Contratti a termine e contrattazione collettiva: così il rinnovo degli Studi Professionali
di Luca Vannoni Scarica in PDFPiaccia o meno, a seguito della riforma operata con il D.L. 48/2023, l’utilizzo di contratti a termine, oltre i 12 mesi di durata complessiva tra le stesse parti e salvo l’ipotesi della sostituzione espressamente prevista dall’articolo 19, comma 1, D.Lgs. 81/2015, passa attraverso la preventiva regolamentazione da parte della contrattazione collettiva, di qualunque livello, purché rappresentativa ai sensi dell’articolo 51 sempre del D.Lgs. 81/2015.
Come strada alternativa, si è scelto di resuscitare, ma solo per un periodo delimitato, che doveva scadere il 30 aprile 2024 ma che è stato recentemente prorogato al 31 dicembre 2024 dalla L. 18/2024, le note ragioni tecniche, produttive e organizzative, matrice legale la cui vastità, nel periodo in cui era l’unico accesso al contratto a termine, si è disaggregata in incertezza applicativa, rimanendo nelle pieghe due elementi parimenti necessari nell’integrazione di essa da parte della regolamentazione individuale, cioè la temporaneità e la determinatezza, che spesso hanno portato a giudizi di nullità della clausola a termine apposta.
Quasi contemporaneamente alla proroga, sono stati definiti alcuni rinnovi di importanti settori, come il CCNL Studi professionali.
L’articolo 53 del CCNL Studi professionali, prevede due macro-ipotesi che consentono di superare il limite di 12 mesi tra le stesse parti:
1) Incremento temporaneo;
2) Nuove attività
Prima di entrare nel merito di tali ipotesi, si ricorda che rimane necessario, in sede di redazione del contratto, che si specifichino le concrete ipotesi che rientrano nella “clausola aperta”, a prescindere che sia di natura legale o contrattuale.
Riguardo all’incremento temporaneo, esso è inteso dalle parti sociali come “l’incremento temporaneo dell’attività lavorativa conseguente all’ottenimento da parte del datore di lavoro di incarichi professionali temporanei di durata superiore a 12 mesi o prorogati di 12 mesi”.
Sulla base di tale disposizione, è quindi possibile superare i 12 mesi di durata di un contratto a termine quando il datore di lavoro ottiene incarichi professionali temporanei di durata superiore a 12 mesi o prorogati di 12 mesi.
Tale disposizione non sembra di semplice attuazione e sembra pensata al caso in cui il contratto a termine esiga ab origine una durata superiore ai 12 mesi e non tiene in alcun modo conto che il superamento del valico dei 12 mesi spesso avviene per una sommatoria di vincoli contrattuali, anche intervallati tra loro.
L’unica ipotesi che non determina problematiche è, infatti, quando l’incarico professionale ottenuto, che supera i 12 mesi, sostiene in via esclusiva l’assunzione di pari durata, che andrebbe perfettamente ad integrare la disposizione collettiva in commento.
In realtà, tale ipotesi è alquanto rara, poiché la necessità di nuova forza lavoro discende molto spesso da una pluralità di incarichi contestuali, di durata varia , fattispecie che non ricadrebbe nel cono di validità della disposizione in commento.
Inoltre, anche in caso di una necessità che superi i 12 mesi, le aziende tendono comunque ad assestarsi su tale durata, anche perché l’acausalità consente una gestione più semplice del rapporto. Ci si riferisce, in particolare, all’articolo 2103 del cod. civ. in materia di variazione delle mansioni. In caso di assunzione acausale, il datore di lavoro ben potrebbe, nel rispetto dello ius variandi previsto da tale norma, assegnare il lavoratore a mansioni diverse rispetto quelle di assunzione; se, viceversa, il contratto è causale, quest’ultima vincola lo ius variandi del datore di lavoro, in quanto, ancorché venisse rispettato al millimetro quanto previsto dall’articolo 2103 cod. civ., la variazione potrebbe delegittimare la causale (es. il lavoratore inizia ad occuparsi di altro incarico professionale). Inoltre, la rarità è dovuta al fatto che il primo rapporto a termine spesso viene visto come una sorta di prova e, pertanto, si tende a sfruttare tutto il periodo di acausalità di 12 mesi.
Alla scadenza del contratto acausale, nel permanere della necessità aziendale, il datore di lavoro valuterà se proseguire con quel lavoratore, oppure instaurare un rapporto con un diverso soggetto. Ma se il residuo dell’incarico professionale è inferiore a 12 mesi – e stante l’acausalità del primo rapporto, non vi è traccia di esso – è possibile utilizzare tale causale per integrare la disposizione contrattuale?
Il fatto, poi, di aver agganciato tale disposizione agli incarichi temporanei di durata superiore ai 12 mesi rende tale disposizione difficilmente utilizzabile, soprattutto in caso di proroghe e rinnovi.
Ipotizziamo che un lavoratore sia stato già assunto per 12 mesi, acausali. Alla scadenza, acquisisco un nuovo incarico: per avere la possibilità di prorogare il contratto di lavoro di massimo 12 mesi dovrei avere un incarico superiore a 12 mesi. Già questo rappresenta un elemento privo di ogni logica. Inoltre, non consentirebbe, con questo lavoratore, di procedere a proroghe o rinnovi in caso di incarichi di breve durata, anche in situazioni al limite del paradosso (se avessi un lavoratore con 18 mesi di contratto alle spalle, in caso di nuovo incarico temporaneo di 6 mesi, insostenibile con il normale organico, sarei costretto a prendere un altro lavoratore, inesperto e tutto da verificare nelle sue competenze, ma con il contatore contrattuale immacolato e, quindi, acausale).
Passiamo ora al secondo punto, decisamente meno problematico.
Per nuova attività le parti sociali hanno inteso, viceversa, “l’avvio di nuove attività o l’aggregazione o la fusione di attività per i primi 36 mesi dell’avvio della nuova attività, aggregazione o fusione”.
Si consente, quindi, di superare i 12 mesi in caso di nuove attività dello studio: la genericità del termine attività sembrerebbe poter riferirsi anche a nuovi “business” sviluppati all’interno dello studio (es. studio CDL che inizia a fare contabilità, ovvero inizia ad occuparsi di consulenza previdenziale) e non solo all’inizio dell’attività professionale. Tuttavia, tenuto conto che le ulteriori due ipotesi riguardano “aggregazione o fusione dello studio”, nuova attività potrebbe essere letta anche in termini restrittivi (come inizio assoluto dell’attività professionale).