29 Luglio 2021

Comunicare è il segreto della felicità?

di Elena Valcarenghi

Come spesso mi accade, mi sono trovata per una serie di coincidenze fattuali a riflettere sul ruolo della comunicazione e, come d’abitudine, sono partita dal significato del termine (sorrido pensando che utilizzo il dizionario più ora da adulta che quando ero studente).

Come può essere definita la comunicazione? In sintesi il partecipare, cioè far conoscere, rendere noto, il trasmettere ad altri, ma anche il rendere partecipi altri di un pensiero, di uno stato d’animo e, quindi, una sorta di relazione tra persone che crea partecipazione e comprensione, unilaterali o reciproche. Si può dunque rilevare che parlare e comunicare non sono termini equivalenti, dato che trasmettere contenuti ed entrare in relazione non sono situazioni perfettamente sovrapponibili.

Forse vi state chiedendo il perché di questa riflessione, ma è presto detto. Nel lavoro, come nella vita, mi sono resa conto che la maggior parte dei problemi li rilevo in situazioni in cui molto si parla e poco si comunica, ed è un peccato.

Solo io rilevo una scarsa propensione alla comunicazione? Ognuno di noi è talmente preso dal suo che le conversazioni si trasformano facilmente in proclami o monologhi più destinati ad una affermazione di sé o delle proprie convinzioni che ad un reale scambio che, in linea di massima, è però ciò di cui più si ha bisogno. Non credo infatti che sia possibile essere autoreferenziali in assoluto.

Intendiamoci, lo scambio può anche essere acceso, mi piace il coraggio di difendere le proprie idee, ma se il senso ultimo è la prevaricazione allora di certo la comunicazione sarà più difficile, mancando la relazione.

Senza arrivare a casi estremi, nel quotidiano del lavoro posso riscontrare con frequenza il crearsi di situazioni conflittuali legate alla mancanza di comunicazione, che è anche comprensione. Quante volte vi è capitato di intervenire per risolvere questioni in cui mancavano solo chiarezza e ascolto? A me sovente. I lavoratori, ma anche i clienti, si pongono spesso in atteggiamento di difesa quando non comprendono e la pazienza di spiegare può non bastare se non accompagnata dalla ricerca delle motivazioni della reazione. Ognuno ha ed è una vita e non è possibile riassumere la complessità dell’essere in asciutte tecniche spiegazioni talvolta poco limpide o sensate persino per noi che ne facciamo mestiere.

Qualcuno potrebbe obbiettare che l’oggetto del nostro lavoro non è l’essere psicologi. Verissimo, ma di certo siamo chiamati a suggerire soluzioni e se la soluzione passa per la comunicazione perché no? Anche perché nella mia personalissima esperienza si è ripagati e vi confesso che traggo maggior soddisfazione così rispetto all’approccio solo tecnico.

In fondo lavoriamo con e per le persone e lo siamo a nostra volta, quindi perché no?

Forse non sarà il segreto della felicità, ma ritengo aiuti.

 

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