Distacco intracomunitario: modificata la Direttiva 96/71
di Fabrizio NativiDopo il D.Lgs. 136/2016, entrato in vigore il 22 luglio 2016, che aveva recepito nel nostro ordinamento la Direttiva 2014/67/UE, detta Direttiva enforcement, di applicazione della Direttiva 96/71/CE, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi, è stata pubblicata la nuova Direttiva 2018/957 del Parlamento europeo e del Consiglio, il cui fine è il miglioramento delle tutele dei lavoratori distaccati nell’ambito dell’UE. La nuova direttiva apporta modifiche dirette al testo della Direttiva madre 96/71. Risultano rafforzate alcune misure di contrasto a condotte abusive e introdotti nuovi profili di protezione sostanziale dei lavoratori. La protezione limitata alle sole materie contemplate nel c.d. nocciolo duro è poi contingentata a un tempo di soli 12 mesi, estensibili a 18.
Le modifiche principali
Come noto, la Direttiva 96/71/CE opera nell’ambito della libera circolazione di servizi, di cui all’articolo 56, Tfue. La disciplina si applica quindi alle fattispecie di appalto transnazionale, distacco transnazionale di un lavoratore in favore di un’altra impresa anche facente parte dello stesso gruppo, trasferimento temporaneo di un lavoratore a una sede stabilita in altro Stato membro, somministrazione transnazionale di lavoro. In ordine alla somministrazione di lavoro la nuova Direttiva 2018/957/UE precisa che nel caso in cui un lavoratore, che sia stato fornito da un’impresa di lavoro temporaneo o da un’impresa che effettua cessioni temporanee presso un’impresa utilizzatrice, sia chiamato, dall’impresa utilizzatrice, a svolgere un lavoro nel quadro di una prestazione di servizi transnazionale (siano esse consistenti in appalti, distacchi, trasferimenti o somministrazioni di lavoro), nel territorio di uno Stato membro diverso da quello in cui il lavoratore abitualmente lavora per l’impresa di lavoro temporaneo o per l’impresa che effettua cessioni temporanee, oppure per l’impresa utilizzatrice, il lavoratore è considerato distaccato nel territorio di tale Stato membro dall’impresa di lavoro temporaneo o dall’impresa che effettua la fornitura, con la quale sussiste un rapporto di lavoro. Insomma, la tutela prevista per la somministrazione di lavoro, come noto più estesa rispetto a quella prevista per le altre fattispecie, segue il lavoratore anche nel caso in cui quest’ultimo sia ulteriormente distaccato in un terzo Paese membro.
Rispetto alle materie componenti il nucleo del c.d. “nocciolo duro” di tutele da garantire indipendentemente dallo Stato di esecuzione delle prestazioni di lavoro, la nuova Direttiva interviene modificando l’articolo 3, Direttiva 96/71/CE. In particolare, anziché fare riferimento alle tariffe minime salariali, ora ci si riferisce alla retribuzione, comprese le tariffe maggiorate per lavoro straordinario. La nozione di retribuzione è determinata, inoltre, dalla normativa o dalle prassi nazionali dello Stato membro nel cui territorio il lavoratore è distaccato, e per essa si intendono tutti gli elementi costitutivi della retribuzione resi obbligatori da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali, da contratti collettivi considerati di applicazione generale. Viene inoltre rafforzato il vincolo di trasparenza, introdotto dalla direttiva enforcement, ai sensi del quale debbono essere pubblicati su di un sito web nazionale gli elementi costitutivi della retribuzione e tutte le condizioni di lavoro e di occupazione. I dati devono essere esatti e aggiornati. L’inesattezza dei dati e il loro mancato aggiornamento deve essere preso in considerazione per proporzionare le reazioni sanzionatorie in caso di mancato rispetto delle tutele fissate dalla Direttiva comunitaria da parte dei datori di lavoro.
Entrano a far parte delle materie componenti il “nocciolo duro” le indennità o rimborso a copertura delle spese di viaggio, vitto e alloggio per i lavoratori lontani da casa per motivi professionali, con la precisazione che tale livello di tutela si applica esclusivamente alle spese di viaggio, vitto e alloggio sostenute da lavoratori distaccati, qualora gli stessi debbano muoversi verso il loro abituale luogo di lavoro dallo Stato membro nel cui territorio sono distaccati, ovvero qualora siano inviati temporaneamente dal loro datore di lavoro da tale abituale luogo di lavoro verso un altro luogo di lavoro.
In ordine ai profili temporali del distacco, rispetto ai quali la Direttiva madre taceva, viene aggiunto all’articolo 3 di quest’ultima il paragrafo 1-bis, che merita essere riportato per esteso: “Qualora la durata effettiva di un distacco superi 12 mesi, gli Stati membri provvedono affinché, indipendentemente dalla normativa applicabile al rapporto di lavoro, le imprese di cui all’articolo 1, paragrafo 1, garantiscano, sulla base della parità di trattamento, ai lavoratori che sono distaccati nel loro territorio oltre alle condizioni di lavoro e di occupazione di cui al paragrafo 1 del presente articolo, tutte le condizioni di lavoro e di occupazione applicabili nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di lavoro, stabilite da:
- disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, e/o
- contratti collettivi o arbitrati dichiarati di applicazione generale o che in alternativa si applicano a norma del paragrafo 8.
Il primo comma del presente paragrafo non si applica alle materie seguenti:
- procedure, formalità e condizioni per la conclusione e la cessazione del contratto di lavoro, comprese le clausole di non concorrenza;
- regimi pensionistici integrativi di categoria.
Qualora il prestatore di servizi presenti una notifica motivata, lo Stato membro in cui è prestato il servizio estende il periodo di cui al primo comma a 18 mesi. Se un’impresa di cui all’articolo 1, paragrafo 1, sostituisce un lavoratore distaccato con un altro lavoratore distaccato che espleta le stesse mansioni nello stesso luogo, la durata del distacco ai fini del presente paragrafo corrisponde alla durata complessiva dei periodi di distacco dei singoli lavoratori distaccati interessati. Il concetto di «stesse mansioni nello stesso luogo» di cui al quarto comma del presente paragrafo è determinato tenendo in considerazione, tra l’altro, la natura del servizio da prestare, il lavoro da effettuare e l’indirizzo o gli indirizzi del luogo di lavoro”.
Come sappiamo, la durata massima del distacco intracomunitario non è delimitata tassativamente, essendo connessa alla durata del contratto di servizi transnazionale. La durata può risultare molto estesa, senza che ciò comporti “stabilimento” nello Stato membro di esecuzione delle prestazioni, qualora la permanenza risulti comunque temporanea. La realizzazione di una grande opera pubblica in appalto, per esempio, avviene certamente nell’ambito della circolazione dei servizi e, pur non comportando necessariamente lo stabilimento, può durare comunque parecchi anni.
La durata massima del distacco transnazionale è, pragmaticamente ma impropriamente, dedotta dal Regolamento CE 883/2004, ai sensi del cui articolo 12 la persona che esercita un’attività subordinata in uno Stato membro per conto di un datore di lavoro che vi esercita abitualmente le sue attività ed è da questo distaccata, per svolgervi un lavoro per suo conto, in un altro Stato membro, rimane soggetta alla legislazione del primo Stato membro, a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i 24 mesi e che essa non sia inviata in sostituzione di un’altra persona.
Insomma, il quadro generale delle regole imposte dal Trattato Roma I e il Regolamento 883/2004, è che, ordinariamente, le obbligazioni di fonte legale (fra le quali quelle contributive) si assolvono nel Paese di esecuzione delle prestazioni e che al rapporto di lavoro si applica ordinariamente la sola disciplina previdenziale del Paese di esecuzione delle prestazioni, nel rispetto di un principio di unicità della posizione contributiva. Qualora, però (ed è di questa eccezione che ci si occupa), la prestazione lavorativa sia resa, nell’ambito della circolazione di servizi, in un Paese diverso rispetto a quello di costituzione del rapporto di lavoro, opera la deroga prevista dall’articolo 12, Regolamento 883/2004, sempre che la costituzione del rapporto contributivo previdenziale presso l’Ente di sicurezza sociale del Paese di provenienza sia dimostrata dal formulario A1 (vedi in proposito il Regolamento applicativo CE 987/2009) e sempre che il distacco transnazionale sia genuino.
Peraltro, come precisato dalla circolare INL n. 1/2017, la presenza o l’assenza del formulario A1 non è di per sé elemento autonomamente sufficiente a suffragare la genuinità o la fraudolenza di un distacco intracomunitario.
Insomma, non va dimenticato che il Regolamento CE 883/2004 nonché il Regolamento applicativo 987/2009, riguardano le tutele accordate dai sistemi di sicurezza sociale e non direttamente gli istituti civilistici connessi al mutamento del luogo di lavoro nell’UE.
Neppure la nuova Direttiva, a ben vedere, stabilisce la durata massima di un contratto di servizi, restando inteso evidentemente che, fino a che è ravvisabile il rispetto di un principio di temporaneità della presenza, in ragione di un contratto di servizi e non si si configuri uno stabilimento, non deriva automaticamente l’applicazione dell’intero apparato normativo dello Stato di esecuzione delle prestazioni.
La Direttiva prevede però che, qualora il distacco superi i 12 mesi, la tutela minima non dovrà riguardare solo le materie di cui al “nocciolo duro”, ma venga estesa a tutte le condizioni di lavoro e di occupazione applicabili nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di lavoro, stabilite da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, e/o contratti collettivi, ad eccezione delle procedure, formalità e condizioni per la conclusione e la cessazione del contratto di lavoro, comprese le clausole di non concorrenza, nonché i regimi pensionistici integrativi di categoria. Qualora il distaccante/appaltatore presenti una notifica motivata, la Direttiva prevede che lo Stato membro in cui è prestato il servizio estenda il periodo da 12 mesi a 18 mesi.
È bene precisare che la legislazione applicabile superati i 12 o i 18 mesi non è anche quella contributiva e previdenziale, ma soltanto quella riguardante il rapporto di lavoro. Il regime contributivo resterà disciplinato dal Regolamento CE 883/2004, con iscrizione al sistema di sicurezza sociale dello Stato di provenienza fino a 24 mesi. Il “nocciolo duro” si allarga però a quasi tutti i profili di tutela del rapporto di lavoro.
Le tutele dei lavoratori distaccati
Nell’attuale quadro regolamentatorio, in attesa del recepimento della nuova Direttiva, ai lavoratori distaccati devono essere garantite le medesime condizioni di lavoro e occupazione previste per i lavoratori che effettuano prestazioni lavorative subordinate analoghe nel luogo in cui si svolge il distacco.
Per condizioni di lavoro e occupazione, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera e), D.Lgs. 136/2016, si intendono “le condizioni disciplinate da disposizioni normative e dai contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo n. 81 del 2015 relative alle seguenti materie:
- periodi massimi di lavoro e periodi minimi di riposo;
- durata minima delle ferie annuali retribuite;
- trattamenti retributivi minimi, compresi quelli maggiorati per lavoro straordinario;
- condizione di cessione temporanea dei lavoratori;
- salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
- provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti o puerpere, bambini e giovani;
- parità di trattamento fra uomo e donna nonché altre disposizioni in materia di non discriminazione”.
La scelta del Legislatore italiano è stata quella di imporre le tutele previste per le sole materie appartenenti al “nocciolo duro”, sia che esse siano previste dalla legge che dalla contrattazione collettiva, di primo livello ovvero decentrata, per tutti i settori produttivi.
Rispetto al lavoratore distaccato è necessario, pertanto, procedere a un test di sufficienza, per verificare, ad esempio, se il trattamento economico complessivamente riconosciuto è almeno pari a quello che percepirebbe complessivamente il lavoratore che svolge prestazioni analoghe nel medesimo luogo, in applicazione della parte economica del contratto collettivo italiano. Il riferimento operato dal decreto ai contratti collettivi, riguarda infatti “i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”.
Per la somministrazione di lavoro opera il principio di parità di trattamento economico e normativo con i lavoratori dipendenti dell’utilizzatore. Conformemente a quanto previsto dall’articolo 3, paragrafo 9, Direttiva 96/71/CE, si prevede infatti l’applicazione dell’articolo 35, comma 1, D.Lgs. 81/2015, ai sensi del quale “per tutta la durata della missione presso l’utilizzatore, i lavoratori del somministratore hanno diritto, a parità di mansioni svolte, a condizioni economiche e normative complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore”.
Per la somministrazione di manodopera le condizioni economiche e normative da riconoscere ai lavoratori interinali non possono essere complessivamente inferiori a quelle previste per i dipendenti diretti dell’utilizzatore senza che possa farsi limitazione alle materie appartenenti al c.d. “nocciolo duro”.
Principi di responsabilità solidale
Il D.Lgs. 136/2016 stabilisce che, per le fattispecie di appalto, ma anche per quelle di distacco intra gruppo o extra gruppo, sono applicabili le disposizioni di cui all’articolo 29, comma 2, D.Lgs. 276/2003, ai sensi del quale il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di 2 anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di Tfr, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto. Applicabile anche l’articolo 1676 cod. civ., ai sensi del quale “coloro che, alle dipendenze dell’appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l’opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda”.
Per la somministrazione di lavoro, l’articolo 4, comma 4, D.Lgs. 136/2016, prevede che si applichi l’articolo 35, comma 2, D.Lgs. 81/2015, ai sensi del quale “l’utilizzatore è obbligato in solido con il somministratore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e a versare i relativi contributi previdenziali, salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore”.
Per il distacco operato nell’ambito di un contratto di trasporto si rinvia all’applicazione dell’articolo 83-bis, commi da 4-bis a 4-sexies, D.L. 112/2008, convertito dalla L. 133/2008. La norma prevede che il committente è tenuto a verificare preliminarmente alla stipulazione del contratto la regolarità contributiva del vettore, facendosi fornire un’attestazione rilasciata dagli Enti previdenziali di data non anteriore a 3 mesi. Il committente che non esegue la verifica è obbligato in solido con il vettore, nonché con ciascuno degli eventuali sub-vettori, entro il limite di un anno dalla cessazione del contratto di trasporto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi agli Enti competenti, dovuti limitatamente alle prestazioni ricevute nel corso della durata del contratto di trasporto.
Obblighi amministrativi
L’articolo 10, comma 1, D.Lgs. 136/2016, prevede che l’impresa che distacca lavoratori in Italia ha l’obbligo di comunicare il distacco al Ministero del lavoro e delle politiche sociali entro le ore 24.00 del giorno antecedente l’inizio del distacco e di comunicare tutte le successive modificazioni entro 5 giorni. Le informazioni obbligatorie della comunicazione preventiva sono:
- dati identificativi dell’impresa distaccante;
- numero e generalità dei lavoratori distaccati;
- data di inizio, di fine e durata del distacco;
- luogo di svolgimento della prestazione di servizi;
- dati identificativi del soggetto distaccatario;
- tipologia dei servizi;
- generalità e domicilio eletto del referente di cui al comma 3, lettera b);
- generalità del referente di cui al comma 4;
- numero del provvedimento di autorizzazione all’esercizio dell’attività di somministrazione, in caso di somministrazione transnazionale ove l’autorizzazione sia richiesta dalla normativa dello Stato di stabilimento.
Il mancato rispetto dell’obbligo di comunicazione di cui all’articolo 10, comma 1, D.Lgs. 136/2016, è punito ai sensi dell’articolo 12, comma 1, con la sanzione amministrativa pecuniaria da 150 a 500 euro, per ogni lavoratore interessato. Ai sensi dell’articolo 12, comma 4, in ogni caso, le sanzioni non possono essere superiori a 150.000 euro. Ai sensi dell’articolo 10, comma 3, durante il periodo del distacco e fino a 2 anni dalla sua cessazione, l’impresa distaccante ha l’obbligo di:
- conservare, predisponendone copia in lingua italiana, il contratto di lavoro o altro documento contenente le informazioni di cui agli articoli 1 e 2, D.Lgs. 152/1997, i prospetti paga, i prospetti che indicano l’inizio, la fine e la durata dell’orario di lavoro giornaliero, la documentazione comprovante il pagamento delle retribuzioni o i documenti equivalenti, la comunicazione pubblica di instaurazione del rapporto di lavoro o documentazione equivalente e il certificato relativo alla legislazione di sicurezza sociale applicabile;
- designare un referente elettivamente domiciliato in Italia, incaricato di inviare e ricevere atti e documenti. In difetto, la sede dell’impresa distaccante si considera il luogo dove ha sede legale o risiede il destinatario della prestazione di servizi.
Ai sensi dell’articolo 12, comma 2, il mancato rispetto degli obblighi di cui all’articolo 10, comma 3, lettera a), è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 3.000 euro per ogni lavoratore interessato. Ai sensi dell’articolo 12, comma 4, in ogni caso, le sanzioni non possono essere superiori a 150.000 euro.
La violazione degli obblighi di cui all’articolo 10, comma 3, lettera b), è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 6.000 euro.
Il comma 4 obbliga, inoltre, l’impresa distaccante a designare, per tutto il periodo del distacco, un referente con poteri di rappresentanza per tenere i rapporti con le parti sociali interessate a promuovere la negoziazione collettiva di secondo livello con obbligo di rendersi disponibile in caso di richiesta motivata delle parti sociali. La violazione degli obblighi di cui all’articolo 10, comma 4, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 6.000 euro.
Autenticità del distacco
Va ricordato, inoltre, che, qualora il distacco in favore di un’impresa stabilita in Italia non risulti autentico, il lavoratore è considerato a tutti gli effetti alle dipendenze del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione.
Nelle ipotesi in cui il distacco non risulti autentico, inoltre, il distaccante e il soggetto che ha utilizzato la prestazione dei lavoratori distaccati sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria di 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. In ogni caso, l’ammontare della sanzione non può essere inferiore a 5.000 euro né superiore a 50.000 euro.
Nei casi in cui il distacco non autentico riguardi i minori, il distaccante e il soggetto che ha utilizzato la prestazione dei lavoratori distaccati sono puniti con la pena dell’arresto fino a 18 mesi e con l’ammenda di 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione aumentata fino al sestuplo.
Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.
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