11 Settembre 2018

Dignità e prossimità

di Francesco Natalini

C’era una volta (e c’è tuttora) un contratto collettivo di 2° livello denominato: “di prossimità”, dotato di particolari poteri, o per meglio dire di “super-poteri” (per usare un’espressione cara a Evangelista Basile), che però negli ultimi tempi era caduto un po’ nel dimenticatoio, non perché li avesse persi (i poteri), quanto perché gli altri contratti collettivi avevano fatto passi avanti acquisendo prerogative (leggasi sempre “poteri”) da parte del Legislatore, di cui prima non disponevano.

In tal senso un punto di svolta si è avuto con l’articolo 51, D.Lgs. 81/2015, che ha abilitato (tranne talune eccezioni) anche la contrattazione decentrata, ivi compresa quella aziendale, a derogare rispetto alla disciplina legale contenuta nello stesso decreto (e non solo).

In buona sostanza si erano accorciate di molto le distanze, grazie ai progressi fatti registrare dai contratti collettivi “ordinari”, a discapito per l’appunto del contratto di prossimità.

Ma il caso vuole che un decreto (D.L. 87/2018), che si prefigge di restituire “dignità” al lavoro, restituisce sicuramente dignità al “nostro” contratto di prossimità, ristabilendo, perlomeno in parte, le distanze originarie che lo separavano dagli omologhi contratti collettivi di 2° livello, permettendogli quindi di tornare in auge, ammesso che si superi l’inspiegabile ritrosia di gran parte dei sindacati a sottoscriverlo.

Tutta questa premessa, forse un po’ condita di metafore, per evidenziare che il ripristino delle causali nei contratti a tempo determinato, avvenuto per effetto dell’articolo 1, Decreto Dignità (convertito nella L. 96/2018), perlomeno per i contratti a termine con durata superiore ai 12 mesi (anche per effetto di proroghe), o comunque rinnovati, potrebbe essere neutralizzato dalla stipula di un contratto di prossimità ex articolo 8, D.L. 138/2011, il quale prevede, nel “catalogo” delle materie disciplinabili (comma 2), proprio quella dei “contratti a termine” tout court, cioè senza particolari limitazioni o specificazioni.

Com’è noto, i super-poteri di cui si parlava in premessa derivano dal fatto che i contratti di prossimità possono derogare (fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli che derivano dalle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali sul lavoro) non solo al Ccnl, ma anche e soprattutto alla legge. In tal modo si potrebbe rimettere nelle mani dell’autonomia collettiva la possibilità di rimediare alle storture di una norma (il citato “decreto dignità”) che, forse, non avrà effetti così catastrofici sull’occupazione, coma da molti paventato (le esagerazioni sono sempre da evitare in un senso o nell’altro), ma certamente dubito possa convincere un solo datore di lavoro a stabilizzare un lavoratore solamente perché non può più mantenerlo in forza con un contratto a termine. Peraltro, quale successo possa avere un provvedimento di legge che, nell’intento di favorire, da una parte, la stabilizzazione dei rapporti a termine, dall’altra rincari le sanzioni minime e massime in caso di licenziamento illegittimo nell’ambito delle c.d. tutele crescenti, è ancora da comprendere, attesa l’evidente contraddizione.

Infatti, se il Legislatore vivesse nel mondo “reale” avrebbe ben presente che il mondo dei precari è composto da lavoratori con scarso potere contrattuale, derivante anche dal fatto che svolgono mansioni fungibili, cioè facilmente sostituibili e reperibili sul mercato, sicché il datore di lavoro “affezionato” ai contratti a termine dovrà solo avere l’accortezza di sostituire più frequentemente il lavoratore, visto che la durata “acausale” oggi non può eccedere i 12 mesi.

Quindi, al di là dei contenuti ideologici o propagandistici, l’unico effetto concreto di questo “ritorno al passato” dovrebbe essere quello di avere più precari occupati (per effetto del turnover), ma anche più precari in assoluto. L’effetto, quindi, potrebbe essere quello che si associa al noto slogan: “lavorare meno, lavorare tutti”, ma, restando in tema di slogan, alla stessa stregua si potrebbe dire: “tutti precari, nessun precario”. E questo sarebbe più preoccupante.

 

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