Consulenze fonografiche
di Michele DonatiNiccolò Fabi, Daniele Silvestri, Max Gazzè
Columbia
2014
Immaginate tre professionisti, amici e colleghi contemporaneamente, chiamati a svolgere un incarico professionale congiunto. Poniamo poi l’ipotesi che questi tre professionisti, amici e colleghi al tempo stesso, siano per giunta molto diversi tra loro nel modo di approcciare e interpretare il proprio lavoro, sebbene siano annoverabili tra le migliori eccellenze che ci sono su piazza.
Con queste premesse, il risultato non è per nulla scontato, e può oscillare tra un esito incerto e uno di alto livello. Se, ad esempio, dovesse prevalere la goliardia, così come l’ego di rivendicare ciascuno il proprio spazio, ecco che difficilmente potrebbe rintracciarsi valore aggiunto nella consulenza da portare congiuntamente a termine. Ma se a prevalere fossero, invece, il rispetto, la dedizione per la causa comune e il mettere al servizio i propri talenti, pur nel rispetto degli spazi e delle diverse inclinazioni di ciascuno, ecco che potremmo trovarci di fronte a un capolavoro destinato a restare nel tempo.
Quanto descritto nell’esempio potrebbe essere una metafora che ben illustra quello che, dal punto di vista discografico e cantautorale, accadde nel 2014 con il progetto discografico Il padrone della festa, disco a firma di Niccolò Fabi, Daniele Silvestri e Max Gazzè.
Sebbene tutti e tre con alle spalle (e, ora possiamo dirlo, anche con davanti) carriere individuali importanti, quell’album, quell’esperienza, costituì (e continua ancora a farlo), un importante crocevia, e in generale una tappa estremamente suggestiva del percorso artistico di ciascuno.
In realtà il progetto Padrone della festa, ha radici antiche (l’immagine delle radici è ricorrente, giacché la copertina dell’album è proprio un albero capovolto con le radici rivolte verso il cielo) visto che agli inizi degli anni Novanta, i nostri tre protagonisti, muovevano contemporaneamente i primi passi dei rispettivi percorsi in un contenitore musicale della scena romana che, purtroppo, di lì a poco avrebbe smesso di esistere, ma che ha fatto comunque in tempo a sfornare artisti a tutto tondo di primissimo livello, anche in altri ambiti (basti pensare che frequentatore attivo del posto, di cui tra poco sveleremo il nome, era Valerio Mastandrea), e in generale ha costituito un luogo dove dare libero spazio alla diffusione culturale; il luogo in questione è Il Locale.
Come sommessamente lasciato intuire anche grazie all’esempio in premessa, la fortuna de Il padrone della festa risiede principalmente nei suoi stessi equilibri, figli dell’alchimia tra i protagonisti del progetto, ed al contempo del rispetto reciproco degli spazi di ciascuno.
Iniziamo quindi questo viaggio, nel corso del quale mostreremo anche gli ingredienti che hanno fatto la differenza, e che scopriremo mano a mano.
Il primo, come detto, è il rispetto dei ruoli e degli equilibri. E questo lo si può evincere dalla divisione ortogonale degli spazi: 12 brani compongono il disco, dei quali 6 sono corali e altri 6 (2 per ciascuno protagonista) fanno, invece, maggiormente emergere le singole penne e gli annessi stili.
Il secondo elemento distintivo è l’umiltà. Umiltà intesa come vero e proprio elemento da inserire nei brani, in maniera forte, diretta, senza giri di parole.
Già la prima traccia, Alzo le mani, è un inchino della musica, dell’arte cantautorale, nei confronti della vita, che comunque “suona” e arriva in maniera sempre più forte.
Il brano mette in evidenza come, appunto, i suoni che abitano la nostra quotidianità, e che possono spaziare dalla sirena dell’ambulanza al boato della folla allo stadio, passando per la macchina da scrivere Olivetti di un genitore, abbiano una potenza più dirompente delle parole che compongono una canzone, le quali possono sicuramente emozionare incarnando una valenza evocativa, senza, però, poter arrivare a generare i medesimi stati d’animo dei primi.
Si passa poi a Life is sweet, primo singolo del disco, dirompente, energico e solare, nel raccontare un viaggio di volontariato in Africa, e la meraviglia di ascoltare la locuzione “La vita è dolce” da chi abita in un contesto di estrema povertà.
Si passa poi a L’amore non esiste, un vero e proprio capolavoro; per chi scrive canzoni non è semplice toccare il tema amoroso, perché è, in primis, abbastanza inflazionato, e quindi si rischia di ricadere nel banale, o quantomeno nel già sentito. Serve, allora, un punto di vista diverso, un’inquadratura proveniente da una prospettiva nuova e originale, che metta in luce e in risalto aspetti nuovi, o comunque non esplorati sotto certi profili. È ciò che fa questa canzone, costruita su strofe che narrano tutta la bibliografia di luoghi comuni sull’amore, che appunto non esiste o quantomeno è imprigionato in concezioni materialistiche legate alle difficoltà del vivere nel quotidiano le relazioni, e un ritornello dove la voce narrante diventa quella di una coppia (anzi di un Io e Te) che prova a ribellarsi alla fredda statistica, consapevole del fatto che la natura umana è in ogni caso più piccola di fronte a certe difficoltà.
L’umiltà torna in Come mi pare, dove viene dato risalto a come tutto abbia una sua gradualità, per cui prima di suonare è necessario imparare ad ascoltare, così come prima di rispondere è opportuno saper domandare; il brano gioca anche su una contrapposizione con il cantato di Max Gazzè, costruito su un testo improntato sulla totale libertà e, quindi, contrapposto a quanto detto in precedenza da Fabi e Silvestri.
Ulteriore ingrediente, come prima anticipato, è il rispetto dei ruoli, degli spazi e delle inclinazioni di ognuno dei protagonisti; ecco, quindi, che trovano spazio due brani a testa per i tre artisti; riesce così ad emergere l’umanità raccontata da dentro e attraverso le storie semplici di Niccolò Fabi (Canzone di Anna e Giovanni sulla terra), la fantasiosa e dirompente creatività di Max Gazzè (Arsenico e Il Dio delle piccole cose) e il talento poliedrico e acuto di Daniele Silvestri, che riesce a spaziare dall’impegno più profondo all’ironia più marcata (Spigolo tondo e Zona Cesarini).
Mancano ancora due ingredienti prima di terminare questo meraviglioso viaggio.
Il primo è l’ironia, che trova spazio nella corale L’Avversario, dove Max Gazzè e Niccolò Fabi si travestono da cantautori-boxer con Daniele Silvestri che veste i panni di arbitro – speaker, e dove si ironizza sul concetto di antagonismo, che spesso è un riflesso delle nostre stesse mancanze e paure.
E poi c’è l’impegno.
Il disco si chiude con Il padrone della festa, brano che dà il titolo al disco e che è una vera e propria sorta di manifesto programmatico, dove si parla di ecologia e interconnessione tra le persone, per cui rispettare se stessi, il prossimo e l’ambiente che ci circonda, non è solo un gesto di educazione personale, ma di un più vasto e complessivo amore per la tutela di un ecosistema più grande.
Musicalmente il disco fonda le sonorità sulla tradizione della canzone d’autore italiana, e spesso sono in risalto pianoforte e chitarre acustiche, anche se non mancano sapienti e indovinate contaminazioni elettroniche, con l’utilizzo di sintetizzatori e batterie campionate, che conferiscono ai brani freschezza e dinamicità.
Buon ascolto di questo tassello importante della recente discografia cantautorale italiana.