I fringe benefit dopo il D.L. 48/2023: novità e possibili scenari
di Manuela Baltolu Scarica in PDFIl Decreto Lavoro appena entrato in vigore apporta la terza modifica, in poco meno di un anno, al comma 3, articolo 51, Tuir.
Un po’ di storia
Il testo originale dell’ultimo periodo del comma 3, articolo 51, Tuir, recita:
“Non concorre a formare il reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore nel periodo d’imposta a lire 500.000; se il predetto valore è superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito”.
Nel 2022 il testo è stato oggetto di ben 2 modifiche:
- la prima, a opera del comma 1, articolo 12, D.L. 115/2022, convertito dalla L. 142/2022, che aveva innalzato il limite di esenzione da prelievo contributivo e fiscale a 600 euro, inserendo, oltre alla cessione di beni e all’erogazione dei servizi, anche le somme erogate o rimborsate dall’azienda ai lavoratori per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale, con tutte le difficoltà di gestione del caso;
- la seconda, mediante il comma 10, articolo 3, D.L. 176/2022, convertito dalla L. 6/2023, che aumentava ulteriormente a 3.000 euro l’importo massimo in esenzione dei fringe benefit erogabili dal datore di lavoro ai lavoratori, compresi i suddetti rimborsi di utenze domestiche.
Le variazioni del limite di esenzione, in particolare la seconda, intervenuta sul finire del 2022, ha comportato in sede di conguaglio notevoli problematiche[3], di cui ancora subiamo gli strascichi e per le quali, nella stragrande maggioranza dei casi, le aziende attendono ancora di recuperare i crediti previdenziali derivanti dall’avvenuto pagamento dei contributi sui fringe benefit, laddove l’importo aveva superato 258,23 euro prima, e 600 euro poi, rivelatisi in seguito non dovuti, alla luce del nuovo limite di 3.000 euro.
Novità e criticità nel Decreto Lavoro
L’articolo 40, D.L. 48/2023 apporta l’ennesima modifica al citato articolo 51, comma 3, Tuir, e lo fa, stavolta, in maniera ancora più incisiva, inserendo, oltre alla modifica dell’importo che non concorre a formare il reddito imponibile del lavoratore dipendente, riportandolo da 258,23 a 3.000 euro, l’ulteriore condizione che tale beneficio spetta solo ai lavoratori dipendenti con figli; inoltre, viene previsto che, prima di dare attuazione alla misura, i datori di lavoro debbano informare le rappresentanze sindacali unitarie, laddove presenti, mentre i lavoratori dovranno comunicare all’azienda il codice fiscale dei figli.
Come spesso accade, dalla lettura della norma emerge qualche dubbio.
In primo luogo, ci si chiede se prevedere un beneficio così importante solo per coloro che hanno figli non sia espressione di discriminazione verso i lavoratori senza figli.
Poiché tale misura è stata annunciata dal Governo come provvedimento a “sostegno alla natalità”, vista la profonda crisi demografica che affligge il nostro Paese, risulta a dir poco bizzarro che per risolvere una problematica del genere si introduca un importo a totale carico delle aziende e, soprattutto, che potrà essere elargito a loro totale discrezione.
Poiché, infatti, i fringe benefit possono essere tranquillamente erogati ad personam, il datore di lavoro potrà decidere di destinarli a chi meglio crede e senza alcun parametro di riferimento; non vi è, pertanto, alcuna garanzia che l’importo vada a effettivo beneficio di un lavoratore che possa adoperarsi per l’incremento demografico.
Inoltre, appare un controsenso voler sostenere la natalità erogando a chi i figli li ha già, laddove, probabilmente, sarebbe stato opportuno rivolgersi a chi ancora non ha avuto la fortuna di poter apprezzare le gioie derivanti dal lieto evento.
E, comunque, per chi in concreto possa pensare di allargare la famiglia, prodigandosi in tal senso già dalla data di entrata in vigore del Decreto, difficilmente darà alla luce l’erede nel corso del 2023, salvo eccezioni naturalmente; l’importo di 3.000 euro sarà, quindi, verosimilmente speso per altre finalità.
Proseguendo la lettura, specificare che per “figli” si intendono “compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati” è quantomeno anacronistico e anche un tantino fuori luogo, per usare un eufemismo; viene, inoltre, affermato che i figli che danno diritto alla misura dovranno trovarsi nelle condizioni di cui all’articolo 12, comma 2, Tuir, ovvero essere a carico del lavoratore e, pertanto, non devono possedere un reddito superiore a 4.000 euro annui fino a 24 anni di età non compiuti e a 2.840,51 euro annui se di età pari o superiore a 24 anni.
In tale ambito nascono spontanee diverse domande. Ad esempio, è lecito chiedersi cosa accadrebbe se, erogati i 3.000 euro nel pieno rispetto delle condizioni, il figlio del lavoratore dovesse in seguito trovare un impiego e produrre un reddito che automaticamente lo escluderebbe dal carico fiscale del genitore (o dei genitori). La conseguenza più logica parrebbe essere, alla luce della perdita del requisito richiesto dalla norma, di dover assoggettare interamente l’importo percepito.
Potrebbe, inoltre, ben accadere che un figlio sia a carico di entrambi i genitori; in tal caso non si evince se l’importo agevolato debba essere ripartito tra i 2 aventi diritto e in quale percentuale (magari in proporzione alla percentuale di carico familiare di ognuno) o se, invece, poiché la norma nulla specifica in tal senso, essendo entrambi i genitori nella condizione di avere figli a carico, entrambi abbiano diritto alla misura nell’intero importo previsto, per un totale quindi di 6.000 euro (3.000 euro per ciascun genitore).
In tale ultima ipotesi, si creerebbe un’evidente disparità tra nuclei familiari che avessero il carico fiscale dei figli distribuito in maniera diversa: il nucleo ove il figlio è al 100% a carico di un solo genitore beneficerà dei 3.000 euro, il nucleo che ha il carico condiviso, avrà diritto al doppio.
Naturalmente tutto ciò non tiene conto della piena discrezionalità del datore di lavoro che, come detto, non solo decide “a chi” erogare, ma anche “in quale misura” e senza alcuna condizione, solo ed esclusivamente sulla base della propria volontà.
È quindi lampante che, tenuto conto di tutte le criticità analizzate, una misura di questo tipo non può essere considerata di “sostegno alla natalità”, tanto più che si tratta di un importo che sarà erogato solo laddove i datori di lavoro sceglieranno di farlo, non essendo obbligatorio.
Il problema “esenzione”
Sulla scia di quanto avvenuto del 2022, verrebbe spontaneo dare per scontata l’esenzione da prelievo sia contributivo sia fiscale del nuovo importo.
In realtà, il Dossier redatto dalle camere A.S. n. 685 del 9 maggio 2023 solleva un dubbio terrificante in merito all’esenzione contributiva, affermando che:
“la norma transitoria in oggetto non specifica che l’esenzione aggiuntiva è posta ai sensi del testo unico delle imposte sui redditi. In assenza di tale elemento testuale, dal quale conseguirebbe in modo chiaro (considerata la suddetta norma di rinvio di cui all’articolo 12 della L. n. 159) l’esenzione anche dalla base imponibile della contribuzione previdenziale, si valuti l’opportunità di chiarire se l’esenzione transitoria concerna o meno anche quest’ultima base, tenendo conto, in ogni caso, che la relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del presente decreto non contempla effetti in termini di minori entrate contributive”.
E, se non sono state previste minori entrate contributive, aleggia lo spettro del bis di quanto accaduto con il bonus carburanti di cui all’articolo 1, comma 1, D.L. 5/2023, inizialmente pubblicizzato (e utilizzato) come importo totalmente esente sia dal punto di vista contributivo sia fiscale, anche in virtù di quanto stabilito per la medesima misura per l’anno 2022 dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 27/E/2022, trasformato poi, con la conversione nella L. 23/2023, in importo totalmente imponibile ai fini previdenziali, con le conseguenti problematiche derivanti dal dover successivamente assoggettare a prelievo contributivo somme dapprima erogate in totale esenzione, diminuendo il netto finale per il lavoratore e aumentando il costo complessivo a carico dell’azienda.
La comunicazione preventiva alle R.S.U.
Data l’estrema discrezionalità nell’erogazione dell’importo ai lavoratori, stupisce l’introduzione dell’obbligo di comunicazione alle rappresentanze sindacali unitarie: “I datori di lavoro provvedono all’attuazione del presente comma previa informativa alle rappresentanze sindacali unitarie laddove presenti”, cioè possono materialmente applicare la novella normativa solo se lo comunicano prima alle R.S.U.
Tra l’altro, il testo letterale non prevede, in assenza delle R.S.U., di effettuare la comunicazione ad altri organismi di rappresentanza sindacale alternativi; pertanto, laddove le R.S.U. non fossero presenti, il datore di lavoro nulla dovrà fare per poter procedere all’erogazione ai lavoratori.
Ma poiché, come detto, l’erogazione non ha alcun paletto particolare, se ne deduce che il tutto si riduca a una mera notifica alle R.S.U., di cui non si comprende bene lo scopo né la funzionalità, giacché non è nemmeno necessario attendere una qualche risposta.
Il citato Dossier delle camere, chiede, infatti, di:
“chiarire gli effetti dell’omissione dell’informativa, considerato che la relazione illustrativa allegata al disegno di legge di conversione del presente decreto osserva che l’applicazione del regime transitorio in oggetto è subordinata all’atto dell’informativa”.
A parere di chi scrive, sarà sufficiente dimostrare di aver adempiuto.
Considerato il tenore letterale della norma non pare possibile che il mancato adempimento possa configurare una qualche conseguenza, non avendo le R.S.U. alcuna voce in capitolo, benché tale obbligo rappresenti un aggravio totalmente privo di utilità.
Le possibili modifiche in sede di conversione in Legge
Il Decreto Lavoro sta compiendo il suo cammino verso la conversione definitiva in Legge, e sul punto sono state annunciate alcune modifiche, di cui ovviamente potremo avere certezza soltanto nel momento in cui il testo modificato sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
Il limite di esenzione fiscale sui fringe benefit potrebbe essere ridotto a 1.000 euro per tutti i lavoratori, anche senza figli, con l’aggiunta di un bonus figli da 660 euro per un massimo di 3 figli.
Superfluo sottolineare che, nel caso tali correttivi fossero confermati, chi si fosse fatto prendere dall’euforia nella lettura del testo del Decreto Legge, e avesse magari già provveduto a erogare i 3.000 euro previsti, con la revisione apportata dalla Legge dovrebbe ora assoggettare le differenze erogate in più rispetto al nuovo limite sia a prelievo contributivo sia fiscale, mettendo in scena il solito balletto già visto di correttivi vari, causando oltretutto qualche malumore al lavoratore che subirà trattenute precedentemente non dovute, oltre a incrementare il costo a carico dell’azienda.
Le modifiche annunciate allargherebbero la platea degli aventi diritto ma, nel contempo, avrebbero necessità di maggiori coperture finanziarie.
Non ci resta, quindi, che attendere.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Contratti collettivi e tabelle”.