17 Luglio 2024

Dimissioni in periodo protetto: la posizione dell’INL sulla revoca

di Andrea Ercoli Scarica in PDF

Il momento delle dimissioni rappresenta sempre uno snodo particolare, dal punto di vista gestionale e amministrativo. L’introduzione di particolari tutele, al fine di individuare la genuinità della volontà del lavoratore di recedere dal rapporto, ha reso la procedura più rigida. L’intervento necessario dell’ITL, sulla base delle indicazioni normative, ha generato alcuni dubbi sull’istituto della revoca, che l’INL ha affrontato con la nota n. 862/2024.

 

Premessa

L’ordinamento italiano, nell’ambito delle tutele garantite ai lavoratori dipendenti, mantiene una particolare attenzione nei confronti dei lavoratori che siano anche genitori. In particolar modo, uno specifico corredo di tutele è riconosciuto sia al fine di coordinare al meglio il ruolo di genitore con le attribuzioni tipiche di un rapporto di lavoro, sia per proteggere il lavoratore o la lavoratrice da conseguenze ritorsive del datore di lavoro, legate alle condizioni familiari e personali del dipendente stesso. In questo senso, nel 2001 veniva emanato il D.Lgs. 151/2001, che contiene il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità. In questo singolo atto normativo le richiamate tutele sono state ricondotte a un ordine sistematico, garantendo coerenza e trasparenza al sistema. Nel corso degli anni successivi, la normativa a tutela della genitorialità è stata spesso rimaneggiata, con azioni estensive e riformulazioni, per mantenerne l’efficacia anche in relazione alle differenti sensibilità, maturate con il tempo sul tema. In particolare, la tutela nei confronti delle illegittime risoluzioni di contratto di lavoro, legate alle condizioni familiare del lavoratore o della lavoratrice, ha suscitato nel corso degli anni forte interesse e, a seguito dell’introduzione di norme ulteriori, un necessario coordinamento dal punto di vista della procedura e della disciplina.

 

Le dimissioni

Quale atto idoneo a manifestare la volontà del lavoratore di interrompere il rapporto di lavoro in essere, le dimissioni, nel corso degli anni, sono state oggetto di revisioni normative che ne hanno modificato la procedura più volte. Dalla convalida mediante la firma sul modello Unilav fino alle dimissioni telematiche, l’intento del Legislatore è sempre stato quello di circoscrivere l’utilizzo scorretto di questa modalità di cessazione, purtroppo diffuso in tempi più risalenti. La normativa ha, quindi, prodotto nuovi strumenti, facendo sì che le tutele previste assicurassero che la volontà del lavoratore di cessare il rapporto fosse raccolta in modo genuino e contestuale al momento dell’effettiva risoluzione. La più rilevante disposizione del testo della legge è rinvenibile nel D.Lgs. 151/2015, che ha introdotto la procedura delle dimissioni telematiche rese dal lavoratore. Al fine di scongiurare la pratica tristemente diffusa delle c.d. dimissioni in bianco, ossia la prassi di far firmare – in sede di assunzione – al lavoratore una lettera di dimissioni non datata, da tenere disponibile nel caso in cui il datore di lavoro avesse voluto chiudere il rapporto di lavoro senza la corretta procedura prevista dalla normativa sul licenziamento, ha disposto l’obbligo di procedere in forma telematica alle dimissioni volontarie. Al netto di alcune criticità organizzative evidenziate dalla quotidianità, il provvedimento ha assunto carattere di stabilità ed è tutt’ora vigente e largamente conosciuto.

Il modello telematico di dimissioni è inviabile attraverso il portale servizi.lavoro.gov.it, disponibile anche a partire dal portale telematico Inps e accessibile attraverso lo Spid personale del lavoratore. Il dipendente che non fosse nelle disponibilità dello Spid, oppure che ritenesse di essere assistito nell’invio, potrebbe far ricorso a un patronato abilitato a questo tipo di pratiche.

Il modello è semplice e consente di inserire i dati anagrafici, di contatto del datore di lavoro e di cessazione del rapporto di lavoro. Il modello telematico può indicare sia le dimissioni volontarie, sia le dimissioni per giusta causa (oltre al caso della risoluzione consensuale); in questo secondo caso sarà possibile inserire le motivazioni a sostegno della giusta causa richiamata dal lavoratore.

Strettamente legato all’istituto delle dimissioni è il relativo periodo di preavviso previsto dall’articolo 2118, cod. civ., e quantificato dalla totalità dei contratti collettivi.

Il periodo di preavviso, che opera a tutela della parte cui l’atto di recesso è indirizzato (e quindi, nel caso delle dimissioni, del datore di lavoro), è un lasso di tempo che deve necessariamente intercorrere tra la comunicazione dell’intenzione di recedere dal contratto di lavoro e la data del recesso medesimo. Il tema della decorrenza di tale periodo è di assoluta rilevanza, in quanto l’individuazione della data di decorrenza consente di calcolare in modo preciso se il periodo contrattualmente previsto è stato rispettato o meno dalla parte che esercita il recesso. In questo senso, l’introduzione delle dimissioni telematiche ha consentito di avere un punto di riferimento, seppure non possa essere certo che la data di invio della pratica sia la medesima di ricezione della relativa comunicazione da parte del datore di lavoro, la procedura fissa un momento preciso in cui tale pratica è stata inviata al sistema informatico. Il preavviso, ove rispettato, si risolve in un periodo di tempo, come detto, ma dove non venisse rispettato si converte in un’indennità economica. Tale indennità dev’essere quantificata secondo le regole di ciascun contratto collettivo, che ne indica le modalità di calcolo con riferimento all’inquadramento di ciascun lavoratore.

 

Le dimissioni in periodo protetto

Le dimissioni in periodo ordinario, come detto, sono un atto che il lavoratore può inviare, con le tutele procedurali sopra richiamate. In determinati periodi individuati come particolarmente delicati dalla norma, tuttavia, queste tutele sono rinforzate, al fine di garantire al massimo l’aderenza dell’atto di recesso alla volontà specifica del lavoratore. In particolar modo, per quanto riguarda il tema oggetto del presente contributo, è previsto un periodo protetto entro il quale il lavoratore e la lavoratrice che intendano dimettersi sono beneficiari di una tutela ulteriore. Quest’ultima si traduce in un procedimento più articolato per rassegnare le dimissioni dal rapporto di lavoro.

Il periodo protetto si articola in 2 momenti, sovrapposti tra loro, ma che hanno 2 tutele differenti:

  1. il periodo intercorrente tra la nascita e il compimento di un anno di età del bambino;
  2. il periodo dei primi 3 anni di vita del bambino (o nei primi 3 anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento o, in caso di adozione internazionale, nei primi 3 anni decorrenti dalla comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando ovvero della comunicazione dell’invito a recarsi all’estero per ricevere la proposta di abbinamento).

Nel periodo intercorrente tra l’anno e i 3 anni di vita del bambino la tutela opera con intensità differente, ma la procedura per rassegnare validamente le dimissioni è la medesima prevista per il primo periodo. Le dimissioni devono, infatti, essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio, ovvero dall’ITL competente.

Nel primo periodo, oltre che la procedura di convalida obbligatoria delle dimissioni presso l’ITL, la norma prevede maggiori tutele per i lavoratori. La norma prevede, infatti, che la lavoratrice che si dimetta volontariamente entro l’anno di vita del figlio abbia diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento.

Questa tutela è stata estesa anche al padre lavoratore che abbia fruito del congedo di paternità, anche se è stata messa in dubbio l’interpretazione letterale della norma. A tal riguardo, è necessario fare riferimento al testo di legge (articolo 54, D.Lgs. 151/2001), che recita:

1. In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto, a norma dell’articolo 54, il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento. La lavoratrice e il lavoratore che si dimettono nel predetto periodo non sono tenuti al preavviso.

2. La disposizione di cui al comma 1 si applica al padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternità”.

La formulazione del comma 2 contiene l’espressione “La disposizione di cui al comma 1”, benché il comma 1, di fatto, contenga 2 disposizioni:

  1. il riconoscimento delle indennità per il caso di licenziamento (primo periodo);
  2. l’esonero dal preavviso (secondo periodo).

L’interpretazione più estensiva sostiene che il comma 2 si riferisca all’intero comma 1, quindi disponendo per il padre sia il riconoscimento delle indennità per il caso di licenziamento, sia l’esonero dal prestare il preavviso in caso di dimissioni entro l’anno del figlio. Non manca, tuttavia, chi abbia sostenuto che l’indicazione testuale (“La disposizione”) faccia esclusivo riferimento al secondo periodo, quindi esonerando il padre dal prestare il preavviso, ma non riconoscendogli il diritto a vedersi liquidate le indennità relative al licenziamento.

Entrambe le posizioni hanno sicuramente elementi che meritano una riflessione. In particolare, la ridondanza del testo e la storia retrostante la lettera attuale giustificano la posizione restrittiva. La versione precedente del comma 1, infatti, faceva esplicito riferimento alla lavoratrice, quale beneficiaria della speciale tutela prevista per le dimissioni entro l’anno del figlio. Per questo motivo, solo alla lavoratrice madre veniva riconosciuto il versamento delle “indennità previste per il caso di licenziamento”. Conseguentemente (e secondo una logica dettata dalla struttura dei congedi disponibili al tempo), il comma 2 – invariato nel suo testo – aveva buona ragione di estendere al padre lavoratore la tutela, in caso avesse fruito del congedo di paternità. Ciò era motivato dal fatto che il congedo di paternità disponibile all’epoca della redazione del testo era esclusivamente quello alternativo, accessibile peraltro in casi specifici. La logica del testo, pertanto, era la seguente: la madre ha la tutela speciale, ma se il padre ha fruito (a seguito di gravi fattispecie) del congedo in alternativa alla madre, allora la tutela viene riproposta nei suoi confronti.

La novella del comma 1, tuttavia, ha reso il comma 2 – quantomeno – ridondante nella propria formulazione. Aggiungendo, infatti, il secondo periodo del comma 1, che già amplia la tutela dell’esonero dal preavviso al padre, perché riproporre anche il comma 2?

Una lettura propenderebbe per il fatto che l’unico motivo sarebbe quello di estendere l’obbligo di riconoscere l’indennità di preavviso, ma in questo caso perché non inserire questa estensione nel secondo periodo del comma 1?

Oltretutto, oggi il congedo di paternità alternativo non è più l’unica formula prevista. Per questo motivo, anche il padre che fruisse del congedo di paternità obbligatorio (di cui all’articolo 27-bis, D.Lgs. 151/2001), rientrerebbe a pieno diritto nella disposizione di cui al comma 2.

Seppure, quindi, il dato strettamente letterale fa propendere spesso gli interpreti e gli operatori per la prima interpretazione, non mancano gli argomenti per sostenere la lettura restrittiva, che vede nel comma 2 un residuo del testo precedente, non applicabile alla disposizione di cui al primo periodo del comma 1. Specialmente in casi in cui le dimissioni preludono a una nuova occupazione (magari già pre-contrattualizzata all’atto delle dimissioni), con indennità di preavviso magari di entità particolarmente elevata, il datore di lavoro dovrebbe valutare la possibilità di sostenere la tesi restrittiva.

È importante sottolineare come il testo di legge faccia esplicito riferimento alle indennità “previste per il caso di licenziamento”, quindi, nel caso in cui il Ccnl disponga differenti periodi (e conseguenti indennità sostitutive) di preavviso per il caso di dimissioni e per il caso di licenziamento, dovranno essere tenute in considerazione quelle previste per la seconda tipologia di cessazione.

Un esempio tipico di Ccnl che preveda questa distinzione è quello del Ccnl Terziario (Confcommercio, CNEL H011), che, appunto, prevede 2 distinte tabelle di calcolo per le 2 differenti fattispecie.

Oltre all’indennità sostitutiva del preavviso, nel primo periodo (quindi fino al compimento dell’anno di età del figlio), dovrà essere versata la contribuzione Inps prevista per il licenziamento (c.d. ticket NASpI) e la lavoratrice o il lavoratore, sussistendone i requisiti, avrà diritto ad accedere alla relativa indennità NASpI.

 

La procedura di convalida delle dimissioni

Le dimissioni rassegnate fino al compimento del terzo anno d’età del figlio sono destinatarie di una procedura specifica di convalida, per ciascuno dei genitori. Le dimissioni che non vengano successivamente convalidate rimangono inefficaci, fino all’emanazione del provvedimento da parte dell’ITL, mentre quelle che non vengano convalidate perché l’Ispettorato rilevi un vizio nella volontà sono nulle. Il testo di legge riporta, in questo senso, i principi richiamati (articolo 54, comma 4, D.Lgs. 151/2001): “La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni decorrenti dalle comunicazioni di cui all’articolo 54, comma 9, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida è sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro”.

La convalida è necessaria per ciascun atto di dimissioni reso nel periodo protetto, anche se poi il medesimo cessi (per esempio, per il compimento del terzo anno d’età del figlio): la valutazione dev’essere fatta al momento del perfezionamento dell’atto, quindi alla firma della lettera di dimissioni da parte del datore di lavoro per ricevuta (Corte Costituzionale, ordinanza n. 5598/2023).

È opportuno specificare come anche l’avvio del procedimento sia differente rispetto alle dimissioni rassegnate in periodo ordinario. La normativa sulle dimissioni telematiche, infatti (articolo 26, D.Lgs. 151/2015), prevede un’esclusione specifica delle fattispecie sopra richiamate dall’obbligo della procedura telematica di dimissioni: “1. Al di fuori delle ipotesi di cui all’articolo 55, comma 4, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sono fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali attraverso il sito www.lavoro.gov.it e trasmessi al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente con le modalità individuate con il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di cui al comma 3”.

Il periodo iniziale del testo di legge, come evidente, esclude il lavoratore che si trovi nel periodo dei primi 3 anni di vita del figlio dall’obbligo di presentare le dimissioni in forma telematica mediante il modello disponibile online, come sopra richiamato. Per questo motivo, la modalità di espressione della volontà di dimettersi, per i lavoratori che si trovino in questo periodo, rimane la tradizionale lettera, che dovrà essere scritta e firmata dal lavoratore e – di conseguenza – firmata dal datore di lavoro per ricevuta. Sarà questa lettera che dovrà essere prodotta all’ITL per la convalida prevista dalla norma.

La convalida può essere effettuata in presenza o mediante un servizio di videochiamata, quindi da remoto. Per procedere con questa seconda modalità, l’INL ha predisposto un apposito modello di richiesta (INL 12), disponibile nella sezione “Servizi e Modulistica per i lavoratori o loro delegati” del portale online dell’Ispettorato. Mediante la compilazione di questo documento, il lavoratore o la lavoratrice potranno chiedere l’intervento di convalida da parte dell’ITL competente per territorio, allegando:

  • la lettera di dimissioni, come sopra richiamata;
  • la prova di notifica delle dimissioni al datore di lavoro (ad esempio, lettera firmata per ricevuta):
  • copia di un documento d’identità (permesso di soggiorno, per i cittadini extraUE);
  • l’indirizzo pec del datore di lavoro;
  • copia dell’ultima busta paga (questo documento è chiesto solo da alcuni ITL).

Anche la richiesta di convalida in presenza comporterà la medesima produzione documentale, eccezion fatta, ovviamente, per il modello INL 12, che è previsto solo per i colloqui da remoto.

Una volta eseguito il necessario colloquio e constatato che la volontà di dimettersi è genuina e non forzata da parte del datore di lavoro, l’ITL rilascia la convalida, che rende le dimissioni pienamente efficaci. Ai sensi del D.P.C.M. 275/2010, l’ITL ha 45 giorni di tempo per rilasciare la convalida delle dimissioni, che, tuttavia, decorreranno dalla data di validità dell’atto medesimo di dimissioni (della ricezione della lettera, essendo un atto recettizio). A seguito della ricezione della convalida, il datore di lavoro potrà procedere alle incombenze di sua competenza al fine di chiudere definitivamente il rapporto di lavoro.

 

La revoca delle dimissioni

In alcuni casi, la pratica evidenzia come sia necessario procedere alla revoca delle dimissioni rassegnate dal lavoratore. Evidentemente, quest’ultimo è l’unico soggetto titolato a revocare le dimissioni già date: anche l’atto di revoca delle dimissioni è, quindi, un atto unilaterale. L’introduzione della procedura telematica sopra richiamata ha comportato, in aggiunta, la procedimentalizzazione della revoca delle dimissioni, che oggi può essere inoltrata, mediante il medesimo portale online, entro i 7 giorni successivi all’invio del modello telematico.

L’INL, a seguito di richieste di chiarimento, ha affrontato il tema della revoca delle dimissioni che siano già state convalidate presso l’ITL (nota n. 862/2024). In prima battuta, è stata esclusa la possibilità di estendere la disciplina prevista per la revoca delle dimissioni telematiche, in quanto l’inciso iniziale dell’articolo 26, D.Lgs. 151/2001 (“al di fuori delle ipotesi di cui all’articolo 55, comma 4, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151”) esclude in toto la regolazione ivi prevista. In secondo luogo, la norma di cui al D.Lgs. 151/2001 non regola in alcun modo la revoca delle dimissioni che si rendano all’interno della procedura di convalida.

L’ispettorato procede, quindi, a distinguere 2 situazioni, corrispondenti a 2 distinti momenti, in cui la revoca sia valutabile:

  1. il momento in cui le dimissioni sono rese, ma la convalida non è ancora stata effettuata (ovvero sia stato rilasciato il provvedimento di convalida, ma il termine di decorrenza delle dimissioni non sia ancora trascorso);
  2. il momento in cui le dimissioni siano state rese e convalidate dall’ITL competente, quindi perfettamente valide.

Nell’identificare questi 2 momenti, l’Ispettorato, di fatto, valuta l’efficacia dell’atto di dimissioni, sulla base di criteri coerenti con la regolamentazione disposta dall’ordinamento. Il criterio dirimente è quello dell’efficacia dell’atto, nel senso stretto di capacità di produrre effetti sul rapporto di lavoro. In questo senso, quindi, l’Ispettorato identifica come inefficaci – seguendo il dettato normativo – le dimissioni che si trovino nel periodo tra la consegna della lettera al datore di lavoro e la convalida da parte dell’ITL. Allo stesso modo, nel momento in cui le dimissioni siano già state convalidate, ma la data apposta nella lettera non sia ancora raggiunta, il lavoratore, secondo quanto richiamato dall’INL, potrà ancora revocare le dimissioni stesse.

Si delineano, pertanto, tre casistiche specifiche:

  1. le dimissioni sono state consegnate al datore di lavoro, ma la procedura di convalida è ancora in istruttoria;
  2. le dimissioni sono già state convalidate, ma la data ivi indicata quale ultimo giorno di lavoro non è ancora decorsa;
  3. le dimissioni sono state convalidate e hanno già prodotto effetto, il rapporto si è concluso.

L’INL specifica come nei casi 1 e 2 sia possibile procedere con la revoca, mentre nel caso 3 non sia una strada percorribile. In questo senso, tuttavia, l’Ispettorato aggiunge un elemento importante: anche la revoca dovrà essere valutata, per desumerne la genuinità, dall’ITL competente, secondo la medesima procedura.

Richiamando pareri precedenti, infatti, l’INL impegna la sede dell’ITL competente, “valutata attentamente la fondatezza delle motivazioni addotte” a provvedere “all’annullamento del relativo provvedimento”. Inoltre, l’ITL potrà

“programmare gli eventuali accertamenti ispettivi a tutela della lavoratrice/del lavoratore interessati, qualora si ritenga che nei confronti degli stessi possano essere stati adottati comportamenti datoriali discriminatori o comunque illeciti”.

 

Conseguenze

La posizione dell’Ispettorato, che delinea con precisione la procedura che dev’essere seguita, implica alcune conseguenze pratiche di rilievo.

In prima battuta, la più evidente deriva dalla casistica di cui al punto 3 precedente: il rapporto di lavoro, in questo caso, si considera risolto e – pertanto – non sarà nell’esclusiva disponibilità del lavoratore la facoltà di riattivarlo. Se, infatti, la revoca delle dimissioni è – come detto – un atto unilaterale, che produce effetti sul rapporto di lavoro (quindi lascia sostanzialmente nelle mani del lavoratore la possibilità di mantenere o meno in essere il rapporto di lavoro), una volta perfezionato il recesso dal rapporto di lavoro, solo un nuovo accordo potrà dar vita a un successivo rapporto di lavoro.

Viceversa, nei primi 2 casi, il rapporto si ricomporrà solo mediante la revoca perfezionata. L’intervento dell’Ispettorato del Lavoro, in questo caso, ha gli stessi caratteri previsti per la convalida, ma possono identificarsi peculiarità specifiche. Nonostante l’indicazione dell’INL nella nota in commento, infatti, è facile prevedere come in alcuni casi l’ITL non verrà coinvolto nella pratica di revoca: questo, in particolar modo, nel caso in cui il lavoratore si trovi ancora nelle fasi iniziali, in cui ha consegnato esclusivamente la lettera senza richiedere la convalida all’ITL. Più ragionevolmente prevedibile, viceversa, è il caso in cui il lavoratore si confronti con l’Ispettorato se ha già avviato l’iter di convalida, pur in assenza di convocazione. Fortiori, nel caso in cui le dimissioni siano già state convalidate, seppure non sia ancora decorso il termine. In quest’ultimo caso, si ritiene che il datore di lavoro non debba accettare alcuna revoca, se non convalidata dall’ITL, ma a questo punto si aprono ulteriori dubbi:

  • la revoca esercitata senza convalida, solo con atto scritto, nei periodi 1 e 2 di cui sopra, può essere considerata valida se convalidata dopo il decorso del termine?
  • l’invio della richiesta di convalida della revoca entro il termine degli stessi periodi può essere considerato sufficiente a conferire efficacia alla stessa?

Questi interrogativi impongono una riflessione sull’effetto della convalida della revoca. In assenza di disposizione normativa, la conseguenza della mancata convalida della revoca non è definita. La soluzione più ragionevole, in ordine a un’interpretazione analogica, sarebbe quella di individuare la medesima conseguenza prevista per le dimissioni: il risultato sarebbe un’efficacia sospesa fino alla convalida della revoca. In ordine a ciò, le revoche richiamate nei dubbi sopra riportati sarebbero da considerarsi validamente rese.

Al fine di regolare questi aspetti procedurali, per dare effettività all’intervento dell’Ispettorato del Lavoro, appare opportuna una definizione a livello normativo di queste scadenze. Nondimeno, al fine di garantire al datore di lavoro un sufficiente grado di certezza nell’accettazione degli atti ricevuti dal lavoratore, per non incorrere in conseguenze dettate dalla difficile interpretazione sulla validità degli atti.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza

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