2 Settembre 2020

Cronaca di una circolare annunciata

di Francesco Natalini

Con la pubblicazione della circolare n. 2/2020, l’INL conclude un percorso che era stato già avviato dallo stesso con le circolari n. 7/2019 e n. 9/2019 (e, ancora prima, con le circolari n. 3/2017 e n. 3/2018), incentrato sulla disciplina e sulle conseguenze scaturenti dal “famigerato” articolo 1, comma 1175, L. 296/2006, il quale, com’è (tristemente) noto, subordina il diritto alla percezione di benefici contributivi e normativi non solo al possesso del Durc, ma anche al rispetto “degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

 

Premessa

Ho scritto molte volte su questa tematica[1], che, a mio parere, è incardinata all’interno di una delle norme più assurde e inique dell’intero panorama giuslavoristico, peraltro sempre più schizofrenico (le recenti disposizioni introdotte nell’epoca del COVID-19 confermano tale diagnosi); nondimeno, tutte le volte riesco ancora a sorprendermi di come una disposizione di questo genere, scritta in questo modo, possa albergare nel nostro diritto del lavoro. A dire il vero, ho anche provato a suggerire “alla politica” alcuni “aggiustamenti” che la potessero rendere più gestibile e meno iniqua, ma niente da fare. Anzi, di tutta risposta, al posto di “lasciare” si “raddoppia”, disciplinando ed estendendo il controllo ispettivo (proprio con le modalità impartite tramite la circolare in commento), anche alla parte “normativa” del contratto collettivo, fino ad oggi di fatto non presa in considerazione. Per carità, non possiamo certo considerarla una prevaricazione dell’INL, visto che è la Legge stessa a prevederne il rispetto (anzi, si dovrebbe dire, a non escluderlo); certo, però, che un periodo migliore di questo per far uscire una circolare di tale portata non poteva esserci: con le aziende che devono affrontare la crisi generata dal COVID-19, tra il “delirio” delle casse integrazioni e i finanziamenti che non arrivano, con il calo del lavoro e il blocco dei licenziamenti, condizioni che mettono a repentaglio la loro stessa sopravvivenza, il “colpo di grazia” potrebbe arrivare anche dall’obbligo di dover restituire (tralasciando per un attimo l’area, non ancora ben definita, dei benefici c.d. “normativi”) quantomeno i benefici di natura contributiva goduti nei limiti prescrizionali, in più gravati anche di sanzioni civili, che, in taluni casi vengono calcolate in verbale (a mio parere indebitamente), addirittura con il criterio dell’evasione contributiva. Infatti, come si diceva poc’anzi, che la norma subordinasse il diritto al godimento delle agevolazioni anche al rispetto della parte normativa del contratto collettivo sottoscritto dalle OO.SS. dei lavoratori (e dei datori di lavoro) comparativamente più rappresentative (c.d. contratto leader) lo si sapeva da 14 anni (la Legge, mai mutata, com’è noto, risale al 2006); malgrado ciò, l’INL ha ritenuto di far uscire la circolare nel peggior periodo della storia economica del nostro Paese, perlomeno dopo la fine della 2ª guerra mondiale. Evviva!

Fatta questa premessa, che, evidentemente, non vuole sottrarsi dall’essere critica rispetto alla tempistica adottata dall’Ispettorato, vengo alla parte dedicata allo specifico commento del contenuto della circolare n. 2/2020, la quale fa emergere aspetti controversi e parimenti non condivisibili dal punto di vista interpretativo, nonché del modus operandi che verrà adottato in sede ispettiva.

Uno spazio residuale di questo mio intervento verrà dedicato anche al commento della successiva circolare n. 3/2020, che, pur vertendo in materia di deposito telematico dei contratti collettivi di II livello (onere introdotto dall’articolo 14, D.Lgs 151/2015), di fatto presenta uno stretto legame con il tema centrale trattato nel presente commento, atteso che, anche in questo caso, la Legge dispone il menzionato deposito quale “merce di scambio” per poter godere sia di “benefici contributivi o fiscali” che di “altre agevolazioni connesse con la stipula di contratti collettivi aziendali o territoriali”.

 

Rispetto della contrattazione collettiva e benefici contributivi/normativi

Tornando, però, alla L. 296/2006 (Finanziaria 2007), come già anticipato, l’articolo 1, comma 1175, subordina il diritto ai benefici contributivi e normativi:

  • al possesso del Durc;
  • al “rispetto” dei contratti collettivi leader (sia per la parte economica che normativa).

La precedente circolare n. 7/2019 aveva delineato (ancorché con alcuni passaggi contraddittori) cosa si intendesse per parte economica, rimandando a una futura circolare (per l’appunto la novellata circolare n. 2/2020, oggetto precipuo del presente commento) l’individuazione della parte normativa sulla quale parimenti incentrare l’azione ispettiva da parte degli organi di vigilanza, da contrapporre (alla stessa stregua del rispetto della parte economica del contratto collettivo), quale “merce di scambio” per avere diritto ai benefici sia di natura contributiva che normativa.

Per ragioni sistematiche e di inquadramento delle tematiche trattate nella predetta circolare n. 2/2020 ritengo sia utile riprendere, ancorché in modo sommario, il contenuto della circolare n. 7/2019, riproponendo parimenti le personali considerazioni, già esplicitate nel mio precedente commento (a cui si è fatto cenno in nota 1), che ruotano intorno al significato attribuito al concetto di “rispetto” (che è poi il termine con cui si esprime la L. 296/2006) della contrattazione collettiva, termine che, secondo l’INL, sottende l’intenzione da parte del Legislatore di privilegiare l’obbligo di adeguamento “sostanziale” al trattamento economico del contratto (da verificare, cioè, a livello di trattamento complessivo), escludendo, quindi, che ci si debba formalmente conformare, in modo pedissequo, a tutte le clausole ivi contenute.

In altri termini, il “rispetto” della parte economica a cui farebbe riferimento la norma contenuta nella Legge Finanziaria per il 2007 andrebbe verificato (se vi sia stato o meno) sul totale, prendendo quindi a base il trattamento economico complessivamente riconosciuto al lavoratore e confrontandolo con quello derivante dal contratto collettivo sottoscritto dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative (c.d. contratto leader), a prescindere, quindi:

  1. dal fatto che lo stesso contratto collettivo sia stato disatteso;
  2. da quale contratto collettivo venga applicato;
  3. dalla circostanza che non sia stato applicato alcun contratto collettivo.

Va detto che, sempre con riguardo al trattamento economico, vi è un accenno anche nella stessa circolare in commento, nel momento in cui si ritiene che il confronto per verificarne il rispetto deve essere fatto sulla RAL, o, per meglio dire sul, trattamento economico complessivo (TEC), escludendo però (inspiegabilmente) la retribuzione accessoria e variabile (in genere legata alla produttività), che, secondo l’INL, “non [è] inclusa nel T.E.C, della quale andrà soltanto verificata l’esistenza”.

Tale tesi non può essere condivisa, qualora la si voglia intendere nel senso di espungere tale emolumento dal confronto tra il trattamento minimo “sindacale” (di origine pattizia) e quello effettivamente e complessivamente erogato.

Venendo, quindi, alla parte inedita della circolare (e al tema dominante in essa trattato), cioè alle procedure ispettive per verificare se vi sia stato o meno anche il rispetto della parte “normativa”, l’INL fa ricorso a una ricostruzione piuttosto articolata e alquanto complessa, che, a mio parere, non sarà facile da gestire nel momento in cui gli ispettori dovranno metterla in pratica in sede di accertamento; procedure di verifica le quali, però, non possono prescindere dalla preliminare individuazione del contratto leader, che dovrebbe avvenire in base a un criterio, sempre secondo quanto sostenuto nella circolare, idoneo a misurare il grado di rappresentatività delle OO.SS. “attraverso la valutazione complessiva dei seguenti elementi: consistenza numerica degli associati delle singole OO.SS.; ampiezza e diffusione delle strutture organizzative; partecipazione alla formazione e stipulazione dei contratti nazionali collettivi di lavoro; partecipazione alla trattazione delle controversie di lavoro, individuali, plurime e collettive”.

Orbene, in astratto il suddetto criterio di determinazione della leadership sindacale/contrattuale potrebbe anche essere condivisibile. Si dia, però, il caso che non mi risultano, ad oggi, censimenti, sondaggi, rilevazioni e altri strumenti in grado di restituirci classifiche di rappresentatività attendibili, da cui si possa individuare una supremazia contrattuale (oltre al fatto che bisogna ancora chiarire fino a che punto un contratto si possa definire leader, laddove, ad esempio, sia tra i più rappresentativi ma non sia il più rappresentativo).

Infatti, per quel che risulta, l’unico criterio “oggettivo” di misurazione della rappresentatività sindacale non è ancora decollato: il riferimento è al protocollo tra Ministero del lavoro, Inps e parti sociali del settembre 2019 (che peraltro prende le mosse, addirittura, dall’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, passando per il protocollo sulla rappresentatività del 2013 e al Testo unico sulla rappresentanza del 2014), il quale dovrebbe utilizzare, incrociandoli e ponderandoli, i dati “associativi” (cioè l’iscrizione dei lavoratori ai sindacati), estrapolandoli dal flusso UniEmens, e i dati “elettorali” (misurazione della presenza di Rsa/Rsu nelle aziende), in base a informazioni fornite dalle stesse OO.SS..

Ma, come si diceva, al momento il progetto è ancora ai nastri di partenza: ancorché siano trascorsi quasi 10 anni dall’accordo interconfederale del 2011, senza che si sia arrivati a un dunque.

Tornando alla circolare n. 2/2020, una volta individuato (a mio parere, ancora in modo empirico, stante le criticità sopra evidenziate) il contratto leader, l’ispettore dovrebbe quindi verificare tutte quelle ipotesi in cui la Legge riserva allo stesso (e solo a esso) un ruolo autorizzativo (ad esempio, lavoro intermittente), ovvero derogatorio (ad esempio, limite ore straordinarie), disconoscendone gli effetti se la predetta disciplina viene disposta da un contratto non leader e agendo di conseguenza sui benefici eventualmente goduti che verrebbero, pertanto, disconosciuti.

In tali casi, effettivamente, il Legislatore ha dato tali poteri (autorizzativi e derogatori) ai soli contratti collettivi rappresentativi, sicché non è consentito ad altri contratti collettivi di disporne, né si può sostenere l’applicazione di altre clausole “normative” più favorevoli per il lavoratore (contenute in contratti “non leader” o frutto di pattuizioni aziendali), atteso che in questi casi la “compensazione” (a cui si faceva riferimento, per la parte economica, nella circolare n. 7/2019) non sembra ipotizzabile.

Peraltro, oltre ai richiamati istituti del lavoro intermittente e delle ore straordinarie, rientrano in tale previsione diverse fattispecie. La circolare ne individua alcuni (ad esempio, la disapplicazione delle conseguenze derivanti dall’etero-organizzazione in tema di collaborazioni, le “ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore”, i limiti quantitativi in tema di lavoro a tempo determinato o la disciplina dell’apprendistato), ma la lista, come anticipato nella stessa circolare, potrebbe essere certamente più ampia (ad esempio, la possibilità tramite accordo aziendale di introdurre strumenti di controllo dei lavoratori ex articolo 4, L. 300/1970, ovvero di beneficiare della detassazione dei premi di risultato tramite contratto di II livello, etc.).

Esaurito, però, l’ambito di quelle materie ove la praticabilità o la deroga può essere concessa solo se prevista dal contratto leader, restano in essere tutte quelle altre fattispecie, ove non vi è una riserva assoluta a favore dei primi, sicché in tali ambiti l’ispettore dovrà effettuare, ricalcando le modalità in qualche modo già impartite, per la parte economica, dalla richiamata circolare n. 7/2019, una ricognizione complessiva dei trattamenti per verificare se vi sia o meno la c.d. ”equivalenza normativa”.

Tra questi ambiti la circolare annovera:

“− la disciplina concernente il lavoro supplementare e le clausole elastiche nel part-time, ponendo attenzione, per entrambi gli istituti, al limite massimo percentuale dell’aumento della durata della prestazione che il datore di lavoro può richiedere (ad un minor numero di ore corrisponde una maggior tutela del lavoratore);

− la disciplina del lavoro straordinario, con particolare riferimento ai suoi limiti massimi. Atteso peraltro che il legislatore riserva solo ai contratti “leader” la possibilità di introdurre deroghe in peius in materia, va al riguardo precisato che, qualora il CCNL “leader” abbia individuato un numero di ore annuali superiore alle 250 previste dall’art. 5 del d.lgs. n. 66/2003, non altrettanto potrà fare il CCNL sottoscritto da soggetti privi del requisito della maggiore rappresentatività;

− la disciplina compensativa delle ex festività soppresse, che normalmente avviene attraverso il riconoscimento di permessi individuali;

− durata del periodo di prova;

− durata del periodo di preavviso;

− durata del periodo di comporto in caso di malattia e infortunio;

− malattia e infortunio, con particolare riferimento al riconoscimento di un’eventuale integrazione delle relative indennità;

− maternità ed eventuale riconoscimento di un’integrazione della relativa indennità per astensione obbligatoria e facoltativa;

− monte ore di permessi retribuiti”.

 

Verifiche ispettive: prima la parte economica poi quella normativa

La circolare poi aggiunge, evidentemente in un’ottica di alleggerimento dell’azione ispettiva, che qualora l’organo di vigilanza dovesse rilevare una violazione della parte economica potrebbe evitare di addentrarsi (con risparmio di tempo ed energie) nella “giungla” della parte normativa, essendogli sufficiente aver accertato una violazione ascrivibile alla prima delle 2 aree contrattuali. D’altronde, con una norma che, assurdamente, non pone un contemperamento tra ammontare della violazione contrattuale e recupero delle agevolazioni, l’atteggiamento dell’INL sembra improntato al principio della “massima utilità con il minimo sforzo”.

Laddove, invece, la parte economica sia stata rispettata, si passa, in seconda battuta, alla verifica della parte normativa del contratto, in esito alla quale il disconoscimento potrà avvenire solo se si accerta la violazione di 2 (?) tra le fattispecie citate nell’elenco sopra riportato, desunto dalla circolare.

Orbene, premesso che non si comprende da dove si origini la necessità di integrare una doppia violazione per far scattare il recupero delle agevolazioni, volendo fare un esempio pratico, se ne dovrebbe dedurre che, laddove gli ispettori accertassero che nei confronti di Tizio non sia stato correttamente determinato o pattuito il periodo di prova e nei confronti di Caio sia stato mal calcolato il periodo di comporto per malattia, anche in assenza di impugnative da parte degli interessati, si permetterebbe agli stessi ispettori di recuperare i benefici (si spera solo in capo a Tizio e Caio, se è ancora valido il principio a suo tempo introdotto con la circolare n. 3/2017), di fatto ingerendosi in un rapporto contrattuale tra soggetti privati, nel quale non vi sono nemmeno implicazioni di carattere contributivo tali da poter sostenere l’autonomia del rapporto previdenziale e la sua nota indisponibilità a opera delle parti.

Ma anche questa interpretazione, tesa a separare le verifiche della parte economica rispetto a quella normativa, con autonome conseguenze in tema di revoca dei benefici, non convince appieno. Infatti, un’azienda che riconoscesse un “super” trattamento economico ai propri dipendenti (cioè significativamente superiore al minimo sindacale), pur in presenza di 2 violazioni “normative” come quelle in precedenza citate, è giusto che perda i benefici in godimento? Oppure, alla stessa stregua, è giusto sanzionare con la revoca delle agevolazioni un’azienda che, pur in presenza di un’accertata sottostima della parte economica (condizione che, secondo la circolare n. 2/2020, è invece sufficiente per la restituzione dei benefici), riconosca, simmetricamente, ai propri lavoratori una “super” tutela normativa?

 

Conclusioni

Ma, si ripete, al di là delle critiche che si possono fare alla circolare dell’Ispettorato, il problema risiede nella norma, che va modificata in modo radicale, altrimenti ne vedremo delle belle, nel momento in cui l’ispettore, potendosi (anzi, dovendosi) addentrare nei meandri della parte normativa del contratto collettivo (caratterizzata dalla presenza di tante clausole volutamente ambigue, scritte in perfetto “sindacalese”), di fatto acquisisce un potere amplissimo, a mezzo del quale può mettere in discussione qualunque beneficio (contributivo e/o normativo) goduto dalle aziende, con un sicuro incremento del contenzioso, che, soprattutto in questi tempi, sarebbe invece da evitare.

In conclusione del commento specificatamente rivolto alla circolare n. 2/2020, mi permetto di riproporre (per quanto possa servire) i suggerimenti già evidenziati nel precedente commento alla più volte richiamata circolare INL n. 7/2019, volti a una revisione della norma contenuta nel citato articolo 1, comma 1175, L. 296/2006:

  1. connotare, una volta per tutte, il concetto di maggiore rappresentatività a livello comparato che devono possedere le OO.SS. stipulanti il contratto collettivo applicato. Il che significa, però, procedere a una seria e globale riforma della materia della rappresentatività sindacale, che permetta al datore di lavoro di conoscere in anticipo e senza dubbi di sorta quali siano i contratti collettivi leader, il cui rispetto, integrando il requisito di cui al comma 1175, lo possa mettere al riparo da ogni censura. Una siffatta riforma, ovviamente, produrrebbe i suoi effetti anche negli altri (numerosi) ambiti del diritto del lavoro, ove si faccia riferimento al presupposto della maggiore rappresentatività del contratto collettivo da applicare;
  2. limitare la verifica della leadership sindacale alle sole organizzazioni a tutela dei lavoratori. L’estensione della maggiore rappresentatività a livello comparato anche alle associazioni datoriali, oltre ai noti problemi di identificazione, inibirebbe la stipula di un contratto aziendale da parte del solo datore di lavoro, necessitando dell’assistenza dell’associazione leader per non incorrere in possibili contestazioni e mettere a rischio i benefici contributivi e normativi;
  3. eliminare il riferimento al trattamento normativo, che, ancorché non espressamente menzionato nel comma 1175, è assodato che debba essere rispettato. La parte normativa del contratto collettivo esula dal precetto di cui all’articolo 36, Costituzione, nonché da recenti progetti legislativi in materia di salario minimo, e rappresenta una forzatura inammissibile del principio di libertà sindacale sancito dalla Costituzione, soprattutto nei confronti di quei datori di lavoro non iscritti ad alcuna associazione di categoria firmataria del contratto collettivo;
  4. in conseguenza di quanto proposto sub 3: identificare in modo inequivocabile cosa si intende per trattamento economico. È indubbio che la parte dedicata alla retribuzione diretta o indiretta rientri in tale accezione. Ma, ad esempio, dubbi vi sono in merito all’ambito relativo alla malattia, atteso che l’istituto è allocato per l’appunto nella parte normativa del contratto e la stessa giurisprudenza afferma che non si perde tale prerogativa solo per il fatto che vi siano delle innegabili connotazioni di natura economica. Stesso discorso può essere fatto per le ferie e per l’orario di lavoro;
  5. circoscrivere il “pedaggio”, in caso di violazione, alle sole agevolazioni contributive, eliminando la fuorviante, quanto indefinita, area dei “benefici normativi”;
  6. in più, limitare la perdita dei benefici contributivi (gli unici che dovrebbero essere messi in gioco, in base a quanto sostenuto sub 5. all’ammontare dell’inadempimento contrattuale, sulla scorta della previsione già contenuta nell’articolo 6, comma 10, D.L. 338/1989, che circoscriveva la perdita della fiscalizzazione oneri sociali al “maggiore importo tra contribuzione omessa e retribuzione non corrisposta”;
  7. inserire nel testo di Legge la precisazione che il contratto collettivo debba essere “di categoria” ovvero escludere in modo esplicito tale presupposto. Oggi tale riferimento manca, sicché non è dato sapere se il rispetto di un qualsivoglia contratto collettivo leader (ma non della categoria di appartenenza) possa porre o meno il datore di lavoro nella condizione di regolarità rispetto al precetto del comma 1175, salvaguardando quindi i benefici contributivi e normativi.

Da ultimo, come anticipato in precedenza, intendo dedicare un piccolo spazio anche alla successiva circolare n. 3/2020, che, come si diceva, presenta uno stretto legame con la precedente n. 2/2020, in quanto, nel declinare il significato da attribuire all’espressione “altre agevolazioni”, contenuta nell’articolo 14, D.Lgs. 151/2015, quando parla di “altre agevolazioni connesse con la stipula di contratti collettivi aziendali o territoriali”, l’Ispettorato nazionale (rispondendo a specifiche istanze di chiarimenti avanzate da alcuni Ispettorati territoriali) ritiene che si debbano considerare “altre agevolazioni” quelle che consentono, proprio attraverso la contrattazione collettiva di II livello, l’introduzione di deroghe a determinati istituti (si cita il caso di un contratto di prossimità per ampliare il limite massimo di assunzioni a tempo determinato, ovvero di accordi ex articolo 19, comma 2, D.Lgs. 81/2015, in tema di durata massima apponibile al medesimo contratto, ma l’elenco, come sopra rimarcato, può essere estremamente ampio), di talché anche in tali ipotesi vi sarebbe l’obbligo del deposito telematico.

Il percorso che consente il legittimo godimento di tali fattispecie di agevolazioni, diverse da quelle di natura contributiva o fiscale, che possiamo definire (guarda caso) “normative”, passerebbe quindi attraverso 2 step sequenziali:

  1. il preliminare obbligo di deposito telematico del contratto di II livello, necessario per poter godere – a prescindere – di ogni tipo di agevolazione ivi prevista, quindi anche di quelle non specificatamente riguardanti benefici di carattere contributivo o fiscale;
  2. (rimandando a quanto sopra già illustrato, a specifico commento della circolare n. 2/2020, a proposito della modalità dell’azione ispettiva per la verifica della parte normativa del contratto collettivo) la verifica che gli interventi menzionati sub 1 provengano da un contratto di II livello leader, altrimenti (difettando di tale requisito) le agevolazioni citate parimenti non spettano o, se già godute, possono essere revocate (con tutte le conseguenze che ne derivano), pur in presenza di un regolare deposito del contratto.

 

[1] Si permetta il rinvio a F. Natalini, Benefici contributivi e normativi: il rispetto dei contratti collettivi nelle ultime interpretazioni dell’INL, in “Il giurista del lavoro”, n. 8-9/2019.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.

 

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