Dal sindacato unico agli unici tre
di Riccardo GirottoIl diritto sindacale italiano visse un’epoca particolare, conosciuta come “corporativismo”. In questo periodo i contratti collettivi acquisirono il potere di vere e proprie leggi:
– vigeva un unico contratto collettivo per ogni settore;
– l’efficacia di ogni contratto collettivo si estendeva trasversalmente a tutti i datori e tutti i lavoratori del settore, senza possibile diversa opzione;
– ogni contratto collettivo risultava inderogabile in pejus, generando, altresì, una sostituzione automatica delle clausole in perdita inserite nei contratti individuali.
A corollario di questo diritto sindacale certo, ma estremamente vincolato, venne sviluppato il Titolo I, Libro V, cod. civ., focalizzato nel colmare i limitati spazi interpretativi che venivano a crearsi nelle operazioni di applicazione contrattuale. Il diritto sindacale mirava, però, un obiettivo più alto, chiamato libertà, che prontamente venne recepito dalla Carta Costituzionale. L’articolo 39, Costituzione, propose una travolgente inversione di tendenza: poco apprezzata, poco conveniente, spesso poco nota a soggetti distratti (e qui si allunga il naso).
Però la libertà, tanto più se distante dalle regole del riconoscimento, produce una sensazione di piacere e stimolò la più spinta e variegata produzione contrattuale. Vennero pian piano superati i concetti di settore e categoria, l’area merceologica venne individuata solo dal diritto civile in sede di confezionamento contrattuale.
Il problema è che “liberi tutti” non vuole dire “liberi alcuni”, vuol dire “liberi proprio tutti”, con pieno diritto per chiunque, simpatico o meno, di formare sigle sindacali e creare contratti successivamente applicati dalle aziende. Reso per gran parte inapplicabile il chiaro Titolo I, Libro V, cod. civ., giurisprudenza, dottrina e Legislatore si interrogarono più volte per capire come controllare tutto questo, talvolta scivolando in sviste di rilievo costituzionale.
La sfida dei nostri giorni, però, spinge verso una verifica dei diritti regolati dal Ccnl, verso la definizione di standard minimi che tornino a guidare l’applicazione contrattuale tramite forzature legislative e sistemi di controllo amministrativo dall’interpretazione rigida. Viene utilizzato come deterrente il recupero delle agevolazioni in caso di mancata applicazione di precisi Ccnl, azione introdotta a sorpresa e tutt’ora cavalcata.
Da settembre 2019 la triplice alleanza sindacale può vantare la stipula di una convenzione diretta con l’INL, convenzione dalla quale risultano escluse tutte le diverse sigle, tesa a unire i soggetti che regolano e quelli che controllano, verso un obiettivo oramai non più celato.
Personalmente, sono stato investito dalla grande curiosità di capire quali sanzioni affliggeranno il datore di lavoro disobbediente alla logica della convenzione che impone la comunicazione delle deleghe all’Inps, stante che tutta la procedura parte da lì.
Allo stesso modo, attendo di capire i sistemi di penalizzazione e controllo degli errori nell’invio dei dati. In caso di perseveranza nella sottoscrizione congiunta dei Ccnl da parte della triplice il problema non sussiste; residua, quindi, il caso di sottoscrizione di contratti separati, ma ogni sigla se ne guarderà bene dopo che i trascorsi recenti sono serviti da buona lezione. Insomma, il valore giuridico di questi dati rischia di perdersi, mentre il valore pratico è fondamentale e deriva dall’abilitazione dei contratti come unici applicabili.
Certo, potranno comunicarsi anche deleghe a sindacati non firmatari della convenzione: sia chiaro, diciamo che è come se a inizio campionato 3 squadre decidessero le regole da applicare a tutte le altre squadre iscritte, con tanto di avvallo da parte dell’ente verificatore. Se vuoi partecipare sai che le regole sono queste e l’INL le ha ben sottoscritte.
Ancora pochi passi e poi torneremo a un diritto sindacale certo e non più transitorio, con contratti collettivi dall’efficacia molto vicina a quella di Legge:
- vigenza di un unico contratto collettivo per ogni settore;
- efficacia di ogni contratto collettivo verso tutti i datori e tutti i lavoratori del settore, senza possibile diversa opzione;
- ogni contratto collettivo inderogabile in pejus, tale da generare una sostituzione automatica delle clausole in perdita inserite nei contratti individuali.
Potete confrontarlo con il periodo corporativo se volete, il tutto fino a un chiaro intervento costituzionale. Anzi no, quello stavolta c’è già.
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Centro Studi Lavoro e Previdenza – Euroconference ti consiglia:
3 Ottobre 2019 a 10:26
Occorre però considerare che il fenomeno dei contratti pirata ( CISAL, CONFSAL, UNCI, FLSCB, CONFAEL, SAVT, bcb, acd, ogh, H2O……etc etc) esiste ed è pesantissimo:con minimi retributivi risibili e che già hanno prodotto sentenze di incostituzionalità, in quanto non sufficienti ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Esiste tanto che ormai lo standard per alcuni servizi ( anche in appalti pubblici) è diventato di 3,5 euro l’ora per il lavoratore.
Si veda ad esempio capitolato tecnico del Bando ( spedito alla GUUE il 29/6/2018) di gara Intercenter-ER o le gare simili di Regione Veneto e Lombardia con esplicito riferimento al Ccnl servizi fiduciari ( introdotto nel 2013 nel tentativo di rincorsa al ribasso appunto dei contratti pirata) che prevede un costo del lavoro totale fra i 10 e i 12 euri complessivi (sic!!).
4 Ottobre 2019 a 9:41
Assolutamente si tutto questo esiste perché si è scelto di non applicare la Costituzione, aggirarla è una scelta tanto quanto applicarla.
14 Ottobre 2019 a 18:50
Lo scrivente dottor Lucantonio Paladino, nella qualità di presidente della FIDEF – Federazione Italiana Enti e Scuole di Istruzione e Formazione, con riferimento all’oggetto, a nome della federazione rappresentata, ritiene opportuno evidenziare quanto segue:
La funzione del CCNL è quella di dettare il trattamento economico e normativo valido per tutti i lavoratori di un certo settore, funzione garantita in quasi tutti gli ordinamenti che prevedono che detto istituto è teso ad estendere le norme collettive a tutti i soggetti (datori e prestatori) operanti in un dato settore. Pertanto, lo stesso, regola il rapporto tra il lavoratore e la parte datoriale, per tutte le categorie di lavoratori, sia esso dipendente che parasubordinato. Quest’ultima tipologia, include anche quella della “Collaborazione coordinata e continuativa”, che trova regolamentazione nei CCNL. Ciò anche in considerazione del continuo aumento del numero di aziende e lavoratori, che scelgono detta tipologia lavorativa.
Tanto premesso, riteniamo che la “rilevazione dei Contratti” da assumere a riferimento” non può limitarsi ad individuare il numero degli occupati che rivestono la qualifica di lavoratori dipendenti, ma di tutte le categorie dei lavoratori a cui viene applicato lo stesso CCNL, anche in considerazione della tipologia di impresa, così come individuate dal DM18 aprile 2005 “piccole e medie imprese”.
Sul “Flusso UniEmens”
Si ritiene che la rilevazione deve interessare tutte le categorie dei lavoratori e non solo quella dei dipendenti. A tale scopo è ipotizzabile che il software dell’INPS per il flusso UniEmens, debba poter acquisire il dato riguardante il CCNL applicato per tutte le categorie di lavoratori: dipendenti e parasubordinati.
Dato Contrattuale che, di contro, trova la sua collocazione (possibilità di indicarla) nella compilazione dell’UNILAV per tutti i lavoratori assunti e non solo per i lavoratori dipendenti.
Sulla rappresentanza “RSU”
E’ da evidenziare che nella prassi delle relazioni industriali, la densità associativa delle organizzazioni di rappresentanza, specie in quelle che operano in settori caratterizzati dalla presenza diffusa di aziende di piccola dimensione, resta un indicatore che, in assenza di altri punti di riferimento, rischia di sviare, anzichè favorire, l’individuazione del sistema contrattuale costituita da soggetti in grado di interpretare e rappresentare l’interesse collettivo nelle dinamiche di regolazione e governo del mercato del lavoro. Le micro e piccolissime imprese rappresentano il 93,3% delle aziende italiane, pari ad oltre 1 milione e mezzo di realtà, occupano 5,1 milioni di addetti (dato Consulenti del lavoro).
Nelle predette aziende non avviene l’elezione della RSU, cioè del Responsabile sindacale unitario e i sindacati sono poco presenti, in particolare Cgil, Cisl e Uil, perché il legame che intercorre tra il personale e la gestione è più di tipo professionale-affettivo che aziendale. La convenzione di cui sopra interessa, semmai, le attività i cui livelli occupazionali sono decisamente alti ed il rapporto datore di lavoro-collaboratori richiede una presenza sindacale diffusa e capillare.
Quello che si intende sottolineare, prescinde dalla fattispecie dell’accordo stipulato dalla Confindustria con i sindacati CGIL, CISL e l’UIL, Inps ed l’Inl che evidenziano l’esigenza di fissare le regole che definiscano la rappresentatività delle organizzazioni sindacali, e di conseguenza l’individuazione dei contratti collettivi considerati leader, in quanto comparativamente più rappresentativi rispetto a quelli che vengono utilizzati per fare dumping sociale a danno dei lavoratori.
Luca Paladino
15 Ottobre 2019 a 9:53
Dott Paladino buongiorno
intanto La ringrazio per il contributo. Nell’Uniemens possiamo pure indicare tutto, il problema è che non essendoci alcuna sanzione per la mancata o errata indicazione, purtroppo il dato non risulterebbe minimamente attendibile.
Comprendo comunque tutto quanto da Lei evidenziato, continuo a pensare che quella tracciata dalla convenzione qui commentata non sia la strada percorribile.
Riccardo Girotto