7 Settembre 2021

La contrattazione di prossimità a dieci anni dall’emanazione

di Luca Vannoni

Sono ormai passati 10 anni dall’emanazione del D.L. 138/2011, convertito dalla L. 148/2011, e in particolare dell’articolo 8 di tale disposizione, con la quale fu introdotta nel nostro ordinamento la contrattazione di prossimità, con profonde discussioni a livello politico e sindacale.

Il carattere innovativo del nuovo istituto si sviluppava su punti nevralgici della contrattazione collettiva, in particolare aziendale: l’efficacia generalizzata verso tutti i lavoratori, la possibilità di deroga alla contrattazione nazionale e, superando in modo circostanziato il principio di inderogabilità della legge, alla legge stessa.

A livello sindacale si manifestò subito una profonda contrarietà a tale istituto, con un forte ostracismo verso il suo utilizzo e, parallelamente, non pochi dubbi, dovuti alla grossolanità della tecnica normativa utilizzata, si generavano nel suo concreto utilizzo. Basti pensare alla necessità che “le specifiche intese”, in deroga (e quindi in riduzione del livello di trattamento economico e/o normativo del lavoratore), siano finalizzate a ben precisi obiettivi individuati dall’articolo 8 stesso – “alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività” – aspetto che apre, a livello giudiziale in caso di contenzioso, un ulteriore fronte di discussione e di aleatorietà.

Proprio su tale aspetto si è concentrata una delle poche pronunce in merito alla contrattazione di prossimità; la sentenza del Tribunale di Firenze del 4 giugno 2019 ha ritenuto invalido un contratto di prossimità per le ragioni sintetizzate in tale passaggio: “non si tratta di una specifica intesa che detti una disciplina derogatoria di norme esattamente individuate in correlazione causale con una delle finalità previste dall’art. 8, I co., bensì di un accordo aziendale, che regola svariati aspetti del rapporto di lavoro dei dipendenti, e – quanto alla disciplina del livello di ingresso – prevede un iniziale sottoinquadramento solo genericamente correlato alle finalità di maggiore occupazione e di sostenibilità dell’avviamento e della situazione aziendale”.

I Governi e le legislature succedutesi dall’emanazione dell’articolo 8 non hanno più preso in considerazione tale disposizione, anzi, di fatto ne hanno ridotto l’interesse grazie a misure come l’articolo 51, D.Lgs. 81/2015. Tale disposizione, nel realizzare il proprio disegno di riordino delle tipologie contrattuali, in molti passaggi ha modificato il ruolo e le possibilità di intervento della contrattazione collettiva rispetto alla normativa previgente, secondo le seguenti distinte direttrici:

  1. nuove possibilità di intervento nella regolamentazione dei rapporti di lavoro subordinato e parasubordinato;
  2. previsione di standard legali sostitutivi e cedevoli rispetto alla contrattazione collettiva;
  3. abrogazione di deleghe generiche alla contrattazione collettiva;
  4. assenza di specifiche prerogative per la contrattazione nazionale rispetto alla contrattazione aziendale, salvo specifiche disposizioni (vedi apprendistato) previste dalla legge.

In particolare, l’articolo 51, D.Lgs. 81/2015, recita che, salvo diversa previsione, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali (Rsa o Rsu).

Tale norma, come detto, fissa un’importante regola generale, che parifica i livelli della contrattazione ogni qual volta il D.Lgs. 81/2015 rimanda a tale fonte, a meno che sia espressamente fissato un livello diverso, quello nazionale. Inoltre, legittima espressamente i contratti collettivi sottoscritti a livello aziendale sia con le rappresentanze interne sia con organizzazioni territoriali, prassi che si realizza quando non sono presenti in azienda rappresentanze sindacali: sostanzialmente, erano strade già conosciute, ma che ora trovano evidenza in un dato normativo espresso.

 

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