29 Febbraio 2024

Entrino pure i cervelli, ma non esca nessuno

di Riccardo Girotto Scarica in PDF

L’aggiornamento della normativa sugli impatriati ricuce il legame con la ratio ispiratrice, profondamente sfilacciato dalla stratificazione normativa che ha interessato il tema in questi ultimi anni.

Nata come misura finalizzata ad agevolare il rientro dei cervelli, la normativa impatriati ha visto ampliare il proprio campo d’applicazione a tutti i soggetti con ambizioni di trasferimento in Italia, favorendo particolarmente l’obiettivo di ripopolamento del Sud[1] e offrendo valido spunto per l’attrazione di costosissimi talenti sportivi.

Considerato che il nostro Paese, a parità di condizioni economiche, risulta sempre più attraente rispetto a qualsiasi altro[2], l’azione sulla leva fiscale è risultata estremamente appetibile, tanto che la riduzione di gettito ha costretto il Legislatore a una restrizione delle maglie tramite l’emanazione del D.Lgs. 209/2023.

Ed è proprio dalla lettura del nuovo disposto che emergono aspetti sottesi a una disciplina che dovrebbe ora coinvolgere pochi, ma in realtà per alcuni aspetti travolge tutti.

Innanzitutto, l’apprezzabile coerenza con l’ispirazione originaria è data dai possibili fruitori della misura, che tornano a essere lavoratori altamente specializzati[3], i cervelli insomma, mentre la misura dell’agevolazione fiscale si riduce al 50% (estendibile a 60% in caso di ingresso in Italia con figlio minore o nascita di un figlio nel corso di fruizione del beneficio). I periodi di riferimento coinvolgono i 3 anni di residenza fiscale[4] all’estero prima del trasferimento e il mantenimento dello stesso requisito in Italia per i 5 anni successivi.

Emerge, quindi, con prepotenza il disegno del Legislatore, protratto verso il rientro dei cervelli, optando per la caratterizzazione qualitativa della misura, oltre alla premialità verso il fattore demografico oggetto di statistiche e dati previsionali, al momento, impietosi. Potremmo finire l’analisi qui, non emergesse un dato che in realtà coinvolge solo marginalmente la questione impatriati, estendendo invece i propri effetti senza limite alcuno a tutti i contribuenti. L’articolo 1, Decreto fiscalità internazionale, riscrive, infatti, il concetto di residenza fiscale in Italia, di fatto la definizione che interessa il 90% del contenzioso in tema di evasione fiscale dei “presunti” expats.

Così recita il testo nella sua versione rivista: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello stato ovvero sono ivi presenti. ai fini dell’applicazione della presente disposizione, per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente”.

Non possono non sorprendere anche l’osservatore meno esperto i nuovi requisiti mutuati dalla prassi e dalla giurisprudenza tributaria, che trovano oggi residenza nella fonte primaria, quali:

  • la frazione di giorno” concorrente alla misurazione della maggior parte del periodo d’imposta. Sarà curioso capire come calcolare e provare un requisito che potrebbe determinare effetti fiscali dirompenti;
  • viene introdotto il requisito della presenza fisica, con la locuzione “ivi presenti”, infatti, si avvia una stagione investigativa potenzialmente molto dispendiosa;
  • l’assunzione del “luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona” impone l’attenzione verso tutte quelle condotte, che, pur esterne al rapporto di lavoro e alla produzione del reddito, possono influire sul piano fiscale. Di fatto, questa previsione si dimostra aperta a qualsiasi situazione, mancando una tipizzazione chiara del concetto di “relazione personale”;
  • la conferma che l’iscrizione all’Aire risulta requisito necessario (forse), ma non sufficiente qualora isolato. Questo punto pare convincere più dei precedenti, stante una prassi accertativa ampiamente consolidata.

De iure condito, l’attenzione dedicata agli impatriati sottende un riflesso travolgente per gli expats, che, al contrario, avrebbero interesse a dimostrare l’estraneità della propria residenza fiscale. Eppure, la nuova definizione arricchita da questi requisiti, risulta assorbire ogni quota reddituale, onerando il (possibile) contribuente a cui interessa dimostrare l’estraneità rispetto alla pretesa fiscale italiana, di un esercizio probatorio molto più che diabolico.

In questo caso, l’adagio latino ubi lex voluit dìxit soccorre solo se non ci si ferma alla copertina, bensì ci si prodiga nella lettura critica di un contenuto volutamente, o meno, celato.

[1] Agevolazione più marcata che consentiva il concorso all’imponibile fiscale del solo 10% del reddito.

[2] Perdonerete la mia posizione così fondamentalista, ma il nostro è il Paese più bello del mondo.

[3] Nell’accezione ex D.Lgs. 108/2012 e D.Lgs. 206/2007.

[4] Requisito esteso in caso di lavoratori già occupati nel medesimo gruppo prima della fruizione dell’agevolazione, rispettivamente a 6 anni e a 7, qualora avessero anche già lavorato in precedenza in Italia per il medesimo gruppo.

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