Le differenze tra agente e procacciatore d’affari e l’obbligo di pagare i contributi Enasarco
di Valerio Sangiovanni Scarica in PDF
La figura dell’agente di commercio presuppone la stabilità del rapporto. Se la relazione con l’impresa che produce beni o servizi è invece occasionale, si ha il procacciatore d’affari. Dal momento che il procacciamento non è disciplinato nel codice civile, si tratta di comprendere quali norme dettate per l’agente siano applicabili in via analogica al procacciatore. La Fondazione Enasarco agisce spesso in giudizio contro le società preponenti, reputando che il procacciatore sia in realtà un agente camuffato, chiedendo il pagamento dei contributi previdenziali omessi.
Il contratto atipico di procacciatore d’affari
La legge non definisce l’agente, bensì il contratto di agenzia: “col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere, con conto dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata” (articolo 1742, comma 1, cod. civ.).
Tratto saliente della nozione di agente è quello di “stabilità”: l’agente non opera occasionalmente, ma con continuità, al fine di reperire clienti per il preponente.
La prassi operativa ha creato la figura, distinta da quella dell’agente, del “procacciatore d’affari”[1]. Non c’è una definizione di procacciatore nel codice civile, cosicché si tratta di un contratto atipico: ai sensi dell’articolo 1322, comma 1, cod. civ., “le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge”.
La differenza, rispetto all’agente, è che il procacciatore non opera con stabilità, ma in via occasionale. Bisogna, dunque, che il contratto specifichi che si tratta di un rapporto occasionale; serve, inoltre, che, nei fatti, la relazione conservi la caratteristica di occasionalità.
Molto recentemente la Corte di Cassazione ha evidenziato i tratti distintivi tra agenzia e procacciamento d’affari[2]. Secondo la Suprema Corte, i caratteri tipici del contratto d’agenzia devono individuarsi nella continuità e stabilità dell’attività dell’agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente, nell’ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo, con quest’ultimo, una non episodica collaborazione professionale autonoma. Il rapporto di procacciatore d’affari si concreta, invece, nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità e in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di procurare tali commissioni[3].
A livello di giurisprudenza di merito, è il Tribunale di Teramo a essersi occupato, recentemente, di un contratto di procacciamento d’affari[4]. Il giudice teramano osserva che il procacciamento d’affari rientra nella fattispecie dei contratti atipici, ossia non regolamentati dal codice civile, anche se si tratta di una figura commerciale diffusa. Nel caso di specie, il testo del contratto prevedeva che “al procacciatore verrà corrisposto un compenso sugli affari da lui conclusi e andati a buon fine, previa accettazione dell’azienda mandante, pari al 30% delle provvigioni incassate dall’azienda mandante”.
Il procacciatore conclude alcuni affari, ma non viene pagato; ecco allora che agisce in giudizio contro la mandante. Il Tribunale di Teramo accerta che gli affari sono stati effettivamente conclusi e intermediati dal procacciatore. Conseguentemente, la mandante viene condannata a pagare il compenso pattuito contrattualmente.
Interessanti anche le osservazioni del Tribunale di Bari sulla distinzione tra agente e procacciatore[5]. Il giudice barese esamina un contratto scritto che le parti hanno denominato “contratto commerciale di procacciamento d’affari”. Il Tribunale di Bari osserva che la denominazione del contratto non è vincolante per il giudice e che, nel caso di specie, il rapporto contrattuale va qualificato come contratto d’agenzia. Caratteristica del contratto d’agenzia è la stabilità dell’incarico. Il contratto concluso tra le parti era a tempo indeterminato, inoltre l’attività era limitata a una zona determinata (la Regione Puglia) e le provvigioni erano pagate con cadenza trimestrale. Questi elementi fanno sì che il rapporto debba essere qualificato come contratto d’agenzia.
Il tentativo di eludere le disposizioni in materia di agenzia
Alle imprese costano di più i contratti d’agenzia, rispetto a quelli di procacciamento, in particolare per l’obbligo – sussistente solo per gli agenti (e non per i procacciatori) – di pagare i contributi Enasarco. Ecco che si cercano sistemi per eludere l’applicazione delle norme cogenti sull’agenzia. Uno dei meccanismi più ricorrenti, nella prassi, è quello di concludere un contratto denominato di “procacciamento”, mentre l’attività concretamente svolta è di “agenzia”. Si tratta, però, di una soluzione debole, in quanto la qualificazione del contratto spetta sempre al giudice e questi può ben ritenere che il contratto – seppure denominato di “agenzia” – sia in realtà di “procacciamento”.
Talvolta, il rapporto tra le parti inizia come mero procacciamento, per poi essere sostituito da un contratto d’agenzia. La questione è stata affrontata in una recentissima sentenza del Tribunale di Napoli[6]. Tizio opera per una Srl, inizialmente con un “contratto d’incarico di procacciatore d’affari”, poi formalizzato in un “contratto di agenzia”. Alla cessazione del rapporto, il collaboratore chiede il pagamento di alcune indennità. Il Tribunale di Napoli chiarisce l’irrilevanza del nomen iuris attribuito dalle parti e qualifica il rapporto come agenzia, in quanto l’attività era stata svolta in maniera stabile. Nel corso dell’istruttoria emerge che anche prima del conferimento dell’incarico come agente Tizio aveva lavorato come agente monomandatario. La circostanza risulta dal fatto che aveva emesso periodicamente fatture con identica dicitura, sebbene con compensi provvigionali variabili. Il giudice napoletano ritiene sussistere continuità tra il primo periodo svolto come “procacciatore” e il secondo periodo svolto come “agente”. In realtà, Tizio ha sempre operato come agente. Ne consegue, conclude il Tribunale di Napoli, che sono dovute le indennità all’agente. Oltre che le indennità, sono dovuti anche i contributi calcolati su dette indennità.
Quali tra le disposizioni che regolano il contratto d’agenzia possono essere applicate in via analogica al procacciatore d’affari?
La giurisprudenza tende a distinguere tra norme che presuppongono una continuità del rapporto e norme che non la presuppongono.
La Corte di Cassazione ha chiarito che al rapporto di procacciamento d’affari possono applicarsi, in via analogica, talune disposizioni relative al contratto d’agenzia (come quelle relative alle provvigioni), che non presuppongono un carattere stabile e predeterminato del rapporto, con esclusione, dunque, di quelle relative all’indennità di cessazione del rapporto[7].
La provvigione è, dunque, il diritto principale che spetta al procacciatore d’affari. La provvigione dovrà essere pagata dalla casa mandante, così come avviene per il contratto di agenzia (e non dal cliente, acquirente finale del bene o servizio).
Sotto questo profilo, la figura del procacciatore d’affari (e quella dell’agente) si distinguono dalla figura del mediatore. Il mediatore, difatti, ha diritto di essere pagato da ambedue le parti del rapporto contrattuale. Più precisamente, l’articolo 1755, comma 1, cod. civ., prevede che “il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento”.
La Corte di Cassazione ha peraltro stabilito che, in casi eccezionali, il procacciatore può farsi pagare anche dal cliente finale[8]. Secondo la Suprema Corte è configurabile il diritto alla provvigione del mediatore per l’attività di mediazione prestata in favore di una delle parti contraenti quando egli sia stato contemporaneamente procacciatore d’affari dell’altro contraente. Pur se il procacciatore d’affari, continua la Cassazione, ha diritto al pagamento solo nei confronti della parte alla quale sia legato da rapporti di collaborazione, ben possono le parti – nell’esercizio della loro autonomia negoziale – derogare a tale aspetto del rapporto, laddove il procacciatore svolga attività utile anche nei confronti dell’altro contraente con piena consapevolezza e accettazione di quest’ultimo.
Le azioni recuperatorie della Fondazione Enasarco
La distinzione tra agente e procacciatore assume grande rilevanza pratica nei rapporti con la Fondazione Enasarco. L’obbligo di pagare i contributi sussiste, difatti, per gli agenti, non per i procacciatori d’affari. Ecco, allora, che le società hanno interesse a far passare il rapporto come un mero procacciamento, per sottrarsi all’obbligo di corrispondere i contributi.
Dal canto suo, l’Enasarco agisce in giudizio contro le preponenti, cercando di dimostrare che i rapporti andrebbero qualificati come agenzia, con il conseguente obbligo di pagare i contributi. Se i contributi non sono stati pagati, essi dovranno essere corrisposti tardivamente.
La premessa che va fatta è che l’onere probatorio è in capo all’attore, che è la Fondazione Enasarco.
Secondo le regole generali, “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento” (articolo 2697, comma 1, cod. civ.). Se non riesce la prova, la domanda viene rigettata. L’Enasarco deve, in particolare, dimostrare che il rapporto tra la società incaricante e la controparte presenta carattere di stabilità. La questione è stata affrontata, molto recentemente, dal Tribunale di Roma[9]. Si trattava di una Spa che si avvaleva di 3 collaboratori, i quali avevano operato per 5 anni a favore della società con contratti denominati di procacciamento d’affari o di consulenza. Secondo il giudice romano la sussistenza del credito contributivo dev’essere provata dall’ente previdenziale. Il Tribunale di Roma osserva che i caratteri distintivi del contratto d’agenzia sono la continuità e la stabilità dell’attività dell’agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente, realizzando con quest’ultimo una non episodica collaborazione professionale; invece, il rapporto di procacciatore d’affari si concreta nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità e in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di promuovere tali commissioni. Nel caso di specie non emergono elementi giustificativi ai fini dell’accertamento del requisito della stabilità. Secondo il Tribunale di Roma, la mera durata pluriennale dei rapporti non è di per sé elemento comprovante la sussistenza di un rapporto d’agenzia. In conclusione, il giudice romano ritiene che la Fondazione Enasarco non abbia dimostrato i presupposti dell’obbligazione contributiva, accerta e dichiara l’inesistenza di un rapporto d’agenzia tra la Spa e i suoi 3 collaboratori e accerta e dichiara l’insussistenza di un obbligo a carico della Spa al versamento di contributi previdenziali.
La questione della distinzione tra agente e procacciatore d’affari è giunta spesso davanti alla Corte di Cassazione e può essere utilmente segnalato un recentissimo precedente dei giudici di legittimità[10]. La Fondazione Enasarco agisce contro una Srl, sostenendo che alcuni dei procacciatori operanti per la società sono in realtà degli agenti e devono essere pagati i contributi. L’importo che viene chiesto è di 84.480 euro. Secondo la Corte d’Appello di Roma vi era stabilità nella prestazione dei collaboratori della Srl, che non si limitavano a segnalazioni episodiche e percepivano compensi mensili. La Suprema Corte evidenzia che un’attività promozionale può rientrare nello schema del mandato e assumere, così, le sembianze del procacciamento d’affari, solo se si configura come episodica e occasionale. Carattere imprescindibile dell’agenzia è, per contro, la stabilità dell’incarico. In conclusione, la Corte di Cassazione conferma che si tratta di agenti, dando rilievo al fatto che i collaboratori venivano pagati con cadenza mensile. Se la collaborazione avviene ogni mese, essa è – per definizione – stabile nel tempo. Configurandosi il requisito della stabilità, il rapporto deve essere qualificato come d’agenzia.
In un altro precedente, il Tribunale di Roma ha negato che sussistesse il diritto della Fondazione Enasarco di ottenere il pagamento dei contributi[11]. Il giudice romano premette che sussiste in capo all’ente previdenziale l’onere probatorio di allegare gli elementi di fatto da cui desumere la sussistenza del diritto a pretendere il pagamento dei contributi previdenziali. Il verbale di accertamento ispettivo non ha valore di prova legale, restando in capo all’ente previdenziale l’onere di provare i tratti qualificanti del rapporto d’agenzia. Nel caso di specie gli elementi indiziari indicati nel verbale ispettivo non sono sufficienti a provare che i rapporti tra le 2 società abbiano avuto carattere di stabilità. In conclusione, il Tribunale di Roma accerta e dichiara che la società non deve il pagamento dei contributi previdenziali alla Fondazione Enasarco.
Un altro caso che merita di essere menzionato è tratto da un’ordinanza della Corte di Cassazione del 2022[12]. La Fondazione Enasarco agisce in giudizio contro una Srl, chiedendo e ottenendo un decreto ingiuntivo, pretendendo i contributi che sarebbero stati omessi in relazione a collaboratori qualificati dall’impresa come procacciatori, ma in realtà agenti. La Suprema Corte cerca di comprendere se il rapporto si caratterizzi per stabilità. Emerge nel corso dell’istruttoria che le persone interessate emettevano fatture con cadenza trimestrale. Si tratta di addebiti costanti nel tempo: tanto basta affinché la Cassazione reputi esistente un rapporto stabile d’agenzia, con obbligo di pagare i contributi. Più precisamente, emerge che le fatture, oltre a essere costanti e ricorrenti nel tempo (trimestrali), hanno a oggetto una pluralità indeterminata di affari. Non si tratta, dunque, di un incarico occasionale, ma di una collaborazione perdurante nel tempo. Una particolarità della vicenda è costituita dal fatto che uno dei collaboratori operava come agente all’estero. In questo caso, i contributi non sono dovuti: il Regolamento Enasarco esclude, difatti, l’obbligo di contribuzione per chi opera all’estero.
Più complessa è la vicenda sottesa a un altro precedente della Corte di Cassazione[13]. Parte ricorrente è sempre la Fondazione Enasarco, che agisce contro una Srl. Questa società si avvale di 8 procacciatori, ma l’Enasarco ritiene che siano qualificabili come agenti. La Suprema Corte rileva che i procacciatori non hanno l’obbligo di promuovere gli affari, non sono collegati a una determinata zona e non hanno un coordinamento permanente con il preponente. La loro collaborazione è sporadica e non sussistono i presupposti dell’obbligo di pagare i contributi. In conclusione, l’opposizione a decreto ingiuntivo presentata dalla Srl viene accolta e il decreto ingiuntivo revocato.
Un altro caso che è stato trattato dalla Corte di Cassazione si è concluso favorevolmente per l’impresa[14]. Vengono stipulati contratti scritti di procacciamento d’affari. Secondo la Fondazione Enasarco, i collaboratori sarebbero, in realtà, degli agenti, cosicché la Fondazione ottiene decreto ingiuntivo contro la Srl per circa 38.000 euro dovuti a titolo di contributi. La Suprema Corte osserva, tuttavia, che le provvigioni che sono state pagate sono discontinue e contenute negli importi. Non vi è, insomma, prova della stabilità del rapporto. Dai testi dei contratti non emerge, inoltre, che vi sia l’obbligo per i collaboratori dell’impresa di promuovere gli affari della stessa. Dunque, la prestazione dell’agente dipende esclusivamente dalla sua iniziativa. In conclusione, la Cassazione ritiene che non sussista un rapporto di agenzia e revoca il decreto ingiuntivo che era stato emesso a favore dell’Enasarco.
La competenza territoriale del giudice
Nelle controversie tra la Fondazione Enasarco e l’impresa alla quale viene contestato il mancato pagamento dei contributi, qual è il giudice competente per territorio?
Le possibili alternative sono 2: competenza presso il Tribunale di Roma (dove ha sede l’Enasarco), oppure competenza presso il Tribunale della società convenuta.
La questione della competenza per territorio è stata affrontata, molto di recente, dalla Corte di Cassazione[15]. Secondo la Suprema Corte, è competente il Tribunale di Roma, luogo in cui ha sede la Fondazione Enasarco. La controversia aveva ad oggetto l’opposizione avverso il decreto con il quale la Fondazione aveva ingiunto a una Sas (e al suo socio accomandatario) il pagamento di contributi omessi e sanzioni, in riferimento all’errata qualifica (come procacciatori e non agenti) di 2 collaboratori dell’impresa. La base normativa per la soluzione della questione è costituita dall’articolo 444, c.p.c.. La disposizione prevede, anzitutto, che “le controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie … sono di competenza del tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione ha la residenza l’attore” (comma 1).
Successivamente, l’articolo 444, comma 3, c.p.c., stabilisce che “per le controversie relative agli obblighi dei datori di lavoro e all’applicazione delle sanzioni civili per l’inadempimento di tali obblighi, è competente il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, del luogo in cui ha sede l’ufficio dell’ente”.
La disposizione fa riferimento ai datori di lavoro ed è, dunque, applicabile al rapporto di lavoro subordinato. La Cassazione ritiene, tuttavia, che si applichi anche ai rapporti di lavoro autonomo. Nel caso di specie, l’attore è la Fondazione Enasarco. Formalmente, l’atto di citazione in opposizione è della Sas a cui è stato chiesto il pagamento dei contributi. Tuttavia, l’attore in senso sostanziale è l’Enasarco, quale soggetto che attiva la procedura giudiziaria e chiede il pagamento di una somma di danaro. Sulla base dell’articolo 444, comma 1, c.p.c., sussiste, dunque, senz’altro la competenza del Tribunale di Roma. La competenza del Tribunale di Roma sussiste, però, anche sulla base del comma 3, in quanto il conflitto riguarda il rapporto tra il datore di lavoro (vale anche per il lavoro autonomo) e l’ente previdenziale. In conclusione, la Corte di Cassazione dichiara la competenza del Tribunale di Roma.
Il diritto del procacciatore all’informazione
Si accennava sopra che la questione di fondo è capire quali delle disposizioni di legge sull’agenzia siano applicabili anche alla figura del procacciatore d’affari. La risposta è che possono trovare applicazione le norme che non presuppongono la durata del rapporto.
E dunque, il procacciatore ha diritto, ad esempio, al pagamento della provvigione. La provvigione è relazionata a un singolo affare, non alla continuità del rapporto.
Un altro diritto che spetta al procacciatore è quello di essere informato sulla conclusione dell’affare. La funzione del procacciatore (come quella dell’agente) è quella di procurare clienti al preponente. Se l’affare si conclude, il procacciatore ha diritto alla provvigione.
Ma come fa il procacciatore a essere certo che il contratto si è concluso?
Per comprendere meglio il ragionamento bisogna considerare che le parti del contratto di compravendita di beni o servizi sono il preponente e il cliente finale. Rispetto a questo contratto, l’agente (e, allo stesso modo, il procacciatore) sono terzi. L’agente o il procacciatore si limitano a trasmettere al preponente gli ordini, ordini che possono essere o meno accettati dal preponente. Nella stragrande maggioranza dei casi gli ordini vengono accettati, cosicché sorge il diritto alla provvigione. Occasionalmente potrebbe, però, capitare che il preponente non intenda perfezionare il contratto, ad esempio, perché teme che l’acquirente sia un cattivo pagatore. In tutti questi casi, l’agente (o procacciatore) ha necessità di sapere se l’affare si è concluso. Al riguardo vi è una disposizione espressa: “l’agente ha diritto di esigere che gli siano fornite tutte le informazioni necessarie per verificare l’importo delle provvigioni liquidate ed in particolare un estratto dei libri contabili” (articolo 1749, comma 3, cod. civ.).
Questa disposizione deve reputarsi applicabile, in via analogica, alla figura del procacciatore d’affari. La questione è stata trattata dalla Corte di Cassazione[16]. Un signore opera come procacciatore d’affari per una Snc. Riesce a concludere qualche affare (ma non in numero sufficiente da poterlo qualificare come agente) e chiede il pagamento delle relative provvigioni. Chiede, inoltre, di avere copia delle fatture di vendita alla clientela, dei libri contabili e degli estratti conto provvigionali. Secondo la Suprema Corte, il diritto all’informazione vale anche per il procacciatore, essendo funzionale a un altro suo diritto (quello di ottenere il pagamento) che gli spetta in relazione agli affari che ha intermediato.
Procacciatore d’affari e liquidazione giudiziale
Esistono delle procedure concorsuali cui può essere assoggettato il procacciatore d’affari?
La risposta è positiva, in quanto il Codice della crisi esclude solo lo Stato e gli enti pubblici dal suo campo di applicazione (così l’articolo 1, comma 1, Codice).
Ma qual è la corretta procedura concorsuale per il procacciatore d’affari?
Dal momento che il procacciatore svolge un’attività d’impresa, egli può essere assoggettato a liquidazione giudiziale (se sopra soglia) oppure a liquidazione controllata (se sotto soglia).
L’assoggettabilità a procedura concorsuale del procacciatore d’affari è stata trattata dal Tribunale di Rimini[17]. Un signore è stato socio accomandatario di una Sas e poi titolare di ditte individuali e ha maturato un debito di oltre 600.000 euro. Attualmente, è titolare di una ditta individuale che svolge l’attività di procacciatore d’affari. Tizio chiede di essere ammesso alla procedura di liquidazione controllata. Il giudice riminese ritiene che l’attività di procacciatore d’affari sia attività imprenditoriale soggetta a liquidazione giudiziale (o controllata). L’interessato ha incarico da una Srl di promuovere tutti i suoi prodotti e servizi, con un contratto a tempo determinato per un anno, rinnovabile tacitamente alla scadenza (di 6 mesi in 6 mesi). Il testo contrattuale prevede un compenso mensile di circa 1.300 euro, oltre a provvigioni sui singoli contratti conclusi nella misura variabile dal 10% al 20%. A ben vedere, sulla base di quanto esposto sopra, il rapporto andrebbe inquadrato in un’agenzia più che in un procacciamento d’affari. In particolare, la presenza di un compenso fisso mensile è indicativa della continuità del rapporto. Il Tribunale di Rimini non si sofferma, però, su questo aspetto, essendo concentrato sul diverso profilo dell’assoggettabilità a procedura concorsuale. Dal momento che l’impresa individuale trae ricavi dall’attività svolta, va considerata come un imprenditore, soddisfacendo, così, i requisiti per essere assoggettata a procedura concorsuale. Si ricordava, tuttavia, sopra che il monte debiti era di circa 600.000 euro. L’impresa non può dunque essere considerata “minore”. L’articolo 2, lettera d), Codice, riserva, difatti, la qualità di impresa minore a chi abbia debiti fino a 500.000 euro. Tizio non può, pertanto, essere assoggettato a liquidazione controllata. Rimane ferma la possibilità di essere ammesso a una procedura di liquidazione giudiziale. In conclusione, il Tribunale di Rimini dichiara il ricorso per liquidazione controllata inammissibile, per difetto di uno dei presupposti (le piccole dimensioni dell’impresa).
[1] Sul procacciatore d’affari F. Bertelli, “La provvigione al procacciatore d’affari: orientamenti divergenti e interessi da bilanciare”, in Nuova giurisprudenza civile commentata, n. 3/2016, I, pag. 413 e ss.; P. Paulon, “In tema di procacciatore d’affari ed agente”, in Foro padano, n. 3/2011, I, pag. 457 e ss.; M. Pollaroli, “Il diritto alla provvigione del procacciatore d’affari”, in Contratti, n. 4/2011, pag. 366 e ss..
[2] Cassazione, n. 23214/2024.
[3] Si veda anche Cassazione, n. 2828/2016, secondo cui il rapporto d’agenzia e il rapporto di procacciamento d’affari si distinguono per il carattere stabile del primo, mentre il rapporto di procacciamento è episodico, ovvero limitato a singoli affari determinati ed è occasionale, ovvero di durata limitata nel tempo, e ha a oggetto la mera segnalazione di clienti o sporadica raccolta di ordini e non l’attività promozionale stabile di conclusione di contratti.
[4] Tribunale di Teramo, 10 maggio 2024, in dirittopratico.it.
[5] Tribunale di Bari, 29 marzo 2023, in i2.res.24o.it.
[6] Tribunale di Napoli, 20 settembre 2024, in dirittopratico.it.
[7] Cassazione, n. 19828/2013.
[8] Cassazione, n. 12651/2020.
[9] Tribunale di Roma, 14 giugno 2024, in dirittopratico.it.
[10] Cassazione, n. 3962/2024.
[11] Tribunale di Roma, 18 gennaio 2023, in i2.res.24o.it.
[12] Cassazione, n. 1102/2022.
[13] Cassazione, n. 16565/2020.
[14] Cassazione, n. 12197/2020.
[15] Cassazione, n. 29869/2024.
[16] Cassazione, n. 5253/2021.
[17] Tribunale di Rimini, 4 maggio 2023, in ilcaso.it.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Il giurista del lavoro”