21 Novembre 2019

La Cassazione smentisce il Ministero sul lavoro intermittente

di Elena Valcarenghi

Con sentenza del 13 novembre 2019, n. 29423, la Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso di un lavoratore volto all’accertamento dell’illegittimità del contratto di lavoro intermittente stipulato nel 2011, basato sull’unico motivo del supposto potere, attribuito in via esclusiva alle parti collettive, di individuare le esigenze e le prestazioni per le quali era consentito o meno il ricorso a tale tipologia contrattuale (escluso nel caso di specie), sulla base della nota n. 18194/2016 del Ministero del lavoro, che sosteneva la piena legittimità della contrattazione collettiva di affermare l’inapplicabilità, in uno specifico settore, del lavoro intermittente.

Si ricorda che il D.Lgs. 276/2003 aveva introdotto, per la prima volta nel nostro ordinamento, la regolamentazione del lavoro intermittente inteso quale contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa nei limiti previsti. Dopo una prima abrogazione ad opera della L. 247/2007, l’istituto è stato ripristinato nella formulazione iniziale dal D.L. 112/2008 e poi modificato dalla L. 92/2012 e dal D.L. 76/2013, al fine di limitarne il campo d’applicazione e di introdurre correttivi volti al corretto ricorso all’istituto. Il D.Lgs. 81/2015 ha in seguito riformulato la disciplina del contratto, senza però alterarne i tratti essenziali che restano confermati, abrogando al contempo la previgente normativa.

La Corte d’Appello, premessa la genuinità del contratto di lavoro intermittente stipulato con riferimento alle esigenze individuate in via sostitutiva della contrattazione collettiva dal Ministero del Lavoro con il D.M. 459/2004, il quale faceva riferimento alla tabella allegata al R.D. 2657/1923 espressamente richiamata nel contratto individuale, era arrivata alla medesima conclusione seguendo un diverso ragionamento.

Nel caso oggetto di sentenza, il contratto era fondato sulla causale oggettiva, non legata cioè alle condizioni personali del lavoratore, e la decisione della Cassazione discende dalla constatazione che nella legge non si evince alcun ruolo delle parti sociali finalizzato a vietare il ricorso al lavoro intermittente, ma solo ad individuare la casistica:

  • la norma allora vigente si limitava a demandare alla contrattazione collettiva l’individuazione delle esigenze per le quali era consentita la stipula di un contratto a prestazioni discontinue, senza riconoscerle esplicitamente alcun potere di interdizione della possibilità di utilizzo di tale tipologia contrattuale;
  • il potere di veto, inoltre, non può ritenersi implicito nel rinvio alla disciplina collettiva, che concerneva solo un particolare aspetto della figura contrattuale;
  • l’assunto della possibilità per le parti collettive di impedire del tutto l’utilizzazione di tale forma contrattuale risulta anche smentito, da un punto di vista sistematico, dalla contestuale previsione di un potere di intervento sostitutivo da parte del Ministero del lavoro, previsione che denota in termini inequivoci la volontà del legislatore di garantire l’operatività dell’istituto, a prescindere dal comportamento inerte o contrario delle parti collettive;
  • inoltre, tra le ipotesi di divieto di ricorso al lavoro intermittente, non era prevista anche quella di inerzia o veto delle parti collettive.

Tali considerazioni svolte dai giudici di piazza Cavour, paiono del tutto in linea anche con il testo normativo attualmente in vigore, che, come sopra anticipato, ha riformulato la regolamentazione dell’istituto in oggetto, nell’ambito della disciplina organica dei contratti di lavoro contenuta nel D.Lgs. 81/2015, senza peraltro modificarne in sostanza i contenuti. Il contratto di lavoro intermittente può quindi essere stipulato:

  • per le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento allo svolgimento di prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno;
  • nel caso di soggetti di età inferiore a 24 anni (le prestazioni si devono comunque concludere entro il compimento del 25° anno), oppure, di età superiore a 55 anni.

Qualora la prima ipotesi non trovi attuazione nella contrattazione collettiva, le esigenze sono individuate da un apposito D.M., che è ancora quello emanato in forza della previgente normativa, il D.M. 23 ottobre 2004 (da considerarsi ancora vigente ex articolo 55, comma 3, D.Lgs. 81/2015), ai sensi del quale è ammessa la stipulazione di contratti di lavoro intermittente con riferimento alle tipologie di attività indicate nella tabella allegata al R.D. 2657/1923, come confermato dall’interpello n. 10/2016.

 

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