Il fallimento che non si può annunciare
di Riccardo Girotto Scarica in PDFIl 14 settembre 2011 entrava in vigore l’articolo 8, D.L. 138/2011, convertito nella L. 148/2011. Tale disposto, di dichiarata matrice aziendalistica, aveva il merito di sviluppare una regolamentazione dei rapporti di lavoro, customizzata secondo le specifiche esigenze aziendali.
L’aspetto clou della soluzione introdotta era legato agli effetti producibili, ben più marcati rispetto ai meri sistemi di contrattazione di secondo livello, spingendosi infatti alla possibile deroga tanto dei Ccnl quanto della Legge stessa, finanche ergendo il contratto di prossimità a vero e proprio primo livello sostitutivo, con i soli limiti imposti dall’organismo legislativo unionale e dalla Costituzione.
Un succulento strumento di regolamentazione aziendale, che, qualora offerto a utilizzatori intraprendenti, avrebbe potuto davvero stravolgere un sistema di regole in continua sofferenza come quello della contrattazione di secondo livello (non che il primo livello goda certamente di buona salute).
Il problema è che il Legislatore tecnico non aveva, probabilmente, ben chiara la posizione dei protagonisti, infatti la prossimità sempre contratti tratta, e le parti investite a sottoscriverli sono sindacati e associazioni datoriali. I primi non hanno affatto celato l’antipatia per lo strumento fin dalla sua presentazione, i secondi, dimostrando prima interesse e pretendendo, altresì, la revisione dal testo del D.L. a quello della Legge, hanno poi fermamente preso le distanze tramite tempestivi accordi interconfederali (2011, 2013, 2014).
La Ferrari era pronta, ma i piloti fin da subito non si sono resi disponibili a guidarla.
Si sono, quindi, succeduti accordi segretissimi sottoscritti direttamente tra azienda e organizzazioni sindacali, con quest’ultime che ben si guardavano dal pubblicizzare le intese, ma sempre con timidissimo interesse, uno strumento potentissimo insomma, utilizzato a bassissima frequenza.
A fronte di tutto questo disinteresse, l’azienda da sola ben poco ha potuto, con buona pace di una dottrina fortemente votata alla promozione, impotente, della contrattazione decentrata pesante.
Il 16 settembre 2024 il Ministero del lavoro ha pubblicato il report, non certo il primo, sulla contrattazione di secondo livello depositata. I dati sono impietosi. A partire dal 2016 i contratti di secondo livello depositati sono stati oltre 102.000, ciò che rileva è che tra questi meno di 3.000 sono contratti di prossimità.
La montagna rappresentata dall’articolo 8, D.L. 138/2011, ha partorito un minuscolo topolino, che rappresenta meno del 3% della contrattazione aziendale e territoriale. Una miseria, se paragonata alle aspettative che miravano al decollo della contrattazione decentrata, realizzando per contro un’insignificante appendice della stessa.
L’esame statistico, poi, non garantisce la rappresentazione assoluta del fenomeno; si tratta, infatti, di una fotografia di quanto depositato, pertanto il numero potrebbe risultare ulteriormente depurato delle intese prive dei requisiti necessari.
Per contro, lo stesso esercizio statistico potrebbe non aver acquisito i contratti integrativi, che, sbadatamente o volontariamente, hanno evitato l’apposizione espressa del marchio di “prossimità”, integrando, però, tutti i requisiti richiesti dall’articolo 8, D.L. 138/2011. Su questi aspetti, posto che in ambito contrattuale l’indagine sulla reale volontà delle parti sovrasta ogni effetto connesso a un mero nomen juris, la giurisprudenza di merito si è annoiata, mostrando solo qualche posizione ondivaga, prima legittimando la prossimità a condizione che il contratto fosse espressamente titolato, poi negando il valore dirimente del dato nominativo in presenza dei requisiti sostanziali.
Percorrendo questo secondo parere, che personalmente risulta maggiormente convincente, i contratti censiti aumenterebbero sensibilmente.
Il clamore iniziale è stato soffocato dal silenzio operativo, concludendo il suo percorso nell’indifferenza che crea quasi vergogna. Così la prossimità ha vissuto nella propria intimità e nella massima discrezione ha lasciato il palcoscenico del diritto del lavoro, mentre in quello del diritto sindacale non è nemmeno mai entrata. Ma di questa fine, statene sicuri, non ne parlerà mai nessuno.
Del resto, nessuno si prenderà la responsabilità di decretare la morte di una Legge innocua.
Possiamo desolatamente sancire la parola fine, nessun appello, ancora una volta il tentativo di guidare il ruolo delle parti sociali tramite la Legge ha fallito, nonostante i reiterati problemi di ideologia ferrea, di limiti del diritto comune, di termini e procedure infinite.
Nonostante il pregiudizio non si curi del buon senso.