. Il limite, durata massima della prestazione (48 ore), opera esternamente ai singoli rapporti; mentre, da un punto di vista economico, il superamento del limite ordinario (40 h/sett.) va verificato internamente al singolo rapporto.

Il secondo limite che va verificato è quello dei riposi giornalieri. La disposizione in esame, articolo 7, D.Lgs. 66/2003, prevede che, “ferma restando la durata normale dell’orario settimanale, il lavoratore ha diritto ha undici ore di riposo consecutivo[9] ogni ventiquattro ore”.

Il riposo va determinato, come già precisato, tenendo conto che le 24 ore partono dall’inizio della prestazione lavorativa.

Quindi un’attività che inizia alle 9:00 di un giorno e si conclude alle 18:00 dello stesso, per poi riprendere alle 9:00 del giorno successivo, soddisfa pienamente la previsione di cui all’articolo 7. Infatti, dalle 9 del giorno x alle 9 del giorno x+1 (prestazione successiva) si raggiungono le 24 ore, mentre il riposo – nell’arco delle predette 24 ore – è di 15 ore (dalle 18:00 del giorno x alle 9:00 del giorno x+1).

Il terzo limite è quello del riposo settimanale. L’articolo 9, D.Lgs. 66/2003, prevede espressamente che “il lavoratore ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero di cui all’art. 7. Il suddetto periodo di riposo consecutivo è calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni[10].

Pertanto, la compatibilità di più impieghi, subordinati e/o parasubordinati, va verificata alla luce delle richiamate previsioni degli articoli 4 (non oltre le 48 ore settimanali), 7 (almeno 11 ore di riposo in un arco temporale di 24 decorrenti dall’inizio della prestazione) e 9 (almeno 35 ore consecutive di riposo nell’arco di 7 giorni lavorativi).

 

Obblighi del datore di lavoro: check list

L’analisi delle disposizioni normative finora condotta, in uno a quelle in materia previdenziale di cui meglio funditus, consentono di stilare una lista degli adempimenti che un datore di lavoro deve rispettare a fronte della richiesta di un proprio lavoratore subordinato – part-time ovvero full time – di intraprendere un secondo lavoro.

In primis, alla luce della novella introdotta dal Decreto Trasparenza, il datore sarà tenuto:

  1. a fornire al lavoratore – al più tardi, entro 7 giorni dall’instaurazione del rapporto di lavoro (decorrenti dal 1° agosto 2022)[11] – per iscritto informazioni circa la programmazione dell’orario[12] normale di lavoro e le eventuali condizioni relative al lavoro straordinario e alla sua retribuzione, nonché le eventuali condizioni per i cambiamenti di turno, se il contratto di lavoro prevede un’organizzazione dell’orario di lavoro in tutto o in gran parte prevedibile[13];
  2. a richiedere al lavoratore – all’atto della formalizzazione della richiesta di svolgere altra attività lavorativa – una comunicazione (melius se reso nella forma di dichiarazione) contenente:
    a) il nuovo datore di lavoro/committente[14] non svolge attività lavorativa che possa comportare né una violazione dell’obbligo di fedeltà[15]ex articolo 2105, cod. civ. – sullo stesso gravante ovvero che possa determinare un conflitto di interessi[16];
    b) l’indicazione specifica dei giorni e dell’ora di inizio e termine della prestazione di lavoro;
    c) la precisazione che l’attività lavorativa presso l’altro datore/committente non si svolgerà mai in concomitanza della prestazione svolta presso il destinatario della dichiarazione;
    d) l’impegno a comunicare e comunque di non eseguire prestazioni lavorative che violino le disposizioni di cui agli articoli 4, 7 e 9, D.Lgs. 66/2003[17];
    e) la volontà di garantire l’(eventuale) integrità del servizio pubblico;
    f) la conoscenza che la mancata osservanza di anche una soltanto delle previsioni di cui alle precedenti lettere, comporterà l’attivazione di una procedura disciplinare ai sensi e per gli effetti dell’articolo 7, L. 300/1970, e delle disposizioni contrattuali;
  3. specifica dichiarazione ai sensi e per gli effetti della L. 335/1995;
  4. sottoporre il lavoratore a specifica visita medica per valutare l’idoneità alla (nuova) mansione (per il nuovo datore di lavoro).

Parimenti, sarà opportuno valutare che il datore inserisca nell’informativa di cui al Decreto Trasparenza un apposito riferimento all’articolo 8, in ordine al “cumulo di impieghi”, e sulla necessità – ai fini di garantire le prescrizioni minime in materia di condizioni di lavoro – della comunicazione/dichiarazione contenente le informazioni di cui al precedente numero 2, lettere a)-f), di modo che il lavoratore possa valutare, a priori, la compatibilità con l’ulteriore attività lavorativa.

Con riferimento al punto 3 si ricorda che l’Inps, con la circolare n. 177/1996[18], con riguardo ai lavoratori privi di anzianità contributiva che si iscrivono a far data dal 1° gennaio 1996 a forme pensionistiche obbligatorie, ha previsto che nel momento in cui il livello retributivo dei predetti lavoratori si attesti al di sopra del massimale contributivo annuo[19] i datori di lavoro devono acquisire da parte degli stessi una dichiarazione attestante l’esistenza o meno di periodi utili o utilizzabili ai fini dell’anzianità contributiva. In caso affermativo i datori di lavoro devono sottoporre a contribuzione pensionistica l’intera retribuzione, senza, cioè, applicare il massimale contributivo.

Un’ultima considerazione dev’essere effettuata in ordine all’eventuale svolgimento di un’ulteriore attività lavorativa da parte del lavoratore in assenza di preventiva comunicazione al proprio datore di lavoro e, dunque, in assenza delle informazioni/dichiarazioni di cui al punto 2.

Sulla base della copiosa giurisprudenza in materia di licenziamenti[20], deve ritenersi che la mancata comunicazione, da parte del lavoratore, di aver intrapreso un’altra attività lavorativa, non autorizza il datore a inibire la stessa, ma, ferma la buona fede e la non conoscenza della situazione, possa costituire – per il datore – un’esimente per eventuali responsabilità da danni alla salute. Resta ferma la possibilità di intraprendere gli opportuni procedimenti/provvedimenti disciplinari nel caso in cui si verifichino le condizioni di cui al citato articolo 8.

Parimenti, nessuna discriminazione (e/o rappresaglia) potrà essere perpetrata ai danni del lavoratore che intenda esercitare (o che abbia esercitato) il suo diritto di avere un’ulteriore occupazione.

[1] L’unica eccezione prevista dall’articolo 7, comma 1, D.Lgs. 66/2003, è rappresentata dalle attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata.
[2] Esclusi i lavoratori marittimi e del settore della pesca.
[3] Il riferimento è ai rapporti di lavoro di cui all’articolo 409, n. 3, c.p.c., e di cui all’articolo 2, comma 1, D.Lgs. 81/2015 (c.d. collaborazioni organizzate dal committente).
[4] Per il subordinato, sia full time che part-time.
[5] Il conflitto di interesse dev’essere inteso nella sua triplice veste: natura reale (attuale), natura potenziale e natura apparente (percepito). Infatti, va tenuto presente che la giurisprudenza (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sezione V, n. 3415/2017; Consiglio di Stato, Sezione V, n. 2853/2018) ha evidenziato che la sussistenza del conflitto ricorre indipendentemente dal “concretizzarsi di un vantaggio”.
[6] Il conflitto di interesse, secondo la definizione dell’Anac (working paper 3 del 17 settembre 2019), può essere classificato come “conflitto formale o normato” e “conflitto materiale/strutturale o non normato”. Il primo comprende i casi che trovano espressamente un riferimento in una norma di legge e in cui il Legislatore ha previsto una potenziale situazione di interferenza tale da influenzare l’esercizio indipendente, imparziale e obiettivo della funzione rivestita; nel secondo, invece, rientrano ipotesi che non trovano espressamente riferimento in una norma di legge, ma che l’Autorità ritiene pregiudichino l’esercizio indipendente, imparziale e obiettivo della funzione rivestita.
[7] Trattandosi di “durata media”, il Legislatore ha provveduto a individuare il periodo di riferimento per il calcolo (della media) delle 48 ore in maniera diretta (non superiore a 4 mesi – comma 3) ovvero delegando alla contrattazione collettiva, anche territoriale/aziendale, come precisato nella circolare n. 8/2005 del Ministero del lavoro (fino a 12 mesi in presenza di specifiche ragioni declinate dai contratti – comma 4).
[8]Lavoro straordinario“: è il lavoro prestato oltre l’orario normale di lavoro così come definito all’articolo 3 (40 ore settimanali ovvero il diverso minore orario stabilito dai contratti collettivi).
[9] Fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o da regimi di reperibilità. La circolare n. 8/2005 del Ministero del lavoro menziona, fra le eccezioni al riposo, le attività di addetto alle pulizie. In tale ultimo caso, sarà la contrattazione collettiva a disciplinare le più opportune modalità di fruizione del riposo giornaliero.
[10] L’articolo 9, comma 2, D.Lgs. 66/2003, individua le eccezioni previste rispetto alla regola generale. Trattasi di: a) attività di lavoro a turni ogni volta che il lavoratore cambi turno o squadra e non possa usufruire, tra la fine del servizio di un turno o di una squadra e l’inizio del successivo, di periodi di riposo giornaliero o settimanale; b) le attività caratterizzate da periodi lavoro frazionati durante la giornata; c) per il personale che lavora nel settore dei trasposti ferroviari: le attività discontinue; il servizio prestato a bordo dei treni; le attività connesse con gli orari del trasporto ferroviario che assicurano la continuità e la regolarità del traffico ferroviario; d) i contratti collettivi possono stabilire previsioni diverse, nel rispetto delle condizioni previste dall’articolo 17, comma 4.
[11] Ovvero, per i rapporti già instaurati alla data del 1° agosto 2022, entro 60 giorni dalla richiesta scritta del lavoratore.
[12] Ai sensi dell’articolo 2 comma 1, lettera a), D.Lgs. 104/2022, si intende per “programmazione del lavoro” la programmazione che determina in quali giorni e ore inizia e termina la prestazione di lavoro.
[13] Così, infatti, il nuovo articolo 1, comma 1, lettera o), D.Lgs. 152/1997, novellato dall’articolo 4, D.Lgs. 104/2022.
[14] Del quale, ovviamente, non si potrà richiedere – per ovvi motivi, anche di privacy – di conoscere la denominazione.
[15] È consigliabile riportare in dichiarazione il contenuto letterale della disposizione codicistica.
[16] Con la precisazione che si ha conflitto di interessi quando, nello svolgimento di un’attività di rilievo privato o pubblico, un individuo sia tenuto a realizzare un c.d. interesse primario che pertiene ad altri e che, per caso, può trovarsi in contrasto (anche solo potenzialmente) con un suo personale interesse.
[17] È consigliabile riportare il contenuto degli articoli 4, 7 e 9, D.Lgs. 66/2003.
[18] Successivamente, con la circolare n. 42/2009, è stata disciplinata la particolare ipotesi in cui l’anzianità antecedente al 1° gennaio 1996 sia acquisita su richiesta del lavoratore e, quindi, in caso di riscatto o accredito figurativo. Segnatamente, nel richiamare quanto già disposto con la circolare n. 177/1996 in ordine al previsto adempimento in capo ai datori di lavoro relativo all’acquisizione delle dichiarazioni dei lavoratori attestanti l’esistenza o meno di periodi utili o utilizzabili ai fini dell’anzianità contributiva, la citata circolare n. 42/2009 ha chiarito che nelle predette ipotesi l’esclusione dell’applicazione del massimale decorre a partire dal mese successivo a quello di presentazione della domanda di riscatto, subordinatamente all’assolvimento del relativo onere economico, o della domanda di accredito figurativo (cfr. altresì Inps, messaggio n. 4412/2021 e, per quanto concerne la contribuzione ex Inpgi, si veda circolare Inps n. 82/2022).
[19] Per l’anno 2022 105.014 euro, come da circolare Inps n. 15/2022.
[20] Sostanzialmente giudicati illegittimi per l’inesistenza di un divieto di svolgere altra attività lavorativa, finanche durante la malattia.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Strumenti di lavoro“.

 

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