Co.co.org., l’ulteriore assist del Tribunale di Roma al terzo genere contrattuale
di Michele DonatiNel presente articolo andremo ad esaminare contenuto e implicazioni connesse alla pronuncia del Tribunale di Roma del 6 maggio 2019, che di fatto prosegue in maniera decisa nel filone già tracciato dalla Corte d’Appello di Torino (in merito alla fattispecie dei riders Foodora), circa la definizione di un terzo genere contrattuale, costituito dall’applicazione della disciplina del lavoro subordinato ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Andremo ad esaminare le varie implicazioni della pronuncia e l’impatto nella concreta realtà.
L’applicazione della disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni coordinate e continuative: una precisazione doverosa
Prima di entrare nel merito della questione e approfondire l’argomento, di estremo interesse e rilievo fattuale, oltre che ovviamente giuridico, chi scrive sente l’esigenza di una precisazione: neanche 2 mesi fa, in un precedente articolo apparso su questa rivista[1], avevo espresso perplessità circa la direzione presa dal Tribunale di Torino relativamente alla sentenza d’Appello del caso Foodora, andando in qualche modo a mostrare dubbi circa la concreta manifestazione pratica del passaggio dell’articolo 2, D.Lgs. 81/2015, ove si prevede la possibilità di applicare la disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni coordinate e continuative caratterizzate dalla compresenza dei 3 elementi determinanti in tal senso, cioè etero-organizzazione, prestazione personale da parte del collaboratore e determinazione rimessa alla committenza circa la definizione di luoghi e tempi della realizzazione dell’operato del lavoratore, il tutto senza andare a intaccare la genuina volontà delle parti di voler inquadrare il contratto tra esse intercorrente nella forma giuridica scelta.
Chi vi scrive aveva espresso più di un dubbio circa la sostenibilità di tale linea, e più in generale della possibilità che potesse esistere, quantomeno in questa forma, una tipologia di contratto siffatta.
Prendo atto che, ad oggi, l’orientamento della giurisprudenza si muove in maniera diametralmente opposta rispetto al pensiero e alle argomentazioni in precedenza espresse.
Pur tenendo fede ad alcuni degli assunti già formulati, e che saranno ripresi nel corso della presente trattazione, si rilevano 2 aspetti molto importanti, di seguito dettagliati:
- la pronuncia del Tribunale di Roma rimarca le motivazioni poste alla base di tale assunto, e in qualche modo le amplia ed estrinseca;
- ancora più rilevante il fatto che questa linea di pensiero rappresenta, ad oggi, la miglior modalità per gli operatori del diritto di tentare di seguire le sfumature e le mutevoli forme che le prestazioni lavorative stanno assumendo.
Quest’ultimo punto, a parere di chi scrive, è centrale, in quanto uno dei principi cardine del diritto del lavoro è, o quantomeno dovrebbe essere, quello di seguire le evoluzioni storiche e sociali, per riuscire a descrivere al meglio le mutevoli condizioni che in concreto vengono a manifestarsi nella realtà.
Andremo, quindi, ad esaminare le implicazioni contenute nella pronuncia suddetta, suddividendo in particolare la trattazione in 2 paragrafi, che poi coincidono con quelli che sono i punti messi in risalto dalla sentenza stessa.
Cosa tiene la bilancia in equilibrio
Comune denominatore nelle controversie sulla definizione della natura subordinata o non subordinata del rapporto di lavoro è la presenza, da un lato (quello del lavoratore), di un’impostazione della prestazione lavorativa che, se non rigida, appare quantomeno standardizzata, e quindi con poco spazio per autonomia e professionalità[2], il tutto corroborato dal carattere personale e dalla definizione di luoghi e tempi di lavoro e, dall’altro (quello della committenza), di una libertà e autonomia nella definizione delle modalità concrete di attuazione, anche e soprattutto in merito alla facoltà di accettare, ovvero rifiutare incarichi, in assenza quindi di vincoli di natura disciplinare e gerarchica (tipici, invece, e anzi caratterizzanti, in ipotesi di lavoro dipendente).
A ben vedere, entrambi gli assunti sono veri, ma al tempo stesso nessuno dei 2 può negare la compresenza dell’altro.
È questa la situazione di diritto che, in concreto, si sono trovati davanti i Tribunali chiamati a dirimere controversie in materia di contratti di collaborazione coordinata e continuativa caratterizzati dalla compresenza dei tratti sopra descritti.
La linea intrapresa dalla giurisprudenza in questo senso attinge a piene mani dalla disposizioni contenute nell’articolo 2, D.Lgs. 81/2015, prevedendo la mera applicazione della disciplina del lavoro subordinato, senza andare a prevedere una riconversione del rapporto di lavoro.
Alcune doverose considerazioni in merito.
Relativamente all’aderenza alla normativa e al rispetto di entrambe le parti, la linea appare assolutamente sostenibile e condivisibile. Il dettato dell’articolo 2, D.Lgs. 81/2015, dà la stura al ritenere ammissibile l’adozione di tale impostazione, che, di fatto, si configura come una scelta equidistante, o quantomeno rispettosa, sia dei vincoli in qualche modo accettati dal collaboratore (in merito alle modalità organizzative etero-organizzate, anche e non solo in relazione alla definizione di tempi e luoghi di lavoro), sia, al tempo stesso, delle libertà consentite dalla committente (per quanto, in special modo, attiene alla sostanziale assenza di conseguenze disciplinari in ipotesi di mancato espletamento della prestazione, caratteristica del tutto assente in ambito di lavoro subordinato).
Sarebbe svilente definire tale impostazione un compromesso; appare più giusto e corretto definirla come la manifestazione del rispetto della reale volontà delle parti, atta quindi a mantenere l’imprinting iniziale (comunque non subordinato) del contratto che si intendeva instaurare.
Dove chi scrive ritiene si debbano ancora fare importanti passi in avanti, è di certo la definizione dei confini di tale soluzione, intesi come la concreta e puntuale elencazione di ciò che voglia dire applicare la disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni coordinate e continuative caratterizzate contemporaneamente da etero-organizzazione, prestazioni rese in maniera personale e definizione da parte della committenza di tempi e luoghi di lavoro.
Appare decisamente opportuno stabilire ciò, perché solo fissando i paletti da rispettare, e più in generale definendo quali siano gli elementi del rapporto subordinato da traslare e applicare in seno alla co.co.org. (pur mantenendo inalterata la natura giuridica), sarà possibile applicare correttamente il dettato dell’articolo 2, D.Lgs. 81/2015, già in fase di definizione contrattuale, andando quindi ad evitare (o almeno ridurre) il contenzioso in materia.
In questo senso, si segnala ad esempio un passaggio che appare controverso, contenuto nella stessa sentenza del Tribunale di Roma, laddove si prevede, tra gli elementi propri del rapporto subordinato da applicare al concreto contratto, anche la sfera previdenziale, oltre a rispetto della retribuzione diretta e differita, sicurezza ed igiene dei luoghi di lavoro, limiti di orario, ferie e previdenza.
Ecco: se appare pacifico e condivisibile il rispetto degli altri aspetti elencati (chi scrive aggiungerebbe anche un’attenzione di massima alla durata complessiva dei contratti stipulati, in un’ottica di rispetto della disciplina del rapporto a termine, sebbene poi è altrettanto vero che molte delle prestazioni suscettibili potenzialmente di essere oggetto di co.co.org. assomigliano a mansioni di natura discontinua e, quindi, riconducibili al contratto intermittente, estraneo a limiti di durata massima), risulta quantomeno complesso andare ad applicare la medesima disciplina previdenziale prevista per i lavoratori subordinati, anche alle co.co.org..
Se contrattualmente, infatti, appare agevole operare una trasposizione (virtuale) a una mansione subordinata assomigliante a quella effettuata in regime di co.co.org., appare quantomeno più bizzarro e sicuramente complesso operare una pedissequa traslazione della disciplina contributiva prevista per il lavoro dipendente.
A parere di chi scrive, infatti, se la determinazione della retribuzione (diretta e differita), così come dei riposi dal lavoro, esaurisca il suo impatto e la sua definizione in seno alla volontà manifestata dalle parti, l’inquadramento previdenziale impatta (anche in termini di prestazioni assistenziali) in maniera incisiva anche nei confronti dell’Inps.
L’importante specificazione in merito all’articolo 2, comma 2, D.Lgs. 81/2015
L’ultima parte della sentenza fa un’importante considerazione circa la contemporanea possibilità di applicare la disciplina del rapporto subordinato alle collaborazioni coordinate e continuative, mantenendo inalterata la loro natura giuridica, e la previsione contenuta nell’articolo 2, comma 2, D.Lgs. 81/2015.
Il magistrato della sentenza in esame si pone giustamente la domanda circa la possibile coabitazione di una deroga di legge nei confronti degli accordi collettivi all’obbligo, stabilito appena nel comma immediatamente precedente del medesimo articolo, di applicare la disciplina del lavoro subordinato a particolari tipologie di collaborazioni. La risposta è affermativa e tale impostazione ha come incipit il dettato stesso della norma richiamata, la quale recita appunto che “la disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione con riferimento alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, prevedano discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione di particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore”.
La pronuncia del Tribunale di Roma conferma tale assunto, riconoscendo, quindi, alla contrattazione collettiva la possibilità di derogare il vincolo di cui all’articolo 2, comma 1, D.Lgs. 81/2015.
La ragione di ciò viene ricondotta alla preordinata volontà di rispettare la libertà contrattuale (con crisma collettivo), per effetto dell’esplicita legittimazione concessa dalla normativa stessa.
È bene, però, in questo senso evidenziare alcuni punti che sono fondamentali e centrali, affinché ciò sia ammesso e inoppugnabile; andiamo a esaminarli:
- innanzitutto gli accordi collettivi cui si fa riferimento sono quelli specifici per la definizione delle deroghe ammesse relativamente ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa;
- le associazioni sindacali legittimate a stipulare gli accordi di cui sopra (affinché gli accordi collettivi stessi possano avere efficacia) debbono essere quelle comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (in questo particolare ambito non rileva la territorialità, probabilmente per la portata collettiva e generalizzata dell’impatto di tali contratti);
- debbono sussistere ragioni di carattere produttivo e organizzativo, connesse allo specifico settore di appartenenza (e quindi all’ambito dell’accordo collettivo), tali da giustificare le deroghe alle tutele e ai vincoli in materia normativa e retributiva circa l’applicazione della disciplina del lavoro dipendente. In buona sostanza, la possibilità di derogare all’applicazione della disciplina del lavoro subordinato ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa passa per il riconoscimento di particolari caratteristiche del settore di appartenenza (nella sentenza si fa anche riferimento alle fluttuazioni legate al fabbisogno di prestazioni lavorative e alla marginalità dei profitti connessa alle repentine e imprevedibili variazioni di costi e volumi di lavoro), fatti salvi i vincoli formali precedentemente esposti.
[1] M. Donati, Contratti di collaborazione coordinata e continuativa e etero-organizzazione dopo la sentenza della Corte d’Appello di Torino, in “Strumenti di lavoro”, n. 3/2019.
[2] Appare in questo senso utile richiamare la definizione che la pronuncia in esame fa del concetto di etero-organizzazione, il quale si sostanzia nell’integrazione funzionale del collaboratore nell’organizzazione produttiva del committente (ulteriore rispetto alla mera coordinazione sancita dall’articolo 409 c.p.c.), pur senza per questo esserne assoggettato al potere direttivo e gerarchico.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Strumenti di lavoro“.
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