Dimissioni, patto di prova e smart working: iniziato l’iter parlamentare del DdL
di Luca Vannoni Scarica in PDFIn concomitanza con l’emanazione del D.L. 48/2023, era stato annunciato da parte del Governo un disegno di legge in materia di lavoro, contente una serie di disposizioni riguardanti aspetti giuridici e previdenziali del rapporto di lavoro: dopo qualche mese in cui si erano perse le tracce del provvedimento, il 6 novembre il Consiglio dei Ministri ha dato il via all’iter parlamentare con la presentazione del DdL alla Camera.
Sicuramente, tra esse, la misura più attesa riguarda le dimissioni per fatti concludenti, ipotesi che, sulla base della disciplina vigente, risulta improcedibile stante la necessità, ai fine dell’efficacia del recesso del lavoratore, della procedura telematica. Come è noto, da tale aspetto discende che il lavoratore, rendendosi irreperibile, non viene considerato dimissionario, rendendo così necessario, per risolvere effettivamente il rapporto, il licenziamento da parte del datore di lavoro, con i relativi oneri (ticket NASpI), rendendo così possibile per il lavoratore l’accesso fraudolento alla NASpI.
In giurisprudenza, nonostante vi siano state pronunce di merito che, proprio per le finalità fraudolente di tali comportamenti, li abbiano considerati forme di recesso per fatti concludenti, la Cassazione è sempre stata ferrea nel ritenere le dimissioni telematiche come l’unica strada percorribile per la risoluzione del rapporto su iniziativa del lavoratore (si veda anche la recente sentenza del 26 settembre 2023 n. 27331).
La norma in questione è contenuta nell’art. 9 del DdL: “in caso di assenza ingiustificata protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a cinque giorni, il rapporto si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina di cui al presente articolo”.
Nell’attesa di veder compiuto il necessario iter parlamentare, dove evidentemente il testo del DdL potrà subire modifiche e integrazioni, da una prima analisi si evidenzia il ruolo riconosciuto alla contrattazione collettiva, che dovrà fissare il termine massimo di “conservazione del rapporto” in caso di assenza ingiustificata: in assenza, la legge fissa in 5 giorni il limite massimo. Si tratta evidentemente di una forma di presunzione, che potrà sì essere oggetto di prova contraria nel momento in cui l’assenza del lavoratore sia riconducibile ad altra ragione oggettiva, ma che dovrebbe definitivamente risolvere la questione dell’accesso fraudolento alla NASpI.
Oltre a tale disposizione, fra le altre novità di natura contrattuale, si segnala quanto previsto nel DdL all’art. 6, dove viene fissato un meccanismo “matematico” per determinare la durata della prova nei contratti a termine: “fatte salve le previsioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova è fissata in un giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro. In ogni caso la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni e superiore a quindici giorni per i contratti con durata non superiore a sei mesi, e trenta giorni per quelli con durata superiore a sei mesi e inferiori a dodici mesi”.
Il problema si era originato con il D.Lgs. 104/22, dove si prevedeva il riproporzionamento della prova per il contratto a termine senza fissarne i parametri.
Sa ultimo si segnala anche l’intervento in materia di smart working, dove si è stabilito che il termine per effettuare la comunicazione dell’inizio di tale modalità di lavoro è fissato entro cinque giorni dalla data di avvio del periodo oppure nei cinque giorni successivi alla data in cui si verifica l’evento modificativo della durata o della cessazione del periodo di lavoro svolto in modalità agile. Si ricorda, infatti, che al momento a livello normativo manca un termine per effettuare tale comunicazione (il Ministero del Lavoro riteneva applicabili i 5 giorni, termine che generalmente riguarda le modificazioni del rapporto) e, pertanto, in caso di omissione della comunicazione, oggi non risultano applicabili le relative sanzioni amministrative.