Esclusione e licenziamento del socio lavoratore di cooperativa
di Valerio Sangiovanni Scarica in PDFNell’ambito delle cooperative convivono il profilo societario e quello mutualistico. Particolarmente importanti sono le cooperative di lavoro, nelle quali il rapporto mutualistico si concretizza mediante la conclusione di un contratto di lavoro. Il punto è che, se il socio recede o viene escluso dalla società, viene meno anche la relazione mutualistica. Ciò significa che cessa il rapporto di lavoro.
Introduzione
Le società cooperativa si caratterizzano per la presenza dell’elemento c.d. “mutualistico”. La società viene costituita al fine di consentire ai soci di usufruire di determinati beni o servizi, che vengono scambiati nell’ambito del rapporto mutualistico. Così, ad esempio, se si tratta di una società cooperativa edilizia, lo scopo mutualistico è quello di realizzare alloggi che vengono poi assegnati in proprietà o locazione ai soci.
Particolarmente importanti sono le cooperative di lavoro, nelle quali il rapporto mutualistico si concretizza con la prestazione di attività lavorativa da parte del socio. Tizio diviene, dunque, prima socio della società cooperativa e poi diventa anche dipendente della società cooperativa. Per diventare socio paga una quota, generalmente d’importo modesto. Grazie, poi, al contratto di lavoro, il socio presta attività lavorativa e viene remunerato mediante uno stipendio.
Formalmente, i 2 rapporti (societario e mutualistico) rimangono separati. Ma cosa succede se viene meno il rapporto societario? La legge prevede che viene meno anche il rapporto mutualistico, il che significa – nel caso di un lavoratore – il suo licenziamento. Il rapporto tra società cooperativa e socio viene meno nei casi classici previsti dal diritto societario: recesso del socio, morte del socio ed esclusione del socio. In questo articolo ci si occuperà in particolare dell’esclusione del socio dalla società cooperativa e degli effetti che l’esclusione ha sul rapporto di lavoro[1].
L’esclusione del socio di cooperativa fra codice civile e legge speciale
In merito all’esclusione del socio dalla cooperativa, vi è una disposizione espressa nel codice civile. L’articolo 2533, comma 1, cod. civ., prevede che: “l’esclusione del socio … può aver luogo: 1) nei casi previsti dall’atto costitutivo; 2) per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico; 3) per mancanza o perdita dei requisiti previsti per la partecipazione alla società; 4) nei casi previsti dall’articolo 2286; 5) nei casi previsti dall’articolo 2288, primo comma”.
Non è questa la sede per esaminare in dettaglio tutte queste fattispecie. Colpisce, peraltro, la genericità delle “gravi inadempienze”, che possono dar luogo a esclusione, anche perché – nel caso di un socio lavoratore – la grave inadempienza implica anche la cessazione del rapporto di lavoro.
Alcuni precedenti giurisprudenziali hanno trattato proprio questa tematica della nozione di grave inadempienza. Può essere segnalata, in particolare, una decisione della Corte d’Appello di Salerno[2]. Il giudice salernitano afferma che la denuncia presentata dal socio al giudice penale, la quale contenga l’addebito a carico di esponenti degli organi sociali della cooperativa di fatti integranti ipotesi di reato, la cui infondatezza venga poi giudizialmente accertata, non integra di per sé una legittima causa di esclusione dalla società, ove non si dimostri che tale tutela giudiziaria abbia perseguito finalità indebite e abbia leso lo spirito mutualistico e solidaristico della cooperativa. La Corte d’Appello di Salerno osserva, altresì, che l’esclusione del socio di una cooperativa per grave inosservanza degli obblighi imposti dallo statuto integra un atto che il socio escluso può contestare attraverso il rimedio dell’opposizione. Il caso affrontato dal giudice salernitano concerneva l’esclusione dalla compagine sociale di una dipendente della società cooperativa. La domanda di annullamento della delibera di esclusione adottata dal CdA della cooperativa viene accolta, anche perché si accerta che le raccomandate inviate dalla società cooperativa alla socia per comunicarle l’esclusione e la perdita del posto di lavoro erano state restituite alla cooperativa con la dicitura “trasferita”. Manca, allora, la prova che la comunicazione dell’esclusione sia giunta alla socia destinataria.
Dal punto di vista delle competenze all’interno della società cooperativa, la decisione di escludere un socio spetta – come già si accennava – agli amministratori (così il comma 2, articolo 2533, cod. civ.).
Come si diceva, il socio che è stato escluso ha un rimedio specifico, consistente nell’opposizione. Il comma 3, articolo 2533, cod. civ., stabilisce che “contro la deliberazione di esclusione il socio può proporre opposizione al tribunale, nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione”. Si osservi, dunque, che l’unico rimedio disponibile è quello giudiziario. La disposizione non vi fa riferimento espresso, ma è evidente che la delibera debba essere comunicata al socio, altrimenti non si comprende come questi possa presentare opposizione. La Corte di Cassazione ha stabilito che la deliberazione di esclusione del socio lavoratore di cooperativa è soggetta all’onere di comunicazione al socio, come un licenziamento[3]. La Suprema Corte specifica che la comunicazione ha un contenuto minimo necessario, costituito dall’indicazione delle ragioni dell’esclusione, e produce effetti al momento della avvenuta comunicazione, in mancanza della quale si considera come inesistente[4].
L’esclusione riguarda solo la posizione del socio, non la posizione mutualistica (ai nostri fini il rapporto di lavoro). Bisogna, però, considerare quanto stabilisce il comma 4, articolo 2533, cod. civ., che specifica che “qualora l’atto costitutivo non preveda diversamente, lo scioglimento del rapporto sociale determina anche la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti”. In caso di socio lavoratore, l’esclusione dalla società implica la perdita del posto di lavoro.
Per i soci lavoratori di cooperativa esiste inoltre una legge speciale: la L. 142/2001. Questa normativa disciplina gli effetti della cessazione del rapporto societario su quello di lavoro. Più precisamente, si prevede che “il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile. Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario” (articolo 5, comma 2, L. 142/2001).
Il caso del recesso è meno importante e meno rischioso, per il socio, del caso dell’esclusione. Il recesso, difatti, è volontario: si tratta di una libera scelta del socio di abbandonare la compagine sociale. È essenziale, naturalmente, che il socio sappia che, smettendo di essere socio, non può più essere dipendente della cooperativa. Rispetto, però, al caso del recesso volontario, maggiormente foriera di contenziosi è l’ipotesi dell’esclusione: si tratta infatti di una scelta della società che il socio subisce.
L’interruzione del rapporto societario e l’interruzione del rapporto di lavoro
La Corte di Cassazione si è occupata più volte dell’esclusione del socio lavoratore dalla cooperativa e delle conseguenze che ne derivano per il distinto rapporto di lavoro. La questione, difatti, più complessa è il legame tra il rapporto societario e il rapporto mutualistico. La presenza di 2 distinti rapporti si riflette anche in termini di competenza giurisdizionale: quale giudice è competente? Come vedremo, l’alternativa è quella tra sezione specializzata in materia di impresa (per il profilo societario) e giudice del lavoro (per il profilo del licenziamento).
Uno dei precedenti più recenti sul rapporto tra delibera di esclusione e cessazione della qualità di lavoratore è rappresentato da un’ordinanza della Corte di Cassazione del novembre 2023[5]. La socia di una cooperativa conclude con la medesima cooperativa anche un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con mansioni di impiegata amministrativa. A un certo punto, viene comunicata alla socia la delibera di esclusione dal rapporto societario (e, conseguentemente, la cessazione del rapporto di lavoro). La socia fa opposizione al Tribunale, il quale annulla la delibera assunta dalla società cooperativa. La Corte di Cassazione osserva che, essendo stato adottato nel caso di specie un unico atto di esclusione della società e di estinzione del relativo rapporto di lavoro, l’annullamento della delibera determina il conseguente ripristino di entrambi i rapporti giuridici, sia quello societario sia quello di lavoro, visto il collegamento tra i 2 rapporti. Questa sentenza della Suprema Corte specifica come l’esclusione del socio è atto sufficiente a estinguere ambedue i rapporti (societario e di lavoro), mentre non accade il contrario, ossia, il licenziamento estingue solo il rapporto di lavoro, lasciando intatto il rapporto societario, e dando vita alla figura del socio c.d. “inerte”. La Suprema Corte enuncia il principio di diritto secondo cui, qualora sia adottato un unico atto di esclusione del socio di cooperativa e di risoluzione del suo rapporto di lavoro, l’avvenuta impugnazione della delibera di esclusione consente di applicare la tutela restitutoria propria della disciplina delle cooperative, sicché, annullata la predetta delibera, il giudice deve ordinare il ripristino sia del rapporto associativo sia di quello del lavoro;
Sul rapporto tra rimedio societario e rimedio giuslavoristico sono intervenute addirittura le Sezioni Unite della Corte di Cassazione[6]. Secondo questo organo, ove per le medesime ragioni siano stati contestualmente emanati la delibera di esclusione e il licenziamento, l’omessa impugnativa della delibera di esclusione non fa venire meno l’interesse del lavoratore a impugnare il licenziamento, atteso che l’effetto estintivo del rapporto di lavoro, derivante dall’esclusione della cooperativa, non elide di per sé l’illegittimità del licenziamento, a cui si può porre rimedio con la tutela risarcitoria.
Le Sezioni Unite hanno così superato un precedente orientamento, secondo cui l’omessa opposizione del socio alla delibera di esclusione precluderebbe la tutela lavoristica. Ci si sta riferendo a una sentenza della Corte di Cassazione del settembre 2018, che può essere illustrata come segue[7]. Tizio diventa socio di una cooperativa (in forma di Spa) e viene altresì assunto dalla cooperativa svolgendo attività lavorativa a favore della cooperativa. A un certo punto, il socio riceve 2 distinte comunicazioni:
- una raccomandata con cui gli viene comunicata l’esclusione dalla società;
- un telegramma con cui gli viene comunicata l’interruzione del rapporto di lavoro.
Il socio non presenta opposizione contro la delibera che ha deciso la sua esclusione. La Corte di Cassazione constata, dunque, che il socio è decaduto dal diritto di fare opposizione. Il punto è che, essendo cessato il rapporto societario, cessa anche il rapporto mutualistico. Il giudice dà applicazione al comma 4, articolo 2533, cod. civ.. Ne consegue che il lavoratore nulla può fare contro la perdita del posto di lavoro. Come detto, peraltro, questo orientamento pare ora superato dall’intervento delle SS.UU..
Competenza del giudice societario o del giudice del lavoro?
Se vi è esclusione del socio, la questione riguarda un atto societario del CdA e competente è la sezione specializzata in materia d’impresa. Il procedimento è l’opposizione, come previsto dall’articolo 2533, cod. civ.. L’opposizione si introduce con un atto di citazione, con il quale si chiede l’annullamento della delibera di esclusione per mancanza dei presupposti che la legittimano.
La sezione specializzata in materia d’impresa potrebbe anche adottare dei provvedimenti di tipo cautelare. In particolare, i soci esclusi potrebbero chiedere la sospensione della delibera di esclusione. La questione è stata trattata in un’ordinanza del Tribunale di Milano[8]. Alcuni soci vengono esclusi da una cooperativa e presentano opposizione con atto di citazione. In corso di causa, viene proposto separato ricorso volto alla sospensione degli effetti della delibera di esclusione e alla reintegrazione nei posti di lavoro a seguito del riconoscimento della nullità del licenziamento. I lavoratori avevano interrotto il servizio per esercitare il diritto di sciopero e, per questo motivo, erano stati licenziati. Il giudice milanese ritiene che l’esclusione, e il connesso licenziamento, abbiano scopo ritorsivo e siano dunque illegittimi. In conclusione, il Tribunale di Milano sospende l’efficacia delle delibere di esclusione dei soci e ordina alla società cooperativa di reintegrare nel posto di lavoro, con le stesse mansioni e lo stesso livello retributivo, i soci esclusi.
Finora, si è dato peso a casi in cui vi è delibera di esclusione e conseguente – seppur contestuale – cessazione del rapporto di lavoro. Potrebbe, però, capitare che, senza l’adozione di una delibera di esclusione del socio dalla cooperativa da parte del CdA, il socio venga semplicemente licenziato. Non c’è l’atto societario (esclusione); vi è solo l’atto tipico del diritto del lavoro (licenziamento). In questo caso, sussiste la competenza del giudice del lavoro, e non quella del giudice civile specializzato in materia d’impresa.
Dei profili processuali delle vicende riguardanti il socio lavoratore di cooperativa si è occupato un’ordinanza del Tribunale di Roma[9]. Tizio è socio di una cooperativa e ne è anche dipendente, in qualità di socio lavoratore. A un certo punto, gli viene intimato il licenziamento, senza che sia stato escluso quale socio dalla società. Tizio si rivolge allora al Tribunale di Velletri, sezione ordinaria, chiedendo la condanna della cooperativa alla riassunzione o il risarcimento del danno. Il Tribunale di Velletri ritiene di essere incompetente, in quanto la questione sarebbe una questione di diritto societario e rimette le parti al Tribunale di Roma, sezione specializzata per l’impresa. Tuttavia, anche il Tribunale di Roma ritiene di essere incompetente. Difatti, come si scriveva, il socio non era stato escluso dalla società: non vi era stato un atto societario (poi oggetto di opposizione). Vi era solo una richiesta di reintegrazione o risarcimento collegata al licenziamento. Il giudice romano ritiene che sussista la competenza del giudice del lavoro. Vi è, dunque, un conflitto negativo di competenza: 2 distinti giudici negano di essere competenti per una certa controversia. La questione viene allora rimessa alla Corte di Cassazione, affinché questa autorità decida in via definitiva chi sia il giudice realmente competente tra tutti quelli che vengono astrattamente presi in considerazione: giudice ordinario, sezione specializzata per l’impresa, oppure giudice del lavoro.
Merita di essere segnalata anche una sentenza del Tribunale di Bologna[10]. Tizio e Caio sono dipendenti di una società cooperativa, a tempo indeterminato. Essi vengono però licenziati di fatto, nella forma di mancato avviamento al lavoro, e chiedono, previo accertamento dell’illegittimità della sospensione dell’attività lavorativa, di condannare la società a riassumerli e a pagare certe differenze retributive. Non c’è stata una delibera di esclusione dei soci. La causa viene incardinata presso il giudice del lavoro, ma la cooperativa chiede – in via riconvenzionale – di accertare l’avvenuta risoluzione anche del rapporto associativo. A questo punto, il giudice del lavoro, alla luce della domanda riconvenzionale, si dichiara incompetente e rimette gli atti alla sezione specializzata per l’impresa. Il Tribunale di Bologna accerta, però, che non è stata adottata alcuna formale delibera di esclusione dei soci, e dunque rigetta la domanda riconvenzionale. Il giudice bolognese entra poi nel merito della vicenda e constata che effettivamente la società non aveva consentito ai 2 soci di lavorare. In conclusione, accerta che la sospensione dell’attività lavorativa integra illegittimo licenziamento di fatto per mancato avviamento e condanna la società cooperativa a riassumere i 2 lavoratori entro 3 giorni dalla comunicazione della sentenza e, in mancanza, a risarcire il danno.
Il caso particolare dell’arbitrato
Si è esaminata la normativa in tema di esclusione del socio lavoratore e del correlato licenziamento. A completamento dell’esposizione, si osserva che può essere competente, a conoscere delle liti tra cooperativa e socio lavoratore, anche un Tribunale arbitrale.
La Corte di Cassazione si è occupata, molto recentemente, di un simile caso[11]. Tizio è socio di una cooperativa e presta la sua attività in qualità di lavoratore dipendente. A un certo punto, il CdA della cooperativa dispone la sua esclusione, basandosi sulla clausola statutaria la quale prevedeva che “l’esclusione può essere deliberata dall’organo amministrativo, oltre che nei casi previsti dalla legge, nei confronti del socio che risulti gravemente inadempiente per le obbligazioni che derivano dalla legge, dallo statuto, dai regolamenti o che ineriscano al rapporto mutualistico, nonché dalle deliberazioni adottate dagli organi sociali”.
Al fine di escludere il socio, gli viene recapitata una raccomandata che non indica, però, i motivi specifici della sua esclusione, ossia in cosa consisterebbero gli inadempimenti. Poiché lo statuto della società prevede una clausola compromissoria, il socio si rivolge all’arbitro, il quale annulla la delibera di esclusione. In effetti l’arbitro constata che la raccomandata è priva di qualsiasi riferimento concreto a condotte poste in essere dal socio, rendendo così impossibile verificare se vi fosse stato un grave inadempimento.
L’arbitro afferma la propria competenza per questo tipo di decisione. Il socio chiede la ricostituzione dei rapporti mutualistici, tra cui il rapporto di lavoro. L’arbitro ritiene che questa ricostituzione sia conseguenza diretta e immediata dell’annullamento della delibera di esclusione dalla cooperativa. Dal momento che il rapporto di lavoro era sussunto in quello sociale, la cessazione di quest’ultimo determina automaticamente la risoluzione del primo senza necessità di ricorrere al giudice del lavoro. La pronuncia sulla ricostituzione del rapporto di lavoro, in quanto connessa all’accertamento relativo all’esclusione del socio, è ricompresa nei poteri assegnati all’arbitro dalla clausola compromissoria.
Le statuizioni dell’arbitro vengono confermate dalla Corte d’Appello di Bologna. L’estinzione del rapporto di lavoro del socio deriva dall’adozione della delibera di esclusione di cui costituisce conseguenza necessitata ex lege. E, dunque, per effetto uguale e contrario: l’annullamento della delibera ripristina il rapporto di lavoro.
Infine, anche la Corte di Cassazione conferma la correttezza della decisione dell’arbitro. L’arbitro non era tenuto a limitarsi alla pronuncia di diritto societario sulla legittimità della delibera di esclusione, senza pronunciarsi sul ripristino del rapporto di mutualità e di lavoro (pronunce che, secondo la tesi difensiva della cooperativa, avrebbero invece dovuto essere emesse dal giudice del lavoro). La Suprema Corte afferma che si tratta di pronunce meramente conseguenziali all’accertata illegittimità della delibera di esclusione. Una volta che il lodo è stato invalidato, per il fatto – come si è detto – che la delibera di esclusione non era fondata su specifiche ragioni, l’annullamento della delibera ha determinato necessariamente la ricostituzione dei rapporti mutualistici e del rapporto di lavoro, connessi funzionalmente allo status di socio.
[1] Sull’esclusione del socio lavoratore dalla cooperativa cfr. S. Agostini, S. Chirico, “Risoluzione del rapporto di lavoro ed esclusione del socio”, in Cooperative e enti non profit, n. 3/2020, pag. 29 e ss.; G. Craca, “Esclusione e licenziamento del socio di cooperativa tra orientamenti giurisprudenziali e riforma Cartabia”, in Il lavoro nella giurisprudenza, n. 7/2023, pag. 696 e ss.; M. Turrin, “L’esclusione del socio lavoratore di cooperativa per motivi discriminatori: quali tutele alla luce del diritto eurounitario?”, in Argomenti di diritto del lavoro, n. 3/2023, pag. 498 e ss..
[2] Corte d’Appello di Salerno, 29 giugno 2020, in Società, n. 11/2020, pag. 1265 e ss., con nota di E. Cicatelli.
[3] Cassazione n. 6373/2016.
[4] Cassazione n. 23628/2015, aveva precedentemente precisato che la comunicazione della deliberazione di esclusione del socio prevista, ai fini del decorso del termine per proporre opposizione, non richiede l’adozione di specifiche formalità o di particolari mezzi di trasmissione, né la rigorosa enunciazione degli addebiti, dovendosi considerare sufficiente qualsiasi fatto o atto idoneo a rendere edotto il socio delle ragioni e del contenuto del provvedimento, per porlo nelle condizioni di articolare le proprie difese.
[5] Cassazione n. 31469/2023.
[6] Cassazione, SS.UU., n. 8386/2019.
[7] Cassazione n. 22688/2018.
[8] Tribunale di Milano, 1° aprile 2014, in giurisprudenzadelleimprese.it.
[9] Tribunale di Roma, 30 settembre 2017, in giurisprudenzadelleimprese.it.
[10] Tribunale di Bologna, 25 settembre 2017, in giurisprudenzadelleimprese.it.
[11] Cassazione n. 6120/2024.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Il giurista del lavoro”