Dimissioni del padre lavoratore: che confusione…
di Luca Vannoni Scarica in PDFCome è noto, il recente D.Lgs. 105/2022 ha reso “obbligatorio” il congedo di paternità, regolamentato dall’articolo 27 bis del medesimo Decreto, pari a 10 giorni, dai due mesi precedenti la data presunta del parto ed entro i cinque mesi successivi. Senza entrare ulteriormente nel merito delle modalità di fruizione di tale congedo, il virgolettato sopra utilizzato non voleva altro che sottolineare la leggerezza, se non impalpabilità di tale obbligo, nel momento che, in assenza di esplicita richiesta (ovvero abbia portato torta e bottiglia di spumante, da cui si originerà la richiesta del datore di lavoro di collocare il congedo nel periodo sopra determinato) tale circostanza può non essere conosciuta dal datore di lavoro e, di fatto, non fruita senza l’applicazione di sanzioni amministrative, aspetto che, in linea generale, si pone a tutela di posizioni giuridiche soggettive in capo ai lavoratori.
A tale congedo si agganciano poi una serie di tutele di stabilità, nate originariamente in funzione della madre lavoratrice, ovvero del padre in caso di congedo alternativo – nuova definizione apportata sempre dal D.Lgs. 105/2022 – di paternità (previsto dall’art. 28 in caso di abbandono o grave infermità della madre etc.) del rapporto di lavoro regolamentate dagli articoli 54 e 55 del D.Lgs. 151/2001. Se non si pongono particolari questioni sul divieto di licenziamento ex art. 54, applicabile ai sensi del comma 7 se si fruisce “del congedo di paternità, di cui agli articoli 27-bis e 28”, sia in caso di congedo obbligatorio che alternativo, se non nelle tempistiche (cosa succede se, nel preavviso, il lavoratore chiede un giorno di congedo?), molto più complessa è la questione legata alle dimissioni ex articolo 55.
La riscrittura del 1° comma, operata dalla citata recente riforma, distingue le conseguenze tra lavoratore e lavoratrice: “In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto, a norma dell’articolo 54, il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento. La lavoratrice e il lavoratore che si dimettono nel predetto periodo non sono tenuti al preavviso”. Solo la lavoratrice avrebbe diritto all’indennità, mentre entrambi, padre e madre, sono esonerati dal preavviso.
Il comma 2, preesistente alla riforma, non è stato modificato, e continua a prevedere che “La disposizione di cui al comma 1 si applica al padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternità”. Suscita diverse perplessità il permanere di tale disposizione: se il comma 1 prevede un regime tutelato per le dimissioni nell’ipotesi del divieto di licenziamento, che ricomprende il padre come sopra richiamato, e come poi effettivamente regolamentato nel comma 1 con le due distinte posizioni, il comma 2 appare assolutamente inutile e ridondante. O meglio, poteva prevedersi uno estensione pura alle tutele della lavoratrice, nel caso di congedo di paternità alternativo, dove il padre, per le problematiche sopra evidenziate, ha il carico esclusivo della genitorialità e sembrerebbe, in un ottica valoriale, dovuta anche l’indennità sostitutiva del preavviso.
Non sembrerebbe esserci spazio per diversa lettura, almeno io così pensavo, ma poi mi è capitata sulla scrivania una nota INL, 6 settembre 2022, n. 9550, dove si legge che “Vige, inoltre, il divieto di licenziamento del padre lavoratore in caso di fruizione del congedo di cui agli articoli 27-bis e 28, per la durata del congedo stesso e fino al compimento di un anno di età del bambino (art. 54, c. 7, T.U.); in caso di dimissioni, nel periodo in cui è previsto il divieto di licenziamento, al padre che ha fruito del congedo di paternità spettano le indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali in caso di licenziamento (indennità di preavviso, NASPI) e non è tenuto al preavviso (art. 55, cc. 1 e 2 T.U.)”. Non si riporta in alcun modo l’articolazione contenuta nel comma 1, e quindi sembrerebbe dovuta l’indennità del preavviso anche al padre, anche nel suo congedo obbligatorio: probabilmente è stato solo un peccato di superficialità, ma se fosse voluta è assolutamente incomprensibile nei suoi presupposti normativi. Certo, non è fonte di legge, ed è fatto noto, ma non si comprende, se fosse mera superficialità, l’utilità di chiarimenti di tal fattura.
Si pensi al lavoratore padre, che non ha beneficiato del congedo di paternità, che intende cambiare lavoro: trovato il nuovo impiego, con la fruizione di un giorno di congedo potrebbe presentare dimissioni senza preavviso e intascare l’indennità? Una tale forma di tutela è più che comprensibile nel caso in cui, come detto, vi sia l’esclusivo carico della genitorialità sul padre, ma appare abnorme su un congedo di paternità, che di obbligatorio ha solo il nome. Ma al di là di considerazioni valoriali, è proprio il nuovo comma 1 che distingue le due disposizioni.
Ad aumentare la confusione in materia, si ricorda che in riferimento al padre vi è poi la necessità di convalidare le dimissioni fino al compimento dei 3 anni del bambino, tenuto conto, come detto, che la paternità potrebbe essere sconosciuta al datore di lavoro.