Concessione e revoca dell’auto aziendale
di Luca VannoniIl trattamento economico del lavoratore, oltre che dalla retribuzione in moneta, minimi, superminimi e indennità varie, può comporsi anche di forme retributive in natura, che vanno a comporre un vantaggio accessorio (c.d. fringe benefit). Tradizionalmente, tra tali forme viene annoverata la concessione dell’auto a uso promiscuo, la forma più ricorrente, dove il mezzo fornito dal datore di lavoro al dipendente, oltre a rappresentare uno strumento di lavoro, può essere utilizzato anche nella vita privata del lavoratore: quest’ultimo, in linea generale, si trova ad avere nella disponibilità un autoveicolo con il solo costo legato alle spese di utilizzo (carburante e pedaggi autostradali).
Come primario effetto della natura retributiva trova applicazione il principio dell’irriducibilità della retribuzione, in base al quale il trattamento retributivo collegato con la professionalità del lavoratore possa essere oggetto solo di incremento e mai di riduzione, se non per le c.d. indennità modali, i trattamenti accessori e/o variabili, legati alle particolari modalità di luogo, svolgimento e rischio di una mansione lavorativa a fronte del mutamento della stessa.
Tale fondamentale disposizione nella regolamentazione dei rapporti di lavoro trova, infatti, la sua origine nell’articolo 2103, cod. civ., norma che tutela la professionalità del lavoratore, sia in termini sostanziali che retributivi. Analizzandone il contenuto, tenuto conto delle recenti modifiche introdotte dall’articolo 3, D.Lgs. 81/2015, in essa si stabilisce che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.
Sancire il diritto alla professionalità del lavoratore equivale a tutelarne il valore retributivo.
Nel caso dell’auto a uso promiscuo, la questione dell’irriducibilità sicuramente si complica, in quanto la concessione del veicolo a uso promiscuo, in primo luogo, si genera da un’esigenza di lavoro e solo secondariamente come volontà di riconoscere un elemento retributivo in natura.
La duplicità delle ragioni di concessione in uso promiscuo, da una parte, legittima le possibili successive revoche da parte del datore di lavoro, nel momento in cui ritenesse non più necessario per la propria organizzazione produttiva l’utilizzo di autoveicoli da parte dei propri dipendenti, dall’altra, impone di prestare attenzione alla componente retributiva che verrebbe persa dal lavoratore.
Ad ogni modo, anche in assenza di una specifica previsione all’interno dell’articolo 2103, cod. civ., tenuto conto del principio di proporzionalità previsto all’articolo 36, comma 1, Costituzione, in base al quale la retribuzione è proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto, la retribuzione raggiunta per compensare le qualità professionali essenziali non potrà essere oggetto di alcun intervento di riduzione unilaterale da parte del datore di lavoro.
Sicuramente, al momento della concessione, è opportuno specificare la revocabilità dell’auto nel caso in cui venissero meno i presupposti organizzativi e produttivi e il riconoscimento del trattamento economico sostitutivo. Ovviamente, nel caso in cui la concessione dell’auto a uso promiscuo sia per un breve periodo, nella lettera di concessione andrebbe precisato, stante il carattere temporaneo della concessione, che non si determinerà nessun effetto retributivo nel momento del venir meno del fringe benefit.
In primo luogo, quindi, è necessario prestare attenzione alla modalità con cui l’autoveicolo aziendale è stato assegnato.
Se, come sopra accennato, l’autoveicolo aziendale viene concesso per un breve periodo, nel caso in cui al lavoratore vengano richieste, nell’ambito del legittimo ius variandi, temporaneamente mansioni che comportano una serie di trasferte ricorrenti, ordinariamente non richieste, nell’assegnazione del veicolo si potrà specificare, come condizione di miglior favore, che nel periodo interessato l’utilizzo sarà esteso anche alla vita privata del lavoratore, senza che si consolidi alcun diritto stabile di carattere retributivo. Ipotesi diametralmente opposta è quella in cui l’auto aziendale a uso promiscuo viene espressamente indicata come elemento del trattamento retributivo del dipendente: è chiaro, in questo caso, oltre alla necessità di specificare comunque la possibilità di revoca del fringe benefit, che dovrà essere gestita anche la parte retributiva, in quanto la qualificazione espressamente retributiva rende applicabile il principio di irriducibilità della retribuzione, riguardante le componenti ordinarie legate alla professionalità del lavoratore.
Nel primo caso, si può pacificamente sostenere che la componente retributiva dell’auto è comunque strettamente connessa alle (temporanee) mansioni assegnate al dipendente e, quindi, il dettaglio contrattuale troverebbe un diretto riscontro anche a livello normativo.
Se la concessione dell’auto fa parte del trattamento economico complessivo del lavoratore, la componente retributiva dell’auto, relativa all’utilizzo nella sua vita privata, sarebbe sganciata dalle modalità in cui viene svolta la prestazione di lavoro e, pertanto, non potrebbe essere oggetto di una riduzione unilaterale da parte del datore di lavoro.
Particolarmente interessante è l’ordinanza n. 14420/2019 della Corte di Cassazione.
A seguito del contenzioso sorto tra lavoratore e datore di lavoro in ordine al valore economico dell’auto aziendale revocata, il Tribunale di Roma e poi la Corte d’Appello di Roma stabilirono – dopo aver sottolineato che i fringe benefit hanno natura retributiva e, pertanto, la loro perdita rappresenta una reformatio in peius del trattamento retributivo – che era congruo riconoscere, a seguito della revoca del beneficio, come importo sostitutivo monetario dell’uso dell’autovettura l’importo equivalente in base al criterio di cui all’articolo 51, comma 4, Tuir.
Il lavoratore ricorreva in Cassazione, ritenendo errato l’utilizzo, quale parametro per determinare il valore economico dell’auto aziendale, in uso promiscuo, del criterio di cui all’articolo 51, comma 4, Tuir, riferito al valore fiscale del bene e applicabile al sostituto d’imposta, senza tenere in considerazione il reale vantaggio economico ricevuto e che il valore dello stesso dovesse essere rapportato al costo sopportato per conseguire una situazione uguale a quella persa.
Innanzitutto, la Cassazione riprende i consolidati indirizzi sulla materia, sottolineando la natura retributiva del valore rappresentato dall’uso dell’autovettura concessa al dipendente, anche per fini personali e familiari: l’uso e la disponibilità, anche a fini personali, di un’autovettura concessa contrattualmente dal datore al prestatore di lavoro “come beneficio in natura, anche indipendentemente dalla sua effettiva utilizzazione, rappresenta il contenuto di una obbligazione che, ove pure non ricollegabile ad una specifica prestazione, è idonea ad essere considerata di natura retributiva, con tutte le relative conseguenze, se pattiziamente inserita nella struttura sinallagmatica del contratto di lavoro cui essa accede”.
Decidendo la questione, la Suprema Corte rigetta il ricorso del lavoratore, in quanto non dimostra su quali presupposti debba ritenersi errato il criterio di determinazione del controvalore economico dell’auto a uso promiscuo utilizzato dal giudice; essendo una valutazione di merito, e un tipico accertamento di fatto, non è stata ritenuta determinata da anomalie motivazionali o da elementi non presi in considerazione nel grado di merito ovvero contraria a norme di Legge.
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