Decreto Salva infrazioni: le novità per i contratti a termine
di Luca Vannoni Scarica in PDFÈ stato pubblicato sulla G.U. del 16 settembre 2024, n.217, il D.L. 131/2024, in vigore dal 17 settembre 2024, l’ormai consueto provvedimento governativo volto a sanare infrazioni dell’ordinamento interno rispetto alla normativa dell’Unione Europea.
Oltre a tematiche che hanno avuto maggior risalto, come le concessioni degli stabilimenti balneari, che, fra l’altro, tra le pieghe, affrontano tematiche anche giuslavoristiche, il Decreto Salva infrazioni 2024 apporta una rilevante modifica relativa ai contratti a termine.
La norma oggetto di intervento è l’articolo 28, comma 2, D.Lgs. 81/2015, dove si predeterminava l’ammontare del risarcimento del danno in caso di trasformazione di un contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, mediante la previsione di un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8, L. 604/1966 (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’impresa, anzianità di servizio del prestatore di lavoro, comportamento e condizioni delle parti).
Nel disegno originario, 12 mensilità rappresentava un limite massimo di risarcimento, non valicabile nelle pronunce giudiziali che seguivano alle trasformazioni: proprio tale aspetto, era stata l’idea che aveva portato all’emanazione di tale norma con il Collegato Lavoro, poi sostituita dalla norma in commento, al fine di evitare risarcimenti eccessivi legati alle lentezze, in parte fisiologiche, degli organi giudicanti.
Con la modifica apportata dall’articolo 11, D.L. 131/2024, si introduce una profonda crepa a tale concezione, prevedendo che il giudice possa stabilire l’indennità in misura superiore alle 12 mensilità se il lavoratore dimostra di aver subito un maggior danno: il limite massimo diviene, quindi, una linea di confine molto più permeabile da valutazioni non sempre semplici sull’effettività del danno, tenuto conto che il risarcimento si aggiunge alla trasformazione a tempo indeterminato.
Inoltre, a completare il rafforzamento delle tutele in favore del lavoratore, si elimina la previsione che poteva dimezzare il risarcimento in presenza di procedure di stabilizzazione previste da regolamentazioni collettive.
Appare, ad ogni modo, singolare che la modifica sia stata giustificata dalla procedura di infrazione 2014/4231, relativa sì ai contratti a termine, ma del settore pubblico: al paragrafo 9 del documento della Commissione UE si sottolineava, infatti, come “la normativa italiana non previene né sanziona in misura sufficiente l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato per diverse categorie di lavoratori del settore pubblico in Italia”. Nulla è stato contestato in ordine alla disposizione relativa al settore privato.
L’articolo 12, D.L. 131/2024, modifica effettivamente anche la disciplina del settore pubblico, contenuta nell’articolo 36, comma 5, D.Lgs. 165/2001: in caso di danno conseguente all’abuso “nell’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, fatta salva la facoltà per il lavoratore di provare il maggior danno, il giudice stabilisce un’indennità nella misura compresa tra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, avuto riguardo alla gravità della violazione anche in rapporto al numero dei contratti in successione intervenuti tra le parti e alla durata complessiva del rapporto”.
Tenuto conto che nei rapporti con la P.A., in virtù dell’articolo 36, comma 1, D.Lgs. 165/2001, non è possibile trasformare a tempo indeterminato rapporti a termine o successioni di essi illegittime, vi è un limite ordinario più alto, pari a 24 mensilità, superabile anche in questo caso se il lavoratore prova il maggior danno.
Ad ogni modo, pur nella difficoltà nel poter valutare l’equilibrio tra due ordinamenti profondamenti diversi, dove lo spartiacque è sicuramente rappresentato dalla possibile trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, possibile ovviamente nel privato ma non nel pubblico, probabilmente per ragioni sistematiche si è voluto superare il sistema “forfettario” di risarcimento del settore privato a vantaggio di una maggior effettività, nella speranza che si tenga in debita considerazione che la dilatazione del periodo tra cessazione del contratto, o superamento dei limiti nelle successioni o nelle proroghe, e trasformazione a tempo indeterminato non sempre dipende dalla volontà del datore di lavoro, stante anche la presenza di ombre nella disciplina attualmente vigente, che crea i presupposti del contenzioso in materia.