24 Gennaio 2017

Corte di Cassazione, apprendistato, lavoratrici madri e dintorni: un’occasione mancata?

di Marco Frisoni

 

La Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, con sentenza n. 5051 del 15 marzo 2016, affronta una questione che, per la verità, non risulta intensamente indagata nel passato e che afferisce il capzioso rapporto sussistente fra la disciplina peculiare che ammanta il contratto di apprendistato e lo speciale e rigoroso coacervo normativo che, invece, presiede la tutela della lavoratrice madre (e, per la verità, ancorché a scartamento ridotto, del lavoratore padre), anche con l’obiettivo di tracciare gli adeguati confini di operatività e prevalenza di siffatte disposizioni nella misura in cui le medesime debbano entrare in conflitto.

Orbene, forse una delle problematiche più pregnanti è rappresentata dal difficoltoso equilibrio che dovrebbe reperirsi fra la potestà datoriale di recesso ad nutum consentita al datore di lavoro (per la verità, anche al lavoratore apprendista) alla conclusione della fase formativa e la rigida normativa che tutela la lavoratrice madre in materia di licenziamento, che è quanto di più distante si possa immaginare dalla libera recedibilità, al punto che il Legislatore (oggi nel D.Lgs. 151/2001) ha sancito il divieto di licenziamento della stessa, se non a fronte di ipotesi tipizzate tassativamente dalla norma di riferimento.

E, infatti, ai sensi dell’articolo 54, D.Lgs. 151/2001, le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine del congedo di maternità, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino; in caso di fruizione del congedo di paternità, il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino al compimento di un anno di età del bambino.

Il divieto di licenziamento non si applica nel caso di:

  1. colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
  2. cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta;
  3. ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine;
  4. esito negativo della prova.

Alla luce di tali disposizioni, non sembra dubitabile come, durante la vigenza del contratto di apprendistato, la lavoratrice madre (o il lavoratore padre) sia destinataria dell’intransigente complesso normativo appena descritto, operando pienamente il divieto di licenziamento e le conseguenze molto gravi ricadenti in capo al datore di lavoro in caso di violazione dello stesso.

Ebbene, per l’interprete, presa contezza delle disposizioni di legge, sorge l’ardua questione di trovare una soluzione che contemperi le specialità delle due discipline (apprendistato e tutela della maternità) qualora entrino in conflitto; in effetti, il caso può presentarsi tutt’altro che infrequentemente, posto che il datore di lavoro che decida di comunicare la disdetta del contratto di apprendistato, ex articolo 2118 cod. civ., al termine dell’arco temporale destinato alla formazione, potrebbe non essere a conoscenza dello stato di lavoratrice madre dell’interessata.

Infatti, il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, di talché la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, è tenuta a presentare al datore di lavoro idonea certificazione, dalla quale risulti l’esistenza all’epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano. Ovvero, il datore di lavoro conosce la situazione della lavoratrice (o del lavoratore padre) e intende in ogni caso avvalersi della prerogativa peculiare, assegnatagli da una legge speciale, di potere recedere dal rapporto in deroga alle regole ordinarie; ciò non di meno, una simile determinazione dovrebbe tenere conto dell’esistenza di una diversa disciplina (sempre speciale), che è in contrasto con la prima e che, addirittura, dispone un divieto di licenziamento, con eccezioni elencate in maniera tassativa e fra le quali non si rinviene la disdetta al termine del periodo formativo dell’apprendistato.

Il tema è stato trattato anche dal Ministero del lavoro, con interpello n. 16/2012, rispondendo al quesito posto dal Consiglio nazionale dell’orine dei consulenti del lavoro in ordine alla possibilità di recedere dal rapporto di apprendistato, nel caso in cui l’apprendista si trovi in una delle ipotesi previste per il divieto di licenziamento per causa di matrimonio o maternità.

Il Dicastero evidenzia che eventuali cause di nullità del licenziamento (come nel caso di licenziamento a causa del matrimonio ed a causa dello stato di gravidanza) trovano evidentemente applicazione anche con riferimento ai lavoratori impiegati con contratto di apprendistato

Sempre in conformità all’orientamento ministeriale, ciò tuttavia non toglie che, al termine dei periodi di divieto, il datore di lavoro possa legittimamente esercitare il diritto di recesso previsto in materia di apprendistato e, in tal caso, il periodo di non potrà che decorrere, se non dal termine del periodo di formazione, dal termine dei periodi di divieto di licenziamento sopra indicati.

Sebbene sia stato apprezzabile il tentativo del Ministero del lavoro di fornire un’indicazione che, almeno sul piano ispettivo, potesse contemperare le varie esigenze e priorità coinvolte, la soluzione proposta è apparsa, sin dall’origine, più frutto di una sorta di mediazione radicata sul buon senso piuttosto che su presupposti normativi, poiché, per risolvere il dissidio normativo, sarebbe indispensabile un intervento ad hoc del Legislatore che sancisca, a questo punto, la prevalenza di una disciplina rispetto all’altra.

Fra l’altro, vi è da osservare che la sentenza della Corte di Cassazione 15 marzo 2016 non sembra fare trasparire una netta e dirimente posizione sulla suddetta questione, in quanto solo mediatamente si possono ricavare delle suggestioni che, tuttavia, sempre per le ragioni sopra espresse, devono essere attentamente ponderate e valutate.

Effettivamente, i giudici di legittimità, dopo avere confermato la persistenza delle tutele della lavoratrice madre in relazione al divieto di licenziamento operante in costanza del rapporto di apprendistato e applicato l’apparato sanzionatorio del caso, in realtà non esprimono un esplicito assunto che attribuisca prevalenza a una disciplina piuttosto che all’altra, ma, indirettamente, attraverso una censura formulata nei riguardi di una condotta adottata dal datore di lavoro, emergerebbe un pensiero che porta a identificare come prevalente la normativa speciale in materia di recesso libero al termine dell’arco temporale di addestramento e formazione nei riguardi delle tutele a beneficio della lavoratrice madre.

Difatti, il pronunciamento in parola, una volta dichiarata la nullità del licenziamento disciplinare nel caso comminato alla lavoratrice, concentra la propria attenzione sul fatto che, venuta meno l’efficacia del suddetto provvedimento espulsivo, non si è rinvenuta alcuna disdetta datoriale del rapporto di apprendistato e, di convesso, lo stesso è divenuto, scaduto il periodo di formazione, un ordinario lavoro dipendente.

Sempre scorrendo la sentenza, si ricava il principio che il rapporto di lavoro, una volta proseguito a seguito del mancato esercizio del diritto di recesso, resta assoggettato alle ordinarie cause di risoluzione; nella specie, esso non si è interrotto in virtù del licenziamento, dichiarato nullo perché intimato in stato di gravidanza, e deve ritenersi continuato, non essendovi stata disdetta da parte del datore di lavoro.

Provando una lettura al contrario di questo concetto, si può sostenere dunque che, se vi fosse stata la disdetta datoriale ai sensi dell’articolo 2118 cod. civ. (che, forse, prudenzialmente, il datore di lavoro avrebbe fatto bene a comunicare), il rapporto si sarebbe estinto a prescindere dal fatto che l’interessata era all’interno del periodo protetto e di vigenza del divieto di licenziamento, facendo pertanto prevalere la specialità dell’apprendistato sulla tutela della lavoratrice madre, nonostante il rango costituzionalmente protetto del bene tutelato da quest’ultima disciplina.

In buona sostanza, emerge l’impressione che si sia persa l’occasione, da parte dei giudici di legittimità, di fare chiarezza su un punto cruciale per la gestione del contratto di apprendistato, lasciando dubbi e perplessità su uno strumento che, al contrario, per essere il vero fulcro del rilancio dell’occupazione giovanile, dovrebbe apparire il più lineare possibile.

 

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