1 Marzo 2017

Conseguenze all’irreperibilità del lavoratore alle visite domiciliari durante la malattia

di Edoardo Frigerio

 

Dipendente malato e “visita fiscale”: quali sono le ripercussioni per il lavoratore in caso di irreperibilità dello stesso alla visita domiciliare, anche nel caso in cui lo stato di malattia sia stato comunque confermato da successiva visita ambulatoriale alla quale lo stesso si sia sottoposto?

Due recenti sentenze della Cassazione hanno fatto il punto sulla questione che spesso, ancora oggi, approda nei tribunali del lavoro.

 

Lo stato di malattia e le visite di controllo

Il problema della morbilità durante il rapporto di lavoro è sempre all’attenzione degli operatori del diritto, che assistono da decenni al fronteggiarsi di due schieramenti: da una parte le imprese, che anelano a strumenti di controllo sempre più incisivi della prestazione di lavoro e, conseguentemente, anche a seri accertamenti sull’effettività degli stati di malattia dei dipendenti; dall’altra i lavoratori, che mirano alla tutela del loro diritto alla salute, anche in relazione alle condizioni e agli ambienti di lavoro. In posizione mediana ed equidistante troviamo invece gli Enti pubblici preposti, l’Inps in primis, attenti a vigilare sul rispetto delle regole in tema di salute e malattia sia da parte dei datori di lavoro, sia da parte dei lavoratori. Nelle ultime settimane il dibattito si è poi decisamente riacceso a seguito di dichiarazioni da parte del presidente dell’Inps, riportate dagli organi di stampa, circa una volontà dell’Ente di rivedere alcune regole riguardanti le c.d. “verifiche fiscali”, anche in considerazione del disallineamento tra dipendenti pubblici e privati circa l’arco orario giornaliero dell’obbligo di reperibilità.

Nell’attesa di eventuali sviluppi legislativi sul punto e attenendoci, in questa sede, al solo settore privato, si rileva che ampissimo contenzioso nasce proprio dal rispetto dell’obbligo di reperibilità domiciliare del lavoratore durante la malattia e dalle reazioni del datore di lavoro in caso di violazione di tale dovere. Al riguardo, due recentissime sentenze della sezione lavoro della Cassazione hanno affrontato questo tema “scottante”: conviene quindi ripercorrerne le vicende giudiziarie, al fine di individuare i principi che regolano la materia.

 

Le sentenze della Corte di Cassazione n. 24681/2016 e n. 64/2017

Nel primo caso in esame, un dipendente delle Poste era stato licenziato per giustificato motivo soggettivo in conseguenza di un’assenza al controllo domiciliare disposto durante un periodo di malattia. Il lavoratore era stato infatti rinvenuto ripetutamente assente alla visita domiciliare di controllo della malattia. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano confermato il licenziamento impugnato, poiché il lavoratore non aveva fornito nessuna giustificazione per l’ultima assenza (che aveva portato al licenziamento) e perché, in occasione di precedenti 4 assenze al controllo domiciliare, non ne aveva fornito di adeguate, dovendosi altresì tenere conto del particolare ruolo ricoperto dal ricorrente, caratterizzato, quale direttore di un ufficio postale, dall’esercizio di compiti di coordinamento e controllo di altri dipendenti. In particolare i giudici di merito avevano accertato come il lavoratore fosse stato rinvenuto ripetutamente assente alle visite domiciliari di controllo della malattia e come avesse reiterato il medesimo comportamento rilevante sul piano disciplinare, pur dopo l’applicazione della prima sanzione (multa) e delle successive (sospensione dal servizio), secondo una progressione crescente (1 giorno, 5 e 10 giorni), adottate dal datore di lavoro. Sul punto sia il giudice di prime cure che la Corte d’Appello avevano verificato che il lavoratore, che non aveva in alcun modo giustificato l’ultima assenza in ordine temporale, aveva mancato di giustificare anche quelle precedenti, avendo infatti prodotto certificati medici inidonei a provare un serio e fondato motivo che giustificasse l’assenza alle visite domiciliari di controllo; anche la relazione di consulenza medico-legale depositata dal ricorrente non era stata ritenuta idonea a giustificare l’assenza del lavoratore dal domicilio, atteso che – come riconosciuto dallo specialista che l’aveva redatta – la cura praticata dal lavoratore si attuava secondo appuntamenti concordati con il centro terapeutico presso il quale si rivolgeva.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24681 del 2 dicembre 2016, rigettava il ricorso del lavoratore confermando la legittimità del licenziamento, evidenziando che, nel fissare i limiti dell’obbligo di reperibilità del lavoratore alle visite di controllo disposte dal datore di lavoro, come regolate dall’articolo 5, D.L. 463/1983 (convertito in L. 638/1983), “si è imposto al lavoratore un comportamento (e cioè la reperibilità nel domicilio durante prestabilite ore della giornata) che è, ad un tempo, un onere all’interno del rapporto assicurativo ed un obbligo accessorio alla prestazione principale del rapporto di lavoro, ma il cui contenuto resta, in ogni caso, la “reperibilità” in sé; con la conseguenza che l’irrogazione della sanzione può essere evitata soltanto con la prova, il cui onere grava sul lavoratore, di un ragionevole impedimento all’osservanza del comportamento dovuto e non anche con quella della effettività della malattia, la quale resta irrilevante rispetto allo scopo, che la legge ha inteso concretamente assicurare, dell’assolvimento tempestivo ed efficace dei controlli della stessa da parte delle strutture pubbliche competenti, siano esse attivate dall’ente di previdenza ovvero dal datore di lavoro ai sensi della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 5”.

Nella sentenza in commento, la Suprema Corte ha evidenziato quindi che il giustificato motivo di assenza del lavoratore ammalato dal proprio domicilio durante le fasce orarie di reperibilità si identifica solo in una situazione sopravvenuta che comporti la necessità assoluta e indifferibile di allontanarsi dal luogo nel quale il controllo deve essere esercitato e la violazione da parte del lavoratore dell’obbligo di rendersi disponibile per l’espletamento della visita domiciliare di controllo entro tali fasce assume rilevanza di per sé, a prescindere dalla presenza o meno dello stato di malattia, e può anche costituire giusta causa di licenziamento.

Dopo aver scolpito tali principi nella predetta sentenza n. 24681/2016, la Suprema Corte, appena iniziato l’anno nuovo, è tornata sulla questione con una nuova pronuncia, la n. 64 del 4 gennaio 2017.

Questa volta la vicenda vedeva protagonista un dirigente di banca, che aveva impugnato il licenziamento intimato dall’istituto poiché il lavoratore era rimasto senza giustificazione assente dal suo domicilio 3 volte nell’arco di 2 mesi, sottraendosi alle visite di controllo, circostanze da cui era nato il procedimento disciplinare da cui era conseguita la risoluzione del rapporto di lavoro.

La dipendente aveva sostenuto che le assenze dal domicilio durante le fasce di reperibilità (nel numero di 3), poste a base del secondo provvedimento di risoluzione, non erano idonee a concretizzare una giusta causa di licenziamento, in quanto non avevano pregiudicato il diritto del datore di lavoro a verificare l’effettività della malattia, in considerazione del fatto che la dirigente si era sempre sottoposta il giorno dopo alle visite di controllo, che avevano confermato la sussistenza della denunziata causa di impedimento lavorativo.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Roma avevano però rigettato l’impugnazione della lavoratrice, avendo verificato, dai documenti prodotti in causa e relativi alle visite fiscali domiciliari e alle giustificazioni fornite dalla dipendente, che l’allontanamento della stessa dal domicilio non era risultato essere assistito da valide giustificazioni e che, in ogni caso, lo stesso non escludeva l’obbligo per la lavoratrice di comunicare di volta in volta l’assenza per consentire all’azienda di controllare, tramite l’Inps, l’effettività della sua malattia.

All’esito del giudizio di Cassazione il giudice di legittimità ha evidenziato che la Corte di merito aveva giustamente osservato che il fatto che in un momento successivo alla visita non eseguita per assenza della lavoratrice fosse stata confermata (da parte del medico dell’Inps) la malattia diagnosticata con la relativa prognosi, non rilevava ai fini dell’appurato inadempimento dell’obbligo di comunicazione preventiva dell’assenza dal domicilio.

Tale mancanza della dirigente era stata considerata molto grave, poiché il rapporto fiduciario caratterizzante l’incarico dirigenziale aveva comportato una valutazione maggiormente rigorosa del comportamento della lavoratrice, dell’addebitabilità dei fatti contestati a titolo di grave negligenza e del fatto che la reiterazione dell’assenza, ripetuta per ben 3 volte nell’arco temporale di circa 2 mesi, comprovasse il disinteresse dimostrato per le esigenze datoriali, così andando a incidere in modo definitivo sul vincolo fiduciario.

La Suprema Corte ha quindi posto il sigillo alla vicenda, rigettando il ricorso della lavoratrice, precisando che: “la permanenza presso il proprio domicilio durante le fasce orarie previste per le visite mediche domiciliari di controllo costituisce non già un onere bensì un obbligo per il lavoratore ammalato, in quanto l’assenza, rendendo di fatto impossibile il controllo in ordine alla sussistenza della malattia, integra un inadempimento, sia nei confronti dell’istituto previdenziale, sia nei confronti del datore di lavoro, che ha interesse a ricevere regolarmente la prestazione lavorativa e, perciò, a controllare l’effettiva sussistenza della causa che impedisce tale prestazione”.

A distanza, quindi, di un mese una dall’altra, le 2 pronunce della Cassazione esaminate hanno coerentemente affermato i medesimi principi, ovvero il fatto che, ai fini della responsabilità disciplinare del lavoratore, è l’assenza in sé dal proprio domicilio durante le fasce orarie di reperibilità a costituire violazione dei propri obblighi lavorativi, a prescindere dall’effettivo stato di malattia.

In sostanza, in entrambi i casi esaminati, era risultata che la malattia dei lavoratori era sussistente, ma non vi era stata giustificazione della loro assenza dal domicilio durante la reperibilità in occasione di visite di controllo, assenze peraltro ripetute in uno spazio temporale ristretto. I lavoratori hanno tentato di giustificare la loro assenza, nel primo caso per la necessità di compiere visite specialistiche durante l’orario di reperibilità; nel secondo caso evidenziando la presenza del lavoratore alle visite ambulatoriali di controllo, il giorno dopo l’assenza a quelle domiciliari. Tuttavia nessuna delle 2 circostanze è stata ritenuta dalla Cassazione sufficiente a “scriminare” il comportamento dei lavoratori – per i quali la legittimità del licenziamento è stata confermata – anche per il fatto che tale comportamento dei dipendenti era stato reiterato dagli stessi più volte nel giro di un breve lasso di tempo: licenziamenti quindi confermati.

 

L’assenza del lavoratore alla visita di controllo: un problema aperto?

Giova a questo punto verificare se il rigoroso orientamento assunto dalla Suprema Corte nelle sentenze esaminate possa dirsi consolidato o meno; ciò esaminando altre pronunce sullo stesso tema intervenute nell’anno appena concluso.

Curiosa è la vicenda giudicata dalla Cassazione a marzo dello scorso anno con sentenza n. 4695/2016: un lavoratore veniva licenziato da un’azienda lombarda poiché trovato assente a visite di controllo; al dipendente veniva altresì contestata la recidiva per altre precedenti mancanze, cosicché il datore di lavoro procedeva al licenziamento. Respinta l’impugnazione sia da parte del giudice di primo grado sia dalla Corte d’Appello di Milano, il lavoratore si rivolgeva allora alla Suprema Corte. Quest’ultima si avvedeva, nella ricostruzione della vicenda, di un fatto singolare: il lavoratore, nella certificazione della malattia, aveva indicato al datore di lavoro un domicilio di reperibilità diverso dalla residenza, ma la “visita fiscale” era avvenuta alla residenza, dove il lavoratore non era stato trovato. Questi, comunque avvertito dell’avvenuta visita del “medico fiscale”, si era regolarmente recato alla visita ambulatoriale di controllo il giorno successivo, laddove era stato giudicato inidoneo a riprendere il servizio. Sennonché lo stesso giorno il datore di lavoro aveva richiesto altra visita fiscale, eseguita questa volta presso il domicilio al pomeriggio e il dipendente, che al mattino si era sottoposto alla visita ambulatoriale, non era stato reperito. La Cassazione ha, nel caso in questione, censurato la sentenza della Corte di merito, poiché, nel ritenere la sanzione espulsiva proporzionata all’entità dei fatti, non aveva considerato che il ricorrente, dopo il primo accesso del medico fiscale, rimasto senza esito, si era recato per la visita di controllo (come da avviso immesso dallo stesso medico nella cassetta postale) presso il competente ambulatorio, dove era stata confermata la malattia. Il giudice d’Appello non aveva altresì chiarito perché, una volta effettuata la visita fiscale, il lavoratore era tenuto a sottoporsi il pomeriggio dello stesso giorno o il giorno successivo a una seconda visita fiscale e non aveva altresì spiegato se nella condotta del dipendente fosse ravvisabile o meno l’elemento intenzionale, e cioè la volontà di sottrarsi alla visita fiscale, una volta che la mattina del secondo accesso del medico fiscale si era recato presso il competente l’ambulatorio per sottoporsi a visita. Sentenza quindi cassata e rinvio al giudice d’Appello in diversa composizione.

Altra pronuncia della Cassazione – la n. 3294/2016 – antecedente di pochi giorni a quella appena esaminata, ha affrontato un altro aspetto peculiare del dovere di reperibilità del lavoratore in malattia. Tale controversia vedeva affrontarsi l’Inps e un lavoratore, a cui l’Ente aveva negato il diritto ad alcuni giorni malattia a causa della sua assenza a visite di controllo. Il dipendente si era giustificato evidenziando che l’assenza era dovuta a un grave motivo familiare (incidente stradale di un proprio congiunto e necessità di recarsi in ospedale al capezzale del suddetto), che gli aveva impedito la permanenza domiciliare durante le fasce di reperibilità. La Cassazione, in tale caso ha dato ragione all’Inps, evidenziando che “l’obbligo di reperibilità alla visita medica di controllo comporta che l’allontanamento dall’abitazione indicata all’ente previdenziale quale luogo di permanenza durante la malattia sia giustificato solo quando tempestivamente comunicato agli organi di controllo. Qualora tale comunicazione sia stata omessa o sia tardiva, non viene automaticamente meno il diritto, ma l’omissione o il ritardo devono a loro volta essere giustificati”.

Nel caso di specie, secondo la Cassazione, non era intervenuto né un caso di forza maggiore né una situazione cogente che avesse reso indifferibile la presenza del lavoratore in luogo diverso dal proprio domicilio durante le fasce orarie di reperibilità, bensì una mera opportunità di assistere un proprio familiare.

Può essere interessante, a questo punto, anche dare una breve scorsa ad alcune recenti pronunzie di merito in tema di assenza alla visita di controllo. Il Tribunale di Milano ha ritenuto illegittimo il licenziamento per una singola irreperibilità a visita di controllo da parte del lavoratore, allorquando il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro prevede la possibilità di recesso solo in caso di assenze ingiustificate per un numero maggiore di giorni; in altra pronuncia del giudice ambrosiano si è rilevato il cogente obbligo di informativa da parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro del luogo di propria reperibilità, con la conseguenza che l’assenza alla visita di controllo può essere giustificata solo nei casi di forza maggiore ovvero quando l’assenza stessa sia stata determinata da indifferibili necessità del lavoratore. Ancora il Tribunale di Milano ha evidenziato che il lavoratore si deve adoperare per rendere possibile la visita fiscale (nella fattispecie il lavoratore non aveva resa nota la circostanza che i citofoni della propria abitazione erano rotti: lo stesso era quindi risultato assente alla visita domiciliare, avendo vanamente il medico fiscale citofonato al domicilio) e lo stesso giudice ha ritenuto che una visita presso il medico di famiglia (che per sovraffollamento aveva ritardato la visita, facendo ricadere il lavoratore nella fascia oraria di reperibilità) non è esimente all’obbligo di reperibilità.

Scendendo lungo la penisola, il Tribunale di Perugia ha ritenuto non giustificabile l’assenza alla visita domiciliare di una dipendente che si era recata a una visita specialistica, a suo dire urgente, durante l’orario di reperibilità; procedendo ancora verso Mezzogiorno si ha notizia di pronuncia del Tribunale di Teramo, che ha ritenuto viceversa giustificabile l’assenza di un dipendente per una visita di controllo presso l’Inail (laddove era stato convocato per una visita di accertamento per malattia professionale), che, fissata in un orario compatibile con le fasce di reperibilità, si era protratta oltre il tempo previsto, sconfinando nell’orario di reperibilità. Arrivando poi al Tribunale di Bari, il giudice del lavoro pugliese ha ritenuto che la mancata reperibilità in più occasioni del lavoratore in malattia presso il domicilio dichiarato, non avendo il medico fiscale trovato alcuna indicazione del nominativo del lavoratore in tutti i civici della via di residenza indicata dallo stesso, può costituire giusta causa di licenziamento.

Le varie vicende approdate all’esame sia della Cassazione che dei Tribunali di merito evidenziano senza dubbio che il rispetto da parte del lavoratore delle fasce di reperibilità durante la malattia per ricevere i possibili controlli, nonché la sua collaborazione affinché tali controlli possano essere svolti, rappresenta un obbligo rilevante da parte del prestatore di lavoro, la cui violazione può comportare la decurtazione da parte dell’Inps di parte del trattamento di malattia (con analoghe previsioni della contrattazione collettiva per la parte eventualmente a carico del datore di lavoro), mentre, sotto il profilo disciplinare, plurime irreperibilità da parte del dipendente alle “visite fiscali” possono costituire motivo legittimo di licenziamento, anche in caso di conferma della malattia in sede di successiva presentazione alla visita ambulatoriale.

L’assenza alla visita di controllo durante le fasce orarie può non essere “colpevole” solo in caso di forza maggiore o situazioni effettivamente gravi o indefettibili.

Come si è visto dalle pronunzie esaminate, anche l’essere non reperiti al domicilio poiché usciti di casa seppur per un motivo lecito (ad esempio una visita medica specialistica) può costituire violazione dell’obbligo di reperibilità, perché l’assenza dall’abitazione durante le fasce può essere giustificata solo, come detto, per causa di forza maggiore o motivi assolutamente rilevanti e indifferibili.

Ma come contemperare i principi sopra indicati con i casi di lavoratori affetti da patologie gravi, che debbano recarsi di sovente in ospedale per ricevere terapie salvavita (ad esempio nel caso di malato oncologico o dializzato) e che potrebbero essere non in grado, oggettivamente, di rispettare le fasce di reperibilità?

A ciò ha pensato il D.Lgs. 151/2015, che ha inserito, nell’articolo 5, D.L. 463/1983, la previsione di una specifica disciplina finalizzata a stabilire le esenzioni dalla reperibilità per i lavoratori subordinati dipendenti dai datori di lavoro privati. Con successivo decreto del Ministero del lavoro (di concerto con il Ministero della salute) si sono esclusi dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i lavoratori subordinati la cui assenza sia connessa con patologie gravi che richiedono terapie salvavita, comprovate da idonea documentazione della struttura sanitaria curante nonché lavoratori portatori di stati patologici sottesi o connessi a situazioni di invalidità riconosciuta, in misura pari o superiore al 67%. L’Inps infine, con propria circolare n. 95/2016, ha dettato le linee guida per l’individuazione concreta, all’interno delle categorie individuate dal Ministero, di quali patologie o invalidità esonerino dall’obbligo di reperibilità, obbligo che resta invece imprescindibile per la generalità degli altri lavoratori, come delineato dalle sentenze esaminate.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Il giurista del lavoro“.

Centro Studi Lavoro e Previdenza – Euroconference ti consiglia:

Diritto del lavoro