29 Agosto 2024

Fringe benefit: immobile concesso in uso al dipendente

di Roberto Lucarini Scarica in PDF

In tema di fringe benefit concessi ai lavoratori si rileva, tra quelli abbastanza diffusi, la concessione in uso di un bene immobile; ciò soprattutto nel caso di soggetti con sede di lavoro distante da quella dove è posta la propria residenza.

L’ipotesi operativa prevede, in sostanza, che il datore di lavoro abbia la disponibilità di un bene immobile, sia perché detentore della proprietà dello stesso, ovvero perché affittuario o parte di uno specifico contratto di leasing. Stante detta situazione, quindi, il datore concede il bene immobile in uso ad un proprio dipendente.

La natura di benefit, dunque di beneficio per il ricevente, risulta abbastanza chiara sia concettualmente che nei suoi termini economici. Aspetto rilevante, ai fini soprattutto di una valorizzazione del beneficio, è il fatto che il lavoratore, per l’uso dell’immobile, sia chiamato o meno a versare al datore di lavoro una sorta di canone.

Sappiamo, come visto infatti in altri interventi precedenti a questo, come il Tuir vada a stabilire puntualmente, per talune forme di benefit, una regola circa la loro valorizzazione ai fini fiscali. Vediamo quindi il testo della disposizione tributaria di riferimento (articolo 51, comma 4, lettera C, Tuir):

“Per i fabbricati concessi in locazione, in uso o in comodato, si assume la differenza tra la rendita catastale del fabbricato aumentata di tutte le spese inerenti il fabbricato stesso, comprese le utenze non a carico dell’utilizzatore e quanto corrisposto per il godimento del fabbricato stesso. Per i fabbricati concessi in connessione all’obbligo di dimorare nell’alloggio stesso, si assume il 30 per cento della predetta differenza. Per i fabbricati che non devono essere iscritti nel catasto si assume la differenza tra il valore del canone di locazione determinato in regime vincolistico o, in mancanza, quello determinato in regime di libero mercato, e quanto corrisposto per il godimento del fabbricato”.

Si noti subito questo: la forma di benefit in esame si smarca da una valorizzazione base determinata in relazione al valore normale dei beni e dei servizi, così come indicato ex articolo 9, Tuir; la stessa, inoltre, viene declinata dalla norma sotto due possibili e ben distinte forme: quella valutabile come ordinaria e quella nella quale, date le mansioni svolte, vi sia un obbligo di dimora da parte del lavoratore.

La sintesi, in sostanza è questa: forfetizzazione ai fini tributari del valore del benefit, andando ad assumere, quale base di calcolo, la rendita catastatale dell’immobile concesso in uso, ed addizionandovi il valore delle varie utenze (es. gas, elettricità, acqua) non a carico del dipendente utilizzatore. Ove, invece, il lavoratore si trovi a dover pagare al datore una somma, ad es. mensile, per la disponibilità del bene concessogli, detta somma andrà sottratta dal valore come innanzi determinato.

Questione da tenere a mente riguarda, all’interno della valorizzazione del benefit, la tipologia di spese che, di fatto, debbono essere considerate nel calcolo. In tal senso ci soccorre la ben nota Circ. n. 326/1997 (Min. Fin.), dove infatti fu chiarito come siano da considerare “tutte le spese diverse da quelle considerate in sede di determinazione della rendita medesima. A tale proposito si precisa che in sede di determinazione delle tariffe d’estimo e delle rendite catastali si tiene conto delle seguenti spese: di ordinaria manutenzione, di assicurazione, di amministrazione del fabbricato, relative ai servizi comuni”. Da tale indicazione, in sostanza per esclusione, si apprende quali saranno i valori dei servizi, non a carico del dipendente utilizzatore, che andranno ad incrementare il valore del benefit.

Circa le tipologie di fabbricato, rientranti nel benefit in esame, è stato chiarito come la normativa cui sopra vada ad applicarsi, sostanzialmente, a tutti i beni immobili iscrivibili in catasto, siano essi appartenenti alla categoria A (uso abitazione) ovvero a quella C (uso commerciale ed altri). In pratica, in un esempio offerto dai tecnici del Ministero, anche un garage, concesso in uso al lavoratore quale rimessa del proprio automezzo, rileva ai fini dell’emersione del fringe benefit.

E cosa accede nel caso in cui il fabbricato concesso al lavoratore, perché ad esempio non ancora censito, sia privo di rendita? Nessun timore, il fisco non rimanda la tassazione al futuro; viene infatti spiegato come, in tale situazione, sia necessario rifarsi ad una rendita presunta, determinata ex articolo 37, comma 4 Tuir.

Non certo ultima, tra le situazioni operative, quella secondo la quale il bene immobile sia offerto in uso, contemporaneamente, a più lavoratori. È abbastanza evidente, infatti, come sia necessaria una rimodulazione del valore da attribuire ai vari soggetti. In tal caso, dunque, il valore del benefit totale, calcolato come abbiamo visto, dovrà essere ripartito, in parti uguali, tra i vari utilizzatori; ciò, naturalmente, qualora non vi sia una precisa distinzione delle parti utilizzabili dell’immobile. Ove, al contrario, siano ben distinte le porzioni del bene assegnate in uso ai vari soggetti, il valore totale del benefit sarà da ripartire in funzione degli spazi assegnati. Per quest’ultima situazione ritengo che la ripartizione in base ai metri quadrati, spettanti al singolo soggetto, sia il criterio di maggior ragionevolezza.

Si potrebbe continuare, con vari esempi di casistiche, ma i limiti di spazio non lo consentono.

In chiusura, tuttavia, ritengo utile ricordare che il benefit in esame, come tutti gli altri del resto, risulta legato al limite posto alla soglia di non imponibilità ex articolo 51, comma 3, Tuir, (attualmente ad € 1.000 o 2.000 annui, secondo i casi), valore quest’ultimo in effetti assai altalenante almeno nell’ultimo biennio. Tenendo conto di ciò, dunque, si pone il tema del momento entro il quale, in datore di lavoro, dovrà porre in essere l’eventuale tassazione del benefit.

Secondo le indicazioni di prassi, schematicamente, si dovrà operare come di seguito:

  • calcolare il valore del benefit;
  • raffrontarlo con l’importo della soglia di non imponibilità;
  • se emerge subito e con chiarezza che il valore del benefit supererà, nell’anno, quello di non imponibilità, si dovrà operare la ritenuta d’acconto dal primo periodo di paga;
  • al contrario, ove non si abbia certezza che il valore del benefit supererà, nell’anno, quello di non imponibilità, si dovrà attendere che il primo importo superi il secondo, iniziando pertanto ad operare la ritenuta d’acconto dal mese del superamento. In sede di conguaglio, quindi, si opererà la tassazione dell’importo in precedenza non tassato.
Welfare aziendale e politiche retributive