29 Ottobre 2019

Contratto a termine e Dvr: la relazione pericolosa

di Roberto Lucarini

Succede che anche i contratti di lavoro abbiano strane relazioni: questa non è, quindi, una prerogativa solo umana.

Assai particolare, invero, è la relazione che lega il contratto a tempo determinato al famigerato Dvr (Documento di valutazione dei rischi), previsto dal temuto D.Lgs. 81/2008 (Tusl).

Le tribolazioni legate al tipo contrattuale in esame sono note a tutti, tanto che, quasi giornalmente, ci troviamo a lottare tra proroghe fattibili o meno, rinnovi da capire se tali sono e causali delle quali da capire c’è ben poco (io, in confidenza, credo che non le abbiano capite nemmeno coloro che le hanno scritte).

È stata la Suprema Corte, con la recente ordinanza 23 agosto 2019, n. 21683, a rialzare il velo sulla scabrosa relazione sussistente, eccome, tra il nostro contratto a termine e il Dvr (chissà se tale relazione, in quanto mono genere, potrebbe rientrare nella Legge Cirinnà; ma questo adesso non interessa). Il punto sono i divieti di stipula del tipo contrattuale, come previsti dall’articolo 20, D.Lgs. 81/2015, dato che non si possono attivare contratti a termine: per sostituire lavoratori scioperanti; in aziende che abbiano, nei 6 mesi precedenti, effettuato licenziamenti collettivi; in aziende in Cigo/Cigs. Ma, ed ecco il punto della relazione cui accennava all’inizio, il contratto a termine non può essere stipulato “da parte di datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori”.

E cosa accade se uno se ne frega e, in assenza di Dvr, stipula comunque un contratto a termine? Il Legislatore, talora contorto, non poteva su questo essere più chiaro: “In caso di violazione dei divieti di cui al comma 1, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato”.

La Cassazione, quindi, ha semplicemente applicato la norma e statuito la trasformazione contrattuale per una casistica come quella di cui trattiamo. Vale la pena leggere queste righe, tratte dall’ordinanza citata, per avere un quadro completo: “in materia di rapporto di lavoro a tempo determinato, il Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 3 (valevole ratione temporis, NdR), che sancisce il divieto di stipulare contratti di lavoro subordinato a termine per le imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, costituisce norma imperativa, la cui ratio è diretta alla più intensa protezione dei lavoratori rispetto ai quali la flessibilità d’impiego riduce la familiarità con l’ambiente e gli strumenti di lavoro: con la conseguenza che, ove il datore di lavoro non provi di aver provveduto alla valutazione dei rischi prima della stipulazione, la clausola di apposizione del termine è nulla e il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi dell’articolo 1339 c.c. e articolo 1419 c.c., comma 2”.

Beh, potrete dire, cosa c’è di strano? La norma sembra chiara.

Certo che lo è, senza dubbio! Ciò di cui dubito, al contrario, è che siano chiare le idee nelle aziende, specie di piccole dimensioni, circa questa relazione pericolosa. Siamo certi che si valuti sempre, al momento della stipula di un contratto a termine, l’esistenza di un DVR?

In più possono esservi altre situazioni di rischio elevato, quali quelle di una prima assunzione di lavoratore subordinato in azienda, ovvero di nuova costituzione dell’impresa. Occhio, in questi casi, all’articolo 28, Tusl, circa i tempi di redazione del DVR cui si lega, come visto, il nostro contratto.

Relazione pericolosa: attenzione al DVR, quindi, sembra un tipo poco raccomandabile.

 

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