7 Febbraio 2017

Convenzioni a favore dei dipendenti e scontistica applicata: profili di redditualità

di Cristian Valsiglio

La determinazione del reddito di lavoro dipendente è ritornato argomento di particolare interesse nelle ultime due legislature, soprattutto ove relazionato a politiche o piani di welfare aziendale.

Il Legislatore, invece, continua a disinteressarsi della visione d’insieme della particolare categoria reddituale, spesso sorretta da limiti di esenzione fermi al 1997 (in lire) e da fattispecie giuridiche ampiamente modificate dall’innovazione tecnologia e commerciale (es. car sharing).

Da qui i vari interventi dell’Agenzia delle entrate, nell’infausto ruolo di interprete di una normativa desueta, volti a chiarire l’imponibilità di somme e valori spesso di incerta collocazione nel reddito oggetto di capacità contributiva.

In questa prospettiva ruolo decisamente primario, al fine di concedere ai dipendenti una maggiore capacità di acquisto, sono le convenzioni sottoscritte dal datore di lavoro a favore dei propri dipendenti volte a concedere particolari sconti.

In un periodo di crisi economica, le aziende propongono iniziative commerciali a condizioni agevolate a categorie di potenziali clienti. Per veicolare tali iniziative, sempre più spesso propongono convenzioni a datori di lavoro con la finalità di riservare le offerte ai lavoratori dipendenti di questi ultimi. È fondamentale a questo punto, prima di sottoscrivere una convenzione a favore dei dipendenti, verificarne gli aspetti di imponibilità.

Come sopra indicato, potenzialmente costituisce reddito di lavoro dipendente qualsiasi importo e valore in genere erogato, a qualunque titolo, in relazione al rapporto di lavoro e, di conseguenza, è previsto l’assoggettamento a tassazione di tutto ciò che il lavoratore dipendente riceve in relazione al rapporto di lavoro. L’ampia formulazione della disposizione induce a ritenere ricompresi nel reddito tassabile, oltre la retribuzione corrisposta in danaro, anche quei “vantaggi accessori” (fringe benefit) che per i lavoratori subordinati possono costituirne integrazione.

Dunque, quale il ruolo delle convezioni a favore dei dipendenti?

In prima battuta si deve evidenziare che la gestione delle convenzioni e/o delle scontistica generalmente può avvenire secondo due modalità:

  1. tramite una convenzione commerciale con il CRAL aziendale;
  2. direttamente con il datore di lavoro.

La prima fattispecie non sembra rilevare ai fini della redditualità del dipendente, in quanto essa si esprime tramite un’adesione, nella quale risulta assente la connessione con il rapporto di lavoro e nel quale il dipendente rileva quale aderente.

Ben più in salita risulta essere l’interpretazione relativa alla seconda fattispecie, anche alla luce di orientamenti difformi tra istituzioni e giurisprudenza, le prime volte ad attrarre nella redditualità imponibile qualsiasi elargizione concessa dal datore di lavoro al dipendente (si veda ad esempio Agenzia entrate, risoluzione n. 137/E/2009), la seconda volta a verificare la reale esistenza di reddito tassabile alla luce di principi generali che rintracciano l’imponibilità del reddito di lavoro dipendente ove relazionata (e non solo occasionata) al rapporto di lavoro (Cass. 9 maggio 2013, n. 10974).

A livello molto pratico e operativo, anche ove si propendesse per un’interpretazione pro Fisco, particolare ruolo avrebbe la quantificazione del fringe benefit.

A tal fine il comma 3, articolo 51 Tuir, stabilisce che “ai fini della determinazione in denaro dei valori di cui al comma 1, compresi quelli dei beni ceduti e dei servizi prestati al coniuge del dipendente o ai familiari indicati nell’art. 12, o il diritto di ottenerli da terzi, si applicano le disposizioni relative alla determinazione del valore normale dei beni e dei servizi contenute nell’art. 9”.

A sua volta l’articolo 9, Tuir, stabilisce (al comma 3), nel rispetto della franchigia di 258,23 euro:

  • che per valore normale s’intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi;
  • i parametri oggettivi per la determinazione del valore normale, prevedendo che occorre fare riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni e i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso.

In altri termini, nel caso specifico occorre tener conto del c.d. valore normale per quantificare il potenziale fringe benefit e, più in particolare, è opportuno rilevare il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Si dovrà pertanto tener conto dei parametri oggettivi fissati dalla norma e cioè i listini o le tariffe del soggetto che ha fornito i beni e i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle Camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti di uso.

Sul tema l’Agenzia delle entrate (risoluzione n. 26/E/2010) ha affermato che “si può ritenere che il valore normale di riferimento, per i beni e servizi offerti dal datore di lavoro ai dipendenti, possa essere costituito dal prezzo scontato che il fornitore pratica sulla base di apposite convenzioni ricorrenti nella prassi commerciale, compresa l’eventuale convenzione con il datore di lavoro”.

Il principio affermato deve essere considerato di portata generale e, quindi, applicabile anche nel caso di convenzioni stipulate dal datore di lavoro con soggetti terzi a fronte delle quali il dipendente può fruire di sconti di natura commerciale per l’acquisizione diretta di beni e servizi da parte di questi ultimi soggetti.

Pertanto, nel caso in cui il dipendente, in qualità di consumatore, corrisponda all’azienda terza il prezzo scontatotale situazione non genererà alcun reddito imponibile in capo al dipendente; in sostanza in tale fattispecie è data rilevanza all’autonoma causa di tipo commerciale di una scontistica disciplinata tramite convenzione tra esercente e datore di lavoro più che al nesso eziologico derivante (o anche solo relazionabile) dal rapporto di lavoro.

 

Segnaliamo ai lettori che è possibile inviare i propri commenti tramite il form sottostante.

 

Centro Studi Lavoro e Previdenza – Euroconference ti consiglia:

Welfare aziendale e politiche retributive