La Cassazione consolida il proprio orientamento sulla contribuzione dei lavoratori all’estero
di Cristian ValsiglioRelativamente ai redditi prodotti all’estero, era sorto un orientamento, confermato dalle prime Corti di merito, secondo il quale, in virtù del principio di armonizzazione delle basi imponibili, anche ove la prestazione del lavoratore fosse stata eseguita in Paesi con i quali esisteva una convenzione internazionale a livello previdenziale, l’assoggettamento a prelievo contributivo dovesse essere fatto sulla base della retribuzione convenzionale ove quest’ultima fosse stata applicata anche per la determinazione delle ritenute fiscali in applicazione dell’articolo 51, comma 8-bis, Tuir.
Il merito sostanziale della predetta interpretazione era quello di diminuire i costi del lavoro all’estero tramite la riduzione della contribuzione posta a carico del datore di lavoro.
La Corte di Cassazione, con sentenza 30 maggio 2018, n. 13674, in continuità con quanto già affermato in precedenti sentenze (n. 17646/2016 e n. 24032/2017), ribadisce il principio secondo il quale i contributi previdenziali dovuti in relazione alla posizione di un dipendente per l’attività lavorativa svolta all’estero devono essere calcolati con riferimento alla retribuzione effettivamente corrisposta, anziché alle retribuzioni convenzionali stabilite annualmente con D.M., ai sensi dell’articolo 4, comma 1, D.L. 317/1987, convertito nella L. 398/1987.
La predetta sentenza, ribaltando la decisione della Corte d’Appello di Torino n. 1055/2012, prevede che i contributi per un lavoratore che ha prestato la propria attività all’estero devono essere calcolati sulla retribuzione effettiva e non sulla retribuzione convenzionale.
La Corte d’Appello, ora ribaltata, aveva basato la propria decisione, favorevole al datore di lavoro, sostenendo che, nella fattispecie oggetto del contenzioso, dovesse essere applicato l’articolo 51, comma 8-bis, Tuir, il quale prevede che a determinate condizioni il reddito di lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa per un periodo superiore a 183 giorni nell’anno è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali, sia sotto l’aspetto tributario sia su quello contributivo. Alla base di tale convincimento vi erano sostanzialmente 2 argomentazioni:
- la completa equiparazione della definizione di reddito da lavoro dipendente ai fini fiscali e previdenziali imposta dal principio di armonizzazione e quindi l’applicazione del comma 8-bis anche in ambito contributivo;
- il principio di espressa deroga al principio di armonizzazione assente in relazione all’assoggettamento contributivo del reddito prodotto all’estero.
I giudici di legittimità hanno così, in prima battuta, ricordato il comma 8 dell’articolo 6, il quale recita che “Sono confermate le disposizioni in materia di retribuzione imponibile di cui all’articolo 1 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, e successive modificazioni e integrazioni, nonché ogni altra disposizione in materia di retribuzione minima o massima imponibile, quelle in materia di retribuzioni convenzionali previste per determinate categorie di lavoratori e quelle in materia di retribuzioni imponibili non rientranti tra i redditi di cui all’articolo 46 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917” e successivamente evidenziato che la legge delega (che ha consentito l’approvazione del D.Lgs. 314/1997) ritiene l’equiparazione della definizione di reddito di lavoro dipendente ai fini fiscali e previdenziali solo eventuale (“ove possibile“) e, comunque, non tale da determinare la natura recettizia del rinvio alle richiamate disposizioni del Tuir a fini previdenziali, occorrendo esaminare la compatibilità con il sistema previdenziale delle modifiche di volta in volta introdotte ai fini fiscali.
Una volta indicata la possibilità derogatoria del principio di armonizzazione, evidenzia i motivi per il quale il comma 8-bis non può essere applicato al sistema previdenziale.
In particolare, la Corte di Cassazione sottolinea che:
- il D.Lgs. 314/1997 ha aggiunto il comma 8-bis all’articolo 51, Tuir, con esplicito riferimento alla sola materia fiscale;
- l’elemento temporale dei 183 giorni ha una valenza meramente fiscale, in quanto termine per identificare la residenza fiscale, elemento sostanziale in materia tributaria, ma ininfluente in ambito previdenziale;
- ritenere il comma 8-bis operante ai fini previdenziali determinerebbe un’ingiustificata compressione delle entrate pubbliche, a detrimento anche della posizione previdenziale del lavoratore;
- il comma 8-bis individua la retribuzione imponibile fiscale facendo riferimento ai decreti exL. 317/1987, senza mettere in discussione l’impianto complessivo ai fini previdenziali, il quale, invece, genera una differenziazione nella contribuzione solo ove in presenza o meno di una convenzione internazionale in tema di sicurezza sociale, identificando la base imponibile convenzionale ove assente la convenzione (al fine di evitare una doppia contribuzione onerosa) e la base imponibile effettiva ove presente una convenzione che faccia ricadere l’intera contribuzione nel Paese di provenienza;
- ritenere il comma 8-bis valido anche ai fini previdenziali creerebbe una forte penalizzazione per i lavoratori all’estero in fase di determinazione della pensione non compatibile con la ratio protettiva già affermata dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 369/1985);
- l’articolo 3, comma 20, L. 662/1996, prevede l’attuazione della delega assicurando l’assenza di oneri aggiuntivi o di minori entrate per il bilancio dello Stato per l’anno 1997, nonché maggiori entrate nette pari a lire 200 miliardi per ciascuno degli anni 1998 e 1999. Tale situazione finanziaria sarebbe irraggiungibile ove si considerasse la contribuzione dovuta sulla base dell’imponibile convenzionale nelle ipotesi dei lavoratori italiani che lavorano in Paesi con i quali esiste una regolamentazione dei rapporti di lavoro basata sulla deroga al principio di territorialità.
In conclusione, il consolidarsi dell’orientamento sopra esposto porta a ritenere difficoltoso per le aziende applicare in armonizzazione la base imponibile fiscale con quella contributiva per quei lavoratori che svolgono all’estero la propria attività lavorativa in Paesi con i quali l’Italia ha sottoscritto una convenzione per regolamentare la gestione previdenziale.
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