Dimissioni telematiche: una questione irrilevante per una formalità abnorme
di Luca Vannoni
Con l’emanazione della circolare n.12 del 4 marzo 2016, è stato definito il corredo normativo e amministrativo per l’imminente entrata in vigore, il 12 marzo, della nuova procedura telematica per le dimissioni.
Il lavoratore dovrà infatti comunicare dimissioni, o risoluzione consensuale, mediante un modulo accessibile dal sito del Ministero del Lavoro: per far ciò, il lavoratore dovrà richiedere, se non ne è in possesso, il Pin Inps, che consentirà di essere riconosciuto dal sistema informatico del Ministero del Lavoro, così da accedere all’agognato modulo, che verrà poi inoltrato al datore di lavoro e alla DTL.
Come unica strada alternativa, il lavoratore potrà effettuare la procedura tramite patronati, organizzazioni sindacali nonché Enti bilaterali e commissioni di certificazione.
Inoltre, il co.2, art.26, D.Lgs. n.151/15, prevede che, una volta inviato il modulo, il lavoratore ha, comunque, la possibilità di revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale entro i successivi sette giorni.
Il documento di prassi non ha potuto disinnescare il difetto strutturale del nuovo adempimento: le dimissioni rassegnate con modalità diverse da quelle previste sono inefficaci, senza che sia possibile per il datore di lavoro attivare una procedura residuale per confermare dimissioni non formalizzate.
Il Ministero si limita infatti a precisare, in modo surreale, che “in tal caso (dimissioni inefficaci, NdA) il datore di lavoro dovrebbe invitare il lavoratore a compilare il modulo nella forma e con le modalità telematiche previste dalla nuova disciplina”. Senza poi approfondire le conseguenze del permanere dell’inattività da parte del lavoratore. Anzi, ribadendo poche righe dopo che “soltanto con tali modalità il datore di lavoro potrà considerare valide le dimissioni presentate dal lavoratore e considerare risolto il contratto di lavoro”.
L’inefficacia, di conseguenza, sposta sul datore di lavoro l’onere di interrompere il rapporto, mediante licenziamento per giusta causa per assenza giustificata, assumendo i costi legati in particolare al ticket NASpI.
Spostando la prospettiva sul lavoratore, le dimissioni inefficaci non determinano l’obbligo, per il datore di lavoro, di riconoscere le competenze di fine rapporto e il Tfr, situazione ovviamente da prospettare nella richiesta da inviare al lavoratore nel caso in cui siano state presentate dimissioni inefficaci.
Per attenuare il danno economico nei casi in cui si debba procedere con il licenziamento, si ritiene possibile introdurre, con policy aziendale sottoscritta per ricevuta e accettazione del dipendente, la specifica previsione del recupero dalle competenze di fine rapporto del ticket NASpI.
Un ultima osservazione: la procedura telematica si applica solo al lavoro subordinato, decorso il periodo di prova, e non ai recessi da contratti di collaborazione, in precedenza soggetti alla convalida prevista dalla L. n.92/12.