Contratti a termine ai tempi del Coronavirus: un pasticciaccio all’italiana
di Evangelista BasileIn via generale, un’azienda che ricorre a un ammortizzatore sociale non può assumere personale a termine per le professionalità interessate dalla riduzione o sospensione di attività, ma – al più – ha facoltà di prorogare i contratti già in essere.
In considerazione della larga diffusione degli ammortizzatori sociali COVID-19 durante l’attuale stato di emergenza sanitaria, stante l’obbligo imposto dal Legislatore di sospensione o riduzione di numerose attività produttive, il Governo si è interrogato sull’opportunità di intervenire sul rapporto tra contratti a termine e ammortizzatori sociali e, conseguentemente, sulla relativa disciplina di Legge.
Nei primi interventi normativi (su tutti il D.L. 18/2020) non è stata inserita alcuna norma al riguardo.
Solo in sede di conversione del D.L. 18/2020, il Legislatore ha aggiunto l’articolo 19-bis (rubricato erroneamente come “norma di interpretazione autentica”… di cosa non è dato sapere?) secondo cui “considerata l’emergenza epidemiologica da COVID-19, ai datori di lavoro che accedono agli ammortizzatori sociali di cui agli articoli da 19 a 22 del presente decreto, nei termini ivi indicati, è consentita la possibilità, in deroga alle previsioni di cui agli articoli 20, comma 1, lettera c), 21, comma 2, e 32, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, di procedere, nel medesimo periodo, al rinnovo o alla proroga dei contratti a tempo determinato, anche a scopo di somministrazione”.
Al di là del fatto che le proroghe dei contratti a termine erano comunque già possibili, un simile intervento – che, di fatto, consente alle aziende soltanto di rinnovare contratti a termine scaduti – si dimostra poco efficace.
Com’è noto, infatti, il rinnovo di un contratto a termine presuppone l’inserimento di una causale ai sensi dell’articolo 19, comma 1, D.Lgs. 81/2015 (idem se la proroga supera i 12 mesi di rapporto). Ciò comporta inevitabilmente un’elevatissima alea per l’azienda, atteso che – laddove in sede giudiziale la causale dovesse ritenersi illegittima (e, stante la formulazione di Legge, tale possibilità ha buone chance di successo) – il rapporto di lavoro verrebbe convertito a tempo indeterminato.
In questa fase emergenziale, ad avviso di chi scrive, sarebbe stato preferibile sbloccare sia i rinnovi che le assunzioni a termine, anche per le aziende che usufruiscono della riduzione o sospensione dei rapporti di lavoro. Infatti, l’esperienza sta insegnando che le imprese hanno necessità di ingaggiare, confermare in servizio (con proroghe) o rinnovare contratti a termine con risorse già assunte a tempo determinato, al fine sia di sopperire all’imprevista situazione emergenziale, sia per non perdere – in previsione futura – professionalità che in questo momento potrebbero essere determinanti per superare l’emergenza.
Inoltre, l’incertezza sui tempi di ripresa di tante attività potrebbe indurre alcune imprese a ritenere opportuno – nonostante la crisi – la proroga o il rinnovo di contratti a termine, anche in assenza di un picco di lavoro e perfino in presenza di uno stallo. Ciò al fine di mantenere in servizio e fidelizzare le risorse che al momento della ripresa possano aiutare l’azienda ad affrontare il probabile (o almeno auspicabile) carico di lavoro rimasto arretrato. La stessa incertezza che – per contro – sconsiglia in questo particolare momento all’imprenditore prudente e avveduto di trasformare i contratti a tempo indeterminato, perché il corretto dimensionamento dell’azienda lo si determinerà solo qualche tempo dopo l’auspicata ripresa. In sostanza, risulta in questa fase emergenziale conveniente per tante imprese ingaggiare o mantenere in servizio gli assunti a termine, per poi poter decidere nel momento opportuno – senza eccessivi patemi e utilizzando la flessibilità concessa – il giusto dimensionamento delle risolse quando cesserà l’emergenza e si dovrà recuperare terreno sul piano produttivo.
Per esempio, un’azienda del settore abbigliamento potrebbe già adesso lavorare per le collezioni future con risorse stagionali o a termine, al fine di portarsi avanti nell’innovazione, e la perdita di queste professionalità sarebbe un problema dal punto di vista imprenditoriale. Allo stesso modo, essendo possibile una ripresa produttiva dopo la fase di blocco forzato dell’attività, appare inopportuno ostacolare con le causali rigide di Legge (articolo 19, comma 1, D.Lgs. 81/2015) le assunzioni a termine per il periodo successivo alla fine della emergenza, o anche solo rendere rischioso per le imprese l’apposizione di termini ai contratti di lavoro. È vero che alla ripresa i datori di lavoro potrebbero assumere a termine con la causale dell’incremento di attività, ma tale incremento è solo pronosticato e non certo. Oltretutto, sarebbe anche difficile la dimostrazione per i datori di lavoro dell’imprevedibilità e non programmabilità della ripresa produttiva, su cui si rischierebbe di sindacare nelle aule giudiziali.
Pertanto, a mio avviso sarebbe stato utile aprire una finestra di flessibilità (assunzioni senza causale) sui contratti a termine, quantomeno fino a tutto l’anno 2020, così da consentire alle imprese di rilanciarsi con assunzioni a termine, che avrebbero tranquillizzato l’imprenditore nel caso in cui la ripresa si fosse rivelata meno favorevole del previsto e che, allo stesso tempo, avrebbero potuto portare poi alla trasformazione a tempo indeterminato dei contratti laddove la ripresa si fosse stabilizzata.
Per la medesima ragione, sarebbe stato opportuno esentare le assunzioni a termine, i rinnovi e le proroghe stipulate nel corso del 2020 dal limite del c.d. contingentamento, così come il Legislatore ha già previsto per l’avvio di nuove attività o per la stagionalità (la fine dell’emergenza COVID-19 avrebbe potuto essere considerata come un’ipotesi tipizzata dal Legislatore di ripresa eccezionale di attività).
Le stesse flessibilità avrebbero dovuto poi essere estese alla somministrazione di lavoro temporaneo, per analogia di utilizzo dei due strumenti contrattuali.
A questo “giro di giostra” il nostro Legislatore ha, quindi, pensato solo a una timida flessibilità in tema di rinnovi e proroghe dei contratti a termine, che probabilmente verrà frenata dalla paura delle causali di Legge. Si spera che con i prossimi Decreti Legge – visto che ormai se ne sforna uno al mese – il Legislatore ripensi alla propria iniziativa e rifletta maggiormente sulla necessità di una boccata di ossigeno più sostanziosa alle imprese, non solo sotto il profilo del sostegno economico, ma anche dei vincoli contrattuali, di cui in questo momento davvero non vi è bisogno.
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Centro Studi Lavoro e Previdenza – Euroconference ti consiglia:
7 Maggio 2020 a 20:03
Buongiorno, scrivo per mia moglie che è OSS presso una struttura privata. Lei aveva un contratto determinato di 6 mesi, prorogato di altri 5 mesi e a giorni sarebbe dovuta passare a indeterminato. La struttura ha deciso di non passarla a indeterminato bensì a prolungarla di 3 mesi avvalendosi del punto 10 dell’accordo quadro del 25 marzo:
“10) I contratti a tempo determinato che ai sensi del d.lgs 81/2015 sono in scadenza nel periodo interessato dall’emergenza COVID-19 rientrano a tutti gli effetti nelle causali giustificatrici del superamento del periodo a-causale in quanto trattasi di emergenza organizzativa e di necessità di garanzia del servizio socio-assistenziale e socio-sanitario. Tali contratti assumeranno le caratteristiche di contratti sostitutivi e potranno anche essere considerati sostitutivi di più lavoratori in successione. La nuova scadenza di tali contratti si intende legata alla risoluzione dell’emergenza da COVID-19. Ai lavoratori del presente punto verrà data priorità nel caso di nuove assunzioni.”
Se ho capito bene verrà quindi ora considerata come sostitutiva e a fine emergenza potrebbe essere lasciata a casa?
Grazie