5 Agosto 2020

Il caos della proroga automatica dei contratti a termine e di apprendistato

di Luca Vannoni

In sede di conversione in Legge del D.L. Rilancio (L. 77/2020) è stata introdotta una norma di proroga automatica, per i contratti di apprendistato duale e i contratti a termine, che sta generando profondi dubbi interpretative, che, senza un nuovo intervento legislativo, si tradurranno in contenzioso.

 

Introduzione

In sede di conversione, probabilmente rispondendo a un’istanza sviluppatasi esclusivamente a livello politico e non nella realtà imprenditoriale e lavorativa, la disciplina prevista in materia di contratti a termine nel Decreto Rilancio, l’articolo 93, che già tanto aveva fatto discutere, si è vista “arricchita” di un nuovo comma 1-bis, di cui è bene premettere il contenuto.

In essa infatti si prevede che “il termine dei contratti di lavoro degli apprendisti di cui agli articoli 43 e 45 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, e dei contratti di lavoro a tempo determinato, anche in regime di somministrazione, è prorogato di una durata pari al periodo di sospensione dell’attività lavorativa, prestata in forza dei medesimi contratti, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”.

In modo estremamente superficiale e rozzo, con una norma “di stomaco” – l’unica parte del corpo con cui l’abbinamento stride è probabilmente il cervello – è stata introdotta nel nostro ordinamento una disposizione di proroga, generale e automatica, pari al periodo di sospensione dell’attività lavorativa in conseguenza dell’emergenza COVID-19, che riguarda i seguenti contratti:

  • apprendistato per la qualifica e il diploma professionale;
  • apprendistato di alta formazione e ricerca;
  • contratti di lavoro a tempo determinato;
  • contratti a tempo determinato con agenzie di somministrazione.

Appare subito evidente l’utilizzo di termini grossolani e non univoci, uno su tutti la “sospensione dell’attività lavorativa”, concetto che può riguardare un’indefinita di fattispecie, essendo connotato esclusivamente in termini negativi: sospensione non può che significare assenza temporanea di attività lavorativa, poco importa al Legislatore il titolo a cui ascriverla. Basta che sia “in conseguenza dell’emergenza COVID-19”. Generalmente a tale termine, soprattutto nell’ottica delle casse integrazioni, si contrappone il termine di “riduzione”, dove residua una prestazione lavorativa.

Non vi è, inoltre, alcun riferimento, da un punto di vista temporale, dei contratti interessati: tenuto conto che la L. 77/2017 è in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione in G.U., avvenuta il 18 luglio, quindi domenica (sic) 19 luglio, si ritiene che siano interessati tutti i contratti in essere a tale data, con esclusione, quindi, dei contratti che sono scaduti, ma che sono stati interessati da sospensioni dell’attività legate all’emergenza COVID-19.

Ricordiamo che l’articolo 93, comma 1 (dove è stata prevista l’esclusione dall’obbligo delle causali di cui all’articolo 19, comma 1, D.Lgs. 81/2015, per i rinnovi e le proroghe effettuate fino al 30 agosto 2020 (da intendersi come scadenza) dei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato) riguarda i rapporti in essere alla data del 23 febbraio 2020. Essendo di fatto norme slegate, non si ritiene estensibile la condizione dei contratti in essere al 23 febbraio 2020.

Se per l’apprendistato, nelle 2 forme richiamate, la pessima fattura della norma crea soltanto delle incongruenze sistematiche rispetto al contratto di apprendistato professionalizzante (articolo 44, D.Lgs. 81/2015), per i contratti a termine e la somministrazione di lavoro, come vedremo, gli effetti sono molto più catastrofici.

 

Proroghe per i contratti di apprendistato

Il richiamo soltanto alle forme del c.d. apprendistato duale trova la sua ragione nel fatto che, per l’apprendistato professionalizzante, vi è già una disposizione ordinaria, non connessa con l’emergenza COVID-19, applicabile sul tema: l’articolo 2, comma 4, D.Lgs. 148/2015, prevede, infatti, che “alla ripresa dell’attività lavorativa a seguito di sospensione o riduzione dell’orario di lavoro, il periodo di apprendistato è prorogato in misura equivalente all’ammontare delle ore di integrazione salariale fruite”.

È evidente che a livello sistematico abbiamo 2 discipline non sovrapponibili: per gli apprendisti duali la proroga è legata alle sospensioni dell’attività, e a nulla rilevano le eventuali riduzioni di orario con intervento di integrazione salariale, mentre per l’apprendistato professionalizzante la proroga è pari a tutte le ore di integrazione salariale fruita.

Certo, a ben vedere, anche l’articolo 2, comma 4, D.Lgs. 148/2015, ha le sue zone d’ombra (i contratti si prorogano quantomeno a giorni), ma sicuramente il suo ambito di applicazione è definito.

La proroga disposta con la conversione del Decreto Rilancio, viceversa, sembrerebbe applicarsi soltanto alle sospensioni dell’attività, a prescindere dal titolo delle stesse.

Sul punto è opportuno precisare che, oltre a quella appena richiamata, esistono in materia di apprendistato 2 altre proroghe normative:

  1. l’articolo 42, comma 5, lettera g), D.Lgs. 81/2015, prevede la “possibilità di prolungare il periodo di apprendistato in caso di malattia, infortunio o altra causa di sospensione involontaria del lavoro, di durata superiore a 30 giorni”;
  2. l’articolo 7, D.P.R. 1026/1976, prevede che “i periodi di astensione obbligatoria o facoltativa dal lavoro non si computano ai fini della durata del periodo di apprendistato”.

L’unica scopertura a livello normativo per gli apprendisti duali riguardava esclusivamente gli ammortizzatori sociali e logica avrebbe voluto che la toppa si limitasse a tale mancanza.

 

Contratto a termine e proroga COVID-19: le difficoltà applicative

Come anticipato in premessa, le difficoltà nell’applicare la proroga automatica per i contratti a termine sono molto più consistenti, soprattutto perché rischiano di generare costi in più per le aziende e un inutile contenzioso, di cui si sarebbe fatto volentieri a meno.

La superficialità della disposizione in commento non tiene, infatti, conto della complessità della disciplina del contratto a termine, il cui utilizzo è costretto da un lungo elenco di vincoli: causali, limiti di durata quantitativi, divieti, numero massimo di proroghe, etc..

Detto che dovrebbe riguardare solo i contratti in essere al 19 luglio 2020, iniziamo ad affrontare le problematiche che tale proroga comporta.

La prima, in ordine di importanza, riguarda il fatto che la proroga dell’articolo 93, D.L. Rilancio, così come cesellata, non tiene conto che con la scadenza originaria del contratto potrebbe venir meno la ragione che ha determinato la sottoscrizione di quel contratto: il caso sicuramente più evidente riguarda i lavoratori stagionali e le assunzioni in sostituzione.

Se anche ho avuto delle sospensioni dell’attività, la stagione, per un motivo anche climatico, termina alla sua scadenza più o meno prevedibile, e il suo eventuale procrastinarsi non è figlio di quanto la mia attività è rimasta sospesa, ma di fattori esterni. Si pensi, con ragionamento del tutto sovrapponibile, alle sostituzioni: il rientro del lavoratore o della lavoratrice assente è fatto esogeno rispetto alla sospensione dell’attività; se terminano i congedi legati alla maternità il rientro, al di là che la sostituzione è generalmente costruita giuridicamente per far cadere il vincolo contrattuale al rientro dell’assente, farebbe venir meno ogni giustificazione al proseguimento del rapporto.

Il rischio è quello che il datore di lavoro debba sostenere costi di rapporti di lavoro mantenuti in vigenza vegetativa da una miope disposizione di Legge.

Ci si augura, quindi, che sia interpretata in modo estremamente stretto la portata della novità normativa, escludendo tutte le ipotesi in cui la proroga è oggettivamente impossibile – stagionali e sostituzioni – a meno che non si voglia sovvertire la ragione di quel contratto. O, meglio, si potrebbe sostenere che, se il contratto è sorretto da una causale (oltre alle 2 ipotesi sopra indicate, si pensi a un contratto a tempo determinato, superiore a 12 mesi), il venir meno di essa preclude la possibilità di proroga. Come ulteriore appiglio, si potrebbe sostenere che lo stesso Ministero del lavoro, con la circolare n. 17/2018, ha affermato che “la proroga presuppone che restino invariate le ragioni che avevano giustificato inizialmente l’assunzione a termine, fatta eccezione per la necessità di prorogarne la durata entro il termine di scadenza. Pertanto, non è possibile prorogare un contratto a tempo determinato modificandone la motivazione, in quanto ciò darebbe luogo ad un nuovo contratto a termine ricadente nella disciplina del rinnovo …”.

In questo modo, si potrebbero ritenere da prorogare soltanto i contratti acausali: ad ogni modo, la tassattività della norma lascia forti spazi di incertezza.

La stessa distinzione tra gli istituti della proroga e del rinnovo poggia più su chiarimenti di prassi che su norme chiare e precise. Il modificarsi della causale, inoltre, potrebbe creare problemi nel calcolo dei limiti quantitativi: da contratti da non computare (vedi stagionali e sostituzioni) nei limiti massimi dei contratti a termine, passerebbero ad essere computati?

Gli ulteriori dubbi riguardano l’applicabilità delle altre limitazioni previste per il contratto a tempo determinato, dove non si sa se prevale la norma speciale oppure se debba coordinarsi con la disciplina ordinaria.

Riguardo alla durata massima del rapporto (24 mesi), non vi è alcuna espressa deroga e, quindi, si potrebbe ritenere che i periodi di sospensione vi rientrino, così che, se il rapporto arrivasse alla durata massima di 24 mesi, non potrebbe essere prorogato di eventuali periodi di sospensione.

Ulteriore dubbio riguarda se tale proroga debba essere considerata nel numero massimo di proroghe, e sono perfettamente sostenibili sia la tesi a favore che quella contraria.

 

Difficoltà nell’interpretazione nella prassi ministeriale

A dimostrazione delle estreme difficoltà nell’interpretare tale disposizione, l’INL, con la nota n. 468/2020, ha rimandato la questione a un documento, in via di emanazione, congiunto con il Ministero del lavoro: “Sulla disposizione si fa riserva di fornire ulteriori indicazioni d’intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali anche in ragione delle ricadute che determina in particolare sulla restante disciplina in materia di contratti a tempo determinato”.

Parallelamente, sul sito del Ministero del lavoro, alla sezione Faq, si trovano recenti indicazioni non particolarmente illuminate: vengono inclusi nella proroga anche i lavoratori stagionali (addirittura si parla di tutti i rapporti di lavoro subordinato che non siano a tempo indeterminato: a parte il fatto che, ad essere sinceri, l’apprendistato è a tempo indeterminato e rientra nella proroga, prorogare rapporti di lavoro intermittente, senza poi l’obbligo di chiamata, non avrebbe alcun senso).

Particolarmente nefasta sembra essere, poi, la lettura data nelle Faq del periodo di sospensione, inteso come comprensivo sia dei periodi di fruizione di un ammortizzatore sociale COVID-19, sia dell’inattività del lavoratore, in considerazione della sua sospensione dall’attività lavorativa in ragione delle misure di emergenza epidemiologica da COVID-19 (ad esempio, fruizione di ferie).

Se il dato della norma è eccessivamente ampio, il Ministero (oltre a dare indicazioni mediante Faq solo dopo aver diramato la circolare ufficiale e firmata) dovrebbe provare a stringere un po’ le maglie, non ad aumentare la confusione, facendovi rientrare le ferie. Il termine generico “sospensione” apre, poi, la possibilità di estendere la proroga ad altri istituti legati all’emergenza COVID-19, come i congedi parentali o ex L. 104/1992, le malattie o le quarantene, gli infortuni da contagio.

Visto che poi il contenzioso si sviluppa nei Tribunali, dove la prassi ha un valore più che residuale, si spera che nell’annunciato ultimo D.L. prima della pausa estiva si vada a sanare una disposizione che non riesce a coordinarsi con le disposizioni ordinarie sul contratto a tempo determinato (nelle prime bozze pubblicate, purtroppo, non sembra essere stata colto il problema). Ad ogni modo, la mancata proroga si ritiene potrebbe solo avere conseguenze economiche, senza alcun effetto di trasformazione del rapporto.

 

Agenzie di somministrazione e rapporti di lavoro

Come detto, la proroga automatica opera anche in riferimento ai contratti a termine in regime di somministrazione di lavoro. Oltre ai dubbi sopra richiamati, perfettamente estensibili anche a tale fattispecie, si aggiungono le problematiche di un rapporto trilaterale, dove al contratto di lavoro si accompagna il contratto commerciale di somministrazione: la proroga riguarda anche quest’ultimo contratto? Se la risposta fosse positiva, gli utilizzatori sarebbero costretti a subire la proroga del rapporto; in caso negativo le conseguenze rimarrebbero esclusivamente in capo al somministratore.

In passato (si veda sempre la circolare n. 17/2018 del Ministero del lavoro) si è sostenuto, a livello di prassi, che il contratto commerciale di somministrazione vive in simbiosi con il contratto sottostante e, pertanto, in quest’ottica il contratto si prorogherebbe. Nelle recenti Faq del Ministero del lavoro si fa esclusivamente riferimento al contratto di lavoro, e nulla si dice del contratto commerciale: almeno a livello di prassi, come già scritto poche righe sopra, sarebbe auspicabile maggior coerenza interna e, quantomeno, evitare di diramare Faq prima di circolari esplicative.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.

 

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