24 Aprile 2018

Di rete in rete

di Elena Valcarenghi

Avete letto la circolare n. 7/2018 dell’Ispettorato? Quella che si occupa del contratto di rete?

Dopo averlo fatto, nei miei consueti discutibili pensieri silenziosi, si è affacciato il ricordo di una lettura, un contributo di Ennio Flaiano che vi riporto, sperando di non commettere errori: “Appartengo alla minoranza silenziosa. Sono di quei pochi che non hanno più nulla da dire e aspettano. Che cosa? Che tutto si chiarisca? L’età mi ha portato la certezza che niente si può chiarire: in questo Paese che amo non esiste semplicemente la verità. Paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una loro verità, noi ne abbiamo infinite versioni. Le cause? Lascio agli storici, ai sociologi, agli psicanalisti, alle tavole rotonde il compito di indicarci le cause, io ne subisco gli effetti. E con me pochi altri: perché quasi tutti hanno una soluzione da proporci: la loro verità, cioè qualcosa che non contrasti i loro interessi. Alla tavola rotonda bisognerà anche invitare uno storico dell’arte per fargli dire quale influenza può avere avuto il barocco sulla nostra psicologia. In Italia infatti la linea più breve tra due punti è l’arabesco. Viviamo in una rete d’arabeschi“.

La parola rete è stata la chiave che ha aperto il cassetto dei ricordi; ma no, non sono malinconica, forse piuttosto dispiaciuta nel constatare che poco cambia col tempo. Ancora oggi, infatti, viviamo in una rete di arabeschi.

Il contratto di rete dovrebbe essere un’opportunità visto che ha lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la capacità innovativa e la competitività sul mercato mediante un programma comune tra i soggetti coinvolti, per collaborare in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero, ancora, ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Secondo l’INL, però, tale contratto è caduto nella rete di soggetti che promuovono “la diffusione di meccanismi finalizzati a trarre vantaggi economici attraverso una evidente violazione di diritti fondamentali dei lavoratori, dando luogo ad ipotesi di somministrazione e distacco illeciti”. Diverse segnalazioni sembrano essere state raccolte in merito ad annunci pubblicitari che promuovono “l’utilizzo del distacco e della codatorialità nell’ambito di contratti di rete, evidenziando i ‘forti vantaggi’ di natura economica di cui beneficerebbero le imprese”.

Il dottor Pennesi ci ricorda che i contratti di rete devono essere iscritti nel Registro Imprese, che i lavoratori devono essere regolarmente assunti e che hanno diritto al trattamento economico e normativo previsto dal contratto collettivo applicato dal datore di lavoro che procede all’assunzione, che le eventuali omissioni afferenti al trattamento retributivo o contributivo, incluse quelle che derivino dall’applicazione di un contratto collettivo che non sia leader, espongono a responsabilità tutti i co-datori.

Oltre al dato tecnico, però, vorrei riflettere sulla mia incapacità di promuovere l’utilizzo corretto di uno strumento che il nostro ordinamento prevede, tanto da lasciare che siano pescatori di frodo a proporlo ai miei clienti come soluzione geniale. Senza considerare che è talvolta più complicato smontare i castelli in aria da altri costruiti che gettare le fondamenta di un percorso rispondente alle regole. Certo, non avendo io la bacchetta magica, il mio progetto non avrà lo stesso appeal dei commercianti di rischiose illusioni, ma almeno ci avrò provato e se non avrò convinto avrò almeno informato.

 

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