Danno del lavoratore: il recupero in busta paga
di Lorenzo GracciNel rapporto di lavoro subordinato si possono verificare fatti che non attengono all’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa e alla sua corretta esecuzione, ma, anzi, ne costituiscono un aspetto patologico. È in questo ambito che rientra la fattispecie del danno provocato dal lavoratore alla propria azienda. Fermo restando il diritto al risarcimento in capo al datore di lavoro, che solitamente avviene tramite una trattenuta in busta paga, è preventivamente necessario verificare quali siano la misura e gli adempimenti di carattere procedimentale che devono essere rispettati ai fini della sua legittimità, ivi compreso l’eventuale obbligo di avviare un preventivo procedimento disciplinare.
Premessa
La trattenuta in busta paga che il datore di lavoro danneggiato dal proprio dipendente intende normalmente operare, costituisce un’applicazione dell’istituto della compensazione, che si realizza quando i debiti tra 2 soggetti, che si trovano reciprocamente in una posizione sia creditoria che debitoria, si estinguono per quantità corrispondenti.
Prima di affrontare le criticità della compensazione nell’ambito dei rapporti di lavoro subordinato, è opportuno ricordare che il consolidato orientamento della giurisprudenza della Cassazione ne distingue 2 diverse fattispecie: quella propria (o tecnica) e quella impropria (o atecnica).
La compensazione propria o tecnica
La compensazione propria (o tecnica) è regolamentata dagli articoli da 1241 a 1252 cod. civ. e può essere applicata laddove i reciproci debiti/crediti delle parti siano caratterizzati dai seguenti imprescindibili elementi:
- certezza, liquidità ed esigibilità: devono essere certi nella loro esistenza, il loro ammontare deve risultare definito nella misura – non espresso pertanto in modo generico – e non devono essere sottoposti a condizioni o a termini che ne limitino o impediscano il pagamento;
- autonomia: i rapporti giuridici dai quali essi sorgono devono essere diversi e, pertanto, deve risultare assente qualsiasi relazione sinallagmatica tra di essi.
Per quanto di interesse ai fini del presente elaborato, è inoltre necessario evidenziare che, tra le varie disposizioni che regolamentano tale istituto, è di particolare rilievo la previsione di cui al punto 3) dell’articolo 1246 cod. civ., che sancisce l’inapplicabilità della compensazione nei casi di credito dichiarato impignorabile.
La compensazione impropria o atecnica
La compensazione impropria (o atecnica) trova la propria legittimazione in una consolidata elaborazione giurisprudenziale e si differenzia da quella codicistica, in quanto opera – fermi restando gli ineluttabili requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità delle relative obbligazioni creditorie – quando le relazioni di debito/credito traggono origine da un unico rapporto intercorrente tra le parti, all’interno del quale la valutazione delle reciproche pretese comporta un semplice accertamento contabile di dare e avere. L’applicazione di questa tipologia di compensazione, in quanto frutto di una costruzione giuridica priva di un’espressa regolamentazione legale, non soggiace alle disposizioni – e limitazioni – previste dal codice civile, con la conseguenza che, qualora il predetto accertamento contabile dovesse produrre risultati analoghi a quelli che si avrebbero applicando la compensazione propria, non deve desumersi che la compensazione impropria sia sottoposta alla medesima disciplina. Non applicandosi i vincoli di cui all’articolo 1246, punto 3), cod. civ., sarà quindi ammessa la computazione delle somme volte al soddisfacimento del credito, comprese quelle di natura impignorabile ai sensi dell’articolo 545 c.p.c..
Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale
Ai fini dell’individuazione della corretta tipologia di compensazione utilizzabile, è necessario ricordare che in ambito di rapporto di lavoro subordinato sono rinvenibili 2 distinte forme di responsabilità in capo al lavoratore: quella contrattuale, che discende dagli obblighi assunti a seguito della sottoscrizione del contratto di lavoro, e quella extracontrattuale, svincolata dalla precedente, che attiene a un fatto illecito, amministrativo o penale, commesso dal lavoratore.
La responsabilità contrattuale è connessa al rispetto degli obblighi di cui agli articoli 2104 ss. cod. civ. – con particolare riferimento agli obblighi di diligenza e fedeltà – nonché dell’articolo 1175 cod. civ. (obbligo di correttezza), pertanto, laddove il danno provocato dal lavoratore sia riconducibile in tale alveo, si realizzerebbe la condizione per cui il credito del dipendente (costituito dalla retribuzione) e quello del datore di lavoro (costituito dal corrispettivo del risarcimento del danno) sorgono nell’ambito del medesimo rapporto sinallagmatico sancito dal contratto di lavoro. È, quindi, pacifica, in tale ipotesi, l’applicazione della compensazione impropria, non rilevando, a tal fine, che uno dei 2 crediti (quello del datore di lavoro) abbia natura risarcitoria.
Si pensi, ad esempio, al caso di un dipendente di un’azienda che svolga attività di noleggio autovetture, che, per le mansioni ad egli affidate, debba occuparsi della pulizia e della manutenzione dei mezzi. Laddove il lavoratore provochi un danno al mezzo mentre lo conduce presso un gommista per il cambio degli pneumatici, ne risponderà secondo la responsabilità contrattuale. Il datore di lavoro potrà procedere sia al recupero del danno tramite una trattenuta in busta paga dell’intero importo fino a soddisfazione del proprio credito, sia all’avvio di un procedimento disciplinare ai sensi dell’articolo 7, L. 300/1970.
La responsabilità extracontrattuale, esterna agli obblighi connessi al rapporto di lavoro, trova legittimazione nell’articolo 2043 cod. civ., a norma del quale: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
In questo caso i rispettivi crediti delle parti dovranno essere compensati secondo i criteri previsti per la compensazione propria, in quanto generati da 2 rapporti autonomi tra loro.
Riprendendo l’esempio precedente, si supponga che il medesimo lavoratore noleggi un’autovettura del proprio datore di lavoro per un fine settimana e la riconsegni danneggiata. Il datore di lavoro non potrà recuperare il danno subito secondo il principio della compensazione impropria, in quanto i rispettivi crediti sorgono da 2 distinte obbligazioni: il contratto di lavoro subordinato, da una parte, e un contratto commerciale di noleggio, dall’altra. Il soggetto danneggiato potrà, pertanto, soddisfare il proprio credito secondo le vie ordinarie, potendo quindi procedere, in caso di reticenza da parte del debitore, fino al pignoramento della retribuzione, che sarà comunque soggetto alla limitazione del quinto dello stipendio, secondo quanto previsto dal combinato disposto dell’articolo 1246, punto 3, cod. civ., con l’articolo 545 c.p.c..
Spesso la linea di demarcazione tra i 2 tipi di responsabilità può risultare indefinita, fino, in alcune situazioni, a sovrapporne le 2 tipologie: si pensi a un cassiere che si appropri illecitamente, nell’esercizio delle sue mansioni, di una somma di denaro di proprietà del datore di lavoro. Saremo in presenza di infrazione a un obbligo di natura contrattuale, unitamente a un danno ingiusto – doloso – procurato dal lavoratore. Il datore di lavoro potrebbe, pertanto, agire per la tutela del proprio credito, sia in via contrattuale, sia in via extracontrattuale.
Il diverso profilo di responsabilità determina, oltre alla tipologia di compensazione applicabile, anche un diverso termine prescrizionale – decennale per quella contrattuale e quinquennale per quella extracontrattuale – e diversi oneri probatori: se per la responsabilità contrattuale è sufficiente dimostrare il diritto all’esigibilità della corretta prestazione, per quella extracontrattuale è necessario dimostrare il nesso causale tra il fatto e il danno subito.
Le criticità della compensazione del danno nell’ambito del contratto di lavoro subordinato
L’applicazione dell’istituto della compensazione impropria, derivante dalla responsabilità contrattuale del dipendente, può presentare alcune rilevanti criticità.
Come già evidenziato, è necessario che i crediti oggetto di compensazione abbiano, tra l’altro, il carisma della certezza, e quindi risultino definiti nella loro entità. Mentre tale elemento risulta assolutamente chiaro per il credito del lavoratore – in quanto espressamente indicato sul LUL – potrebbe non essere altrettanto evidente per il credito del datore di lavoro.
Potrebbe verificarsi il caso in cui il danno non sia immediatamente quantificabile nella sua interezza: si pensi a un dipendente che abbia accidentalmente eliminato dati informatici dal database aziendale o a quello che abbia causato un danno di immagine al proprio datore di lavoro. In tali evenienze sarà, quindi, necessario procedere a un definitivo accertamento del danno, anche in via giudiziale, prima di poter legittimamente procedere alla compensazione.
Un ulteriore caso di incertezza del credito si potrebbe verificare anche in caso di contestazione da parte del dipendente dell’entità, o perfino della responsabilità, del danno ad egli addebitato.
Si supponga il caso in cui il lavoratore, nell’esercizio delle sue mansioni, danneggi irrimediabilmente un attrezzo di lavoro e il datore di lavoro gli addebiti il danno nella misura pari al costo di acquisto di un nuovo strumento analogo. Potrebbero sorgere contestazioni circa la sproporzione tra il valore richiesto e quello effettivo – uno strumento usato ha un valore sicuramente inferiore a uno nuovo – ma anche relative alla responsabilità stessa del dipendente, il quale potrebbe sostenere che la rottura sia da attribuirsi a un fisiologico deterioramento dovuto alla normale usura. L’esecutività della trattenuta in busta paga è, quindi, vincolata all’accettazione, esplicita o implicita, dell’entità del danno da parte del lavoratore o, in caso di rifiuto, alla presenza di un titolo esecutivo (ad esempio, una sentenza del giudice).
Ancora, in tema di contestazione da parte del dipendente, necessita particolare attenzione il caso del danno causato per imperizia.
Il lavoratore potrebbe sostenere di non essere stato adeguatamente formato – specialmente laddove le mansioni svolte nel momento in cui il danno si sia verificato non siano quelle alle quali è normalmente adibito – declinando totalmente la responsabilità in merito, ma, anzi, riversandola sul datore di lavoro, che potrebbe risultare inadempiente, ricadendo su di esso l’onere di organizzazione dell’impresa ai sensi dell’articolo 2086 cod. civ..
I vincoli della contrattazione collettiva
La Corte di Cassazione ha stabilito che il datore di lavoro che proponga domanda per risarcimento del danno causata dal proprio dipendente, derivante dalla violazione dell’obbligo contrattuale di diligenza ex articolo 2104 cod. civ., non è obbligato alla preventiva contestazione dell’addebito ai sensi dell’articolo 7, L. 300/1970, che riguarda esclusivamente la responsabilità disciplinare.
Il potere sanzionatorio del datore di lavoro e il suo diritto a proporre azione per il risarcimento del danno devono, pertanto, considerarsi 2 facoltà distinte e indipendenti.
È comunque possibile che, in via pattizia, l’obbligo di un preventivo procedimento disciplinare venga istituito dalle disposizioni contenute nei contratti collettivi, di qualsiasi livello, ovvero da una specifica previsione del contratto individuale. Come è noto, il contratto collettivo, in quanto contratto di diritto comune, è regolamentato dagli articoli 1321 ss. cod. civ., vincolando le parti con forza di legge, a nulla rilevando che la sua applicazione avvenga in virtù dell’adesione del datore di lavoro alle associazioni sindacali firmatarie, per recepimento implicito attraverso un comportamento concludente, ovvero per richiamo esplicito nel contratto di lavoro individuale.
Appare evidente che l’assenza di una procedura disciplinare preventiva, laddove il contratto collettivo ne faccia espressa previsione, comporterebbe l’illegittimità del recupero in busta paga. Per quanto riguarda l’impatto della contrattazione individuale è necessario rilevare come essa possa introdurre, quale condizione di miglior favore per il dipendente, l’obbligo di una preliminare contestazione disciplinare, mentre, a contrario, laddove tale procedura sia prevista da un contratto collettivo, il contratto individuale non potrà mai escluderla, ponendosi come condizione peggiorativa per il lavoratore.
Tra i Ccnl più diffusi, quello per i dipendenti da imprese di spedizione, autotrasporto merci e logistica prevede un dettagliato iter disciplinare in tema di addebito del danno al dipendente. L’articolo 32, come novellato dall’accordo di rinnovo del 3 dicembre 2017, sancisce in via preliminare che: “L’impresa che intenda chiedere il risarcimento dei danni al lavoratore deve preventivamente adottare almeno il provvedimento disciplinare del rimprovero scritto, specificando l’entità del danno”.
In questo caso, non sarà pertanto sufficiente avviare un procedimento disciplinare, ma sarà necessario che esso si concluda con “almeno il provvedimento disciplinare del rimprovero scritto”, e che l’informazione circa l’entità del danno – in ogni caso necessaria al fine di conferire all’addebito il requisito della liquidità – sia contenuta nel documento di irrogazione della sanzione.
La previsione contrattuale provvede, inoltre, a individuare i limiti entro i quali il lavoratore è chiamato a risarcire il datore di lavoro, stabilendo che “Al lavoratore verrà addebitato l’intero importo del danno nei casi di dolo o colpa grave o per danni di importo fino a 3.500 €. Laddove il danno superi l’importo di 3.500 €, la somma che potrà essere posta a carico del lavoratore sarà limitata al 75% dell’importo del danno stesso, con un massimo di 20.000 €. Qualora l’azienda abbia stipulato una copertura assicurativa con franchigia, al dipendente sarà addebitato il solo valore della franchigia stessa”.
Risulta particolarmente interessante notare come il dipendente venga chiamato a risarcire per intero il danno esclusivamente in 2 casi:
- danno di entità contenuta – fino a 3.500 euro – nel caso di colpa lieve;
- colpa grave o dolo.
L’attenuazione delle conseguenze pecuniarie per il dipendente oltre il limite dei 3.500 euro di valore del danno è, poi, riconosciuta esclusivamente in caso di colpa lieve, che permetterà al lavoratore di rispondere per il 75% dell’importo del danno medesimo fino a un massimo di 20.000 euro.
Il dettato contrattuale prosegue disciplinando le modalità di effettuazione della trattenuta, disponendo che “Gli importi così addebitati al dipendente saranno trattenuti con rate mensili, esposte in busta paga, la cui somma non dovrà superare 1/5 della retribuzione lorda mensile; in caso di cessazione del rapporto di lavoro l’importo residuo sarà detratto dalle competenze di fine rapporto. Sono fatti salvi gli eventuali accordi sindacali di miglior favore in essere”.
Risalta immediatamente lo scostamento della previsione pattizia – in favore del dipendente – rispetto a quella legale. Il danno addebitato al dipendente è ascrivibile alla responsabilità contrattuale del dipendente, pertanto si dovrebbe applicare la disciplina della compensazione impropria, con conseguente diritto del datore di lavoro al recupero del risarcimento senza la limitazione costituita dalle somme impignorabili (tipica della compensazione propria). Evidentemente le parti sociali, ritenendo opportuno tutelare la finalità sociale della retribuzione di cui all’articolo 36, Costituzione, hanno pattuito un limite alla trattenuta operabile in busta paga, pari a 1/5 della retribuzione e, pertanto, equivalente a quello previsto dall’articolo 545 c.p.c., con eccezione delle competenze di fine rapporto che concorreranno per intero al soddisfacimento del credito datoriale.
Vi è, infine, in caso di danni di entità minima, una previsione volta ad evitare l’avvio della procedura disciplinare: “Se il danno è inferiore a 1.000 € e l’azienda lo quantifica immediatamente, comunicandone l’entità al lavoratore, sarà evitata la procedura disciplinare qualora il lavoratore sottoscriva entro 10 giorni dalla data in cui l’impresa è venuta a conoscenza del fatto una dichiarazione di responsabilità alla presenza di un Rappresentante sindacale a cui il lavoratore conferisce mandato. In tal caso l’importo addebitato al lavoratore sarà limitato al 75% dell’importo del danno. In difetto di sottoscrizione si applicherà la procedura di cui al presente articolo. Sono fatti salvi gli eventuali accordi sindacali di miglior favore in essere”.
Per l’attivazione della suddetta procedura sarà necessaria sia la volontà dell’azienda, che dovrà procedere all’immediata quantificazione del danno, sia del dipendente, che sarà tenuto alla sottoscrizione di una dichiarazione di responsabilità che gli permetterà di evitare l’irrogazione della sanzione disciplinare.
Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.
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