Dignità a termine?
di Elena ValcarenghiApprendo dagli organi di stampa che il Decreto Dignità sarà all’esame del Consiglio dei Ministri nei prossimi giorni. Il Ministro del lavoro ha sottolineato l’importanza e l’urgenza degli interventi sul fronte dei lavoratori meno tutelati. I titoli anticipano i contenuti del provvedimento, riassumendoli, per quanto più di interesse in questa sede, nella stretta sui contratti a termine, nell’abolizione dello staff leasing, nella revoca degli incentivi a chi taglia il lavoro, nei vincoli anti delocalizzazioni. Non ho letto la bozza del provvedimento, perciò le considerazioni svolte potrebbero risultare non in linea con il contenuto effettivo del decreto, ma il senso della riflessione è altro.
In tema di contratto a termine, quello più dibattuto fra i colleghi, pare che la possibilità di stipula senza causale avrà durata massima di 12 mesi, pur permanendo il totale di durata di 36 mesi, che le proroghe possibili da 5 diventino 4 e con obbligo di causale, da indicarsi anche se già il primo contratto superi i 12 mesi di durata. Dovrebbe anche aumentare il costo contributivo per i rinnovi, nonché il tempo a disposizione per l’eventuale impugnazione. Chi abbia un minimo di memoria storica si ricorderà senza dubbio che l’abolizione delle causali per il contratto a termine fece seguito anche alla constatazione dell’enorme contenzioso che tale aspetto normativo aveva ingenerato. Auguriamoci che non debba accadere di nuovo. Ogni cambiamento porta con sé dubbi e preoccupazioni e se è l’ennesimo a intervenire sulla specifica materia ancor di più, ma ci adegueremo trovando un giusto equilibrio col tempo.
Mi piace il titolo del decreto. Dignità è una bellissima parola, specie se si traduce in fatti. Ne ho cercato una definizione sul dizionario: “Rispetto che l’uomo, conscio del proprio valore sul piano morale, deve sentire nei confronti di sé stesso e tradurre in un comportamento e in un contegno adeguati”, ma anche “Nobiltà morale che deriva all’uomo dalla sua natura, dalle sue qualità, e insieme rispetto che egli ha di sé e suscita negli altri in virtù di questa sua condizione”.
Prescindendo da qualsiasi valutazione politica, che non è voluta e che non mi sento in grado di sostenere, non trovate triste che sia necessaria una norma di legge per ristabilire la dignità nel mondo del lavoro? Può una norma sostituirsi al singolo nel dare contenuto al rispetto, alle qualità morali e alle conseguenti azioni?
Non credo.
Come non credo che l’ennesima revisione della disciplina sui contratti a tempo determinato porterà a una stabilizzazione dei rapporti di lavoro come auspicato.
Perché non ci credo?
Perché mi confronto con le aziende e con le loro esigenze. Hanno timore, non solo delle sanzioni, ma dell’instabilità del mercato che non consente programmazioni di respiro, dell’incapacità di far fronte agli impegni assunti a causa di imprevisti che paiono essere ormai un’abitudine, di nuovi oneri che possano ridurre ancor più gli scarsi margini di guadagno che la concorrenza impone, di essere coinvolti in qualche procedura straordinaria per i clienti, che porti con sé il mancato pagamento del lavoro già eseguito, di dover pagare per le assenze tutelate di lavoratori problematici (nulla contro le tutele, ci mancherebbe, ma si arriva a mesi se non ad anni di retribuzioni e oneri a fronte di mancate prestazioni, e provateci voi a preventivare su queste basi). Sono aziende “normali”, fatte di persone e impegno. Sono dignitose e, quindi, si preoccupano, insieme ai loro dignitosi lavoratori, che quotidianamente contribuiscono al successo dell’imprenditore, del quale non sono necessariamente antagonisti.
L’annunciato decreto potrà certo introdurre nuove e diverse regole, forse poi nemmeno così nuove, ma non risolverà le questioni che attengono alla dignità e, quindi, ai singoli individui, imprenditori o lavoratori che siano. Se lo spauracchio delle sanzioni o la complicazione del contratto a termine novellato saranno più pesanti delle necessità lavorative non si assumerà, nemmeno a termine, o si farà ricorso a prestazioni somministrate, nel migliore dei casi, sperando di evitare derive verso forme ancor più precarie e meno tutelate di prestazioni.
Se non si creerà la consapevolezza che l’agire dignitoso è requisito imprescindibile per creare un clima di fiducia che stimoli tutti gli attori del sistema a rischiare senza se e senza ma, tutte le regole del mondo non basteranno a ottenere i risultati auspicati. I diritti sono conquiste di civiltà, vanno difesi a tutti i costi, anche dal loro svilimento non dignitoso, però, che li rende privi di senso, penalizzando chi della dignità ha fatto uno stile di vita.
La modifica di un singolo istituto o di pochi non determina, purtroppo, una crescita culturale, che ritengo essere la vera necessità del nostro sistema, insieme a un quadro generale di stabilità economica e politica, ma mi auguro che la mia sia un’idea da brontolona e che ciò che verrà non sarà solo il mantenere promesse da campagna elettorale, ma un reale miglioramento delle condizioni di vita per chi lavoro cerca e per chi lo offre.
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Centro Studi Lavoro e Previdenza – Euroconference ti consiglia:
28 Giugno 2018 a 9:47
Il “nodo” del lavoro è legato strettamente all’andamento economico del Paese.
Se oggi negli USA vi è la piena occupazione (la disoccupazione é al 3,6% e quindi é fisiologica) é perchè l’economia sta “funzionanando”. In quel Paese si discute ormai di inflazione del lavoro.
Perchè aumenti l’occupazione é ovviamente necessaria la “domanda” di lavoro, non l’ “imposizione del lavoro” pur nelle varie forme. In Italia in 98% delle aziende ha meno di 5 dipendenti ed il 95% meno di dieci. Solo lo 0,5% delle aziende ha più di 50 dipendenti. Appare evidente che nel nostro Paese, ovviamente escludendo il settore pubblico, la domanda di lavoro potrà incrementarsi solo quando la maggioranza delle aziende avrà sufficiente domanda di prodotti e servizi dal mercato e l’imprenditore si sentirà “sicuro” della propria attività e della propria azienda. La “forma” contrattuale é poco importante per l’imprenditore.
R.A.
2 Luglio 2018 a 10:01
buongiorno e grazie. non posso che concordare con l’idea che le assunzioni siano il frutto di una necessità lavorativa. se l’impresa non ha lavoro non assume. il paragone posto è con un paese che ha una domanda interna ben diversa dalla nostra. a ciò si aggiunga anche che chi è senza lavoro non ha grandi risorse da spendere per incrementare la domanda di beni e servizi.è un circolo vizioso sul quale agiscono però anche gli effetti delle prospettive. la fiducia nel sistema non è aspetto trascurabile. non mi sento invece di concordare a pieno sull’indifferenza della forma contrattuale. una volta identificato il bisogno di un nuovo lavoratore trovo che gli imprenditori siano attenti rispetto al costo, piuttosto che alla durata del rapporto, o comunque agli elementi che possano avvicinare alle necessità specifiche l’inquadramento della nuova risorsa. il restringersi della marginalità ha reso ancor più importante il governo del costo del lavoro anche e soprattutto per le piccole realtà che non hanno posizioni di forza nel mercato. di certo però tali elementi diverrebbero meno incidenti qualora vi fossero prospettive di crescita o quanto meno di consolidamento della propria attività. grazie ancora e buon lavoro.