Diritto di accesso del lavoratore al suo fascicolo personale
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 7 aprile 2016, n.6775, ha deciso che il diritto soggettivo del lavoratore di accedere al proprio fascicolo personale è tutelabile in quanto tale, perché si tratta di una posizione giuridica soggettiva che trae la sua fonte dal rapporto di lavoro. L’obbligo del datore di lavoro di consentirne il pieno esercizio deriva dal rispetto dei canoni di buona fede e correttezza che incombe sulle parti del rapporto di lavoro ai sensi degli artt.1175 e 1375 cod.civ., come, del resto è confermato dal fatto che, da tempo, la contrattazione collettiva dei diversi settori prevede che i datori di lavoro debbano conservare, in un apposito fascicolo personale, tutti gli atti e i documenti, prodotti dall’Ente o dallo stesso dipendente, che attengono al percorso professionale, all’attività svolta e ai fatti più significativi che lo riguardano e che il dipendente ha diritto di prendere visione liberamente degli atti e documenti inseriti nel proprio fascicolo personale. Ciò non esclude – ma anzi rafforza – il diritto del lavoratore di rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali tutte le volte in cui intenda ottenere, in tempi ragionevoli, alcuno dei provvedimenti – di natura provvisoria o definitiva al fine di ottenere, ad esempio, l’integrazione dei dati personali detenuti dal datore di lavoro con documenti ulteriori, che attestino valutazioni di merito o che comunque, a suo avviso, rilevino in ogni caso, restando salva la discrezionalità del datore circa le modalità di utilizzo di dette integrazioni. Il diritto riconosciuto ai lavoratori dipendenti di ottenere che le valutazioni datoriali su rendimento e capacità professionale, espresse con le note di qualifica, siano formulate nel rispetto dei parametri oggettivi previsti dal contratto collettivo e degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede, oltre che dell’inerente necessaria trasparenza, può essere fatto valere in sede giudiziaria – pure a prescindere da un immediato effetto negativo subito, venendo in considerazione la tutela della dignità del lavoratore – onde ottenere il controllo da parte del giudice della conformità del procedimento seguito per la formulazione delle suindicate valutazioni ai suddetti parametri, gravando sul datore di lavoro l’onere di motivare le note di qualifica medesime, per permettere lo svolgimento di tale controllo giudiziale, il quale non è limitato alla mera verifica della coerenza estrinseca del giudizio riassuntivo della valutazione, ma ha ad oggetto la verifica della correttezza del procedimento di formazione del medesimo. Sicché esso richiede di prendere in esame i dati sia positivi che negativi rilevanti al fine della valutazione, non potendo invece tenersi conto di quelli estranei alla prestazione lavorativa, comportando la violazione del suddetto obbligo datoriale la conseguenza che la valutazione stessa debba ritenersi non avvenuta.