19 Settembre 2019

La base imponibile contributiva nelle Gestioni degli autonomi: un caso particolare

di Roberto Lucarini

Data la frequenza con cui mi trovo a scrivere delle vicende legate alla contribuzione Inps autonomi, può essere che qualcuno pensi a una specie di mania o, peggio, di ossessione. Nulla di tutto questo, anche se confesso di non nutrire il massimo della simpatia verso il nostro Istituto previdenziale.

Se c’è qualcuno, invece, che continua imperterrito a seguire false piste, questo sembra proprio l’Inps; ultimamente, infatti, i Supremi giudici hanno nuovamente confutato una tesi dell’Istituto, stavolta sul tema del calcolo della base imponibile contributiva.

Vediamo il fatto, che riguarda una casistica particolare legata alla partecipazione di un soggetto in una Srl artigiana (ma un discorso analogo vale anche per l’attività commerciale).

Si tratta della sentenza 20 agosto 2019, n. 21540, dove è stata analizzata questa situazione: soggetto iscritto alla Gestione artigiana, perché operante in forma individuale, vanta anche una partecipazione in Srl, dove non svolge alcuna attività.

Il quesito, andando giù piatti, è il seguente: la base imponibile contributiva è formata solo dal reddito della sua impresa artigiana, ovvero ad esso deve sommarsi anche il reddito a lui attribuibile, pro quota, dalla Srl?

La tesi Inps propende, ovviamente, per l’estensione massima della base imponibile, specificando che il Legislatore, a partire dal 1993, ha richiamato a formare tale base la “totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono” (ex articolo 3-bis, D.L. 384/1992). Prima, infatti, la norma indicava, quale unico componente la base imponibile, il “reddito annuo derivante dalla attività di impresa che dà titolo all’iscrizione alla gestione, dichiarato ai fini Irpef, relativo all’anno precedente” (ex articolo 1, L. 233/1990).

Si noti che la tesi Inps era stata nel tempo avversata in vari giudizi di merito; ciò non aveva in alcun modo trasformato il modus operandi dell’Istituto.

Adesso anche la Suprema Corte si oppone al ragionamento dell’Inps e lo fa sulla base di una considerazione giuridica che, valutando la forma testuale della norma in vigore, non pone a mio avviso alcun dubbio.

Fanno notare i giudici di legittimità come, ai fini Irpef, tra i redditi d’impresa possono annoverarsi quelli derivanti dell’esercizio d’impresa individuale o dalla partecipazione a società di tipo personale (Snc, Sas). Quelli che possono pervenire al socio di una Srl, al contrario, rientrano tra quelli definiti di capitale; e questo non già per un vezzo dei contribuenti, ma in quanto così definiti ex articolo 44, Tuir.

Non essendo, quindi, tali redditi definibili “d’impresa”, essi non potranno entrare a far parte di quella “totalità” di tale forma reddituale richiesta dalla norma previdenziale. Per tale motivo, quindi, la risposta alla domanda per il caso specifico che ci siamo posti, secondo quanto si apprende dalla recente sentenza, è la seguente: la base imponibile contributiva è formata solo dal reddito della propria impresa artigiana, senza sommare ad esso anche il reddito attribuibile al soggetto, pro quota, dalla Srl.

Non sfugge la delicatezza della cosa, a chi si trova nella specifica situazione; l’inserimento o meno del reddito derivante dalla partecipazione in Srl, nella base imponibile contributiva, modifica talora in maniera sostanziale la contribuzione dovuta.

La decisione richiamata è, quindi, molto importante, anche se dubito che sia recepita dall’Inps, almeno finché non si giunga a un suo consolidamento. È pur vero che la condanna alle spese, come nel caso di specie, è una giusta arma per motivare un cambio di direzione da parte dell’Istituto. Non serve nemmeno proclamare presunte distinzioni che si potrebbero scorgere sul tema del reddito da Srl in altre situazioni. Finché la norma è scritta in questo modo, a mio parere, ogni discussione è vana.

 

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