La base imponibile contributiva nelle Gestioni degli autonomi: un caso particolare
di Roberto LucariniData la frequenza con cui mi trovo a scrivere delle vicende legate alla contribuzione Inps autonomi, può essere che qualcuno pensi a una specie di mania o, peggio, di ossessione. Nulla di tutto questo, anche se confesso di non nutrire il massimo della simpatia verso il nostro Istituto previdenziale.
Se c’è qualcuno, invece, che continua imperterrito a seguire false piste, questo sembra proprio l’Inps; ultimamente, infatti, i Supremi giudici hanno nuovamente confutato una tesi dell’Istituto, stavolta sul tema del calcolo della base imponibile contributiva.
Vediamo il fatto, che riguarda una casistica particolare legata alla partecipazione di un soggetto in una Srl artigiana (ma un discorso analogo vale anche per l’attività commerciale).
Si tratta della sentenza 20 agosto 2019, n. 21540, dove è stata analizzata questa situazione: soggetto iscritto alla Gestione artigiana, perché operante in forma individuale, vanta anche una partecipazione in Srl, dove non svolge alcuna attività.
Il quesito, andando giù piatti, è il seguente: la base imponibile contributiva è formata solo dal reddito della sua impresa artigiana, ovvero ad esso deve sommarsi anche il reddito a lui attribuibile, pro quota, dalla Srl?
La tesi Inps propende, ovviamente, per l’estensione massima della base imponibile, specificando che il Legislatore, a partire dal 1993, ha richiamato a formare tale base la “totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono” (ex articolo 3-bis, D.L. 384/1992). Prima, infatti, la norma indicava, quale unico componente la base imponibile, il “reddito annuo derivante dalla attività di impresa che dà titolo all’iscrizione alla gestione, dichiarato ai fini Irpef, relativo all’anno precedente” (ex articolo 1, L. 233/1990).
Si noti che la tesi Inps era stata nel tempo avversata in vari giudizi di merito; ciò non aveva in alcun modo trasformato il modus operandi dell’Istituto.
Adesso anche la Suprema Corte si oppone al ragionamento dell’Inps e lo fa sulla base di una considerazione giuridica che, valutando la forma testuale della norma in vigore, non pone a mio avviso alcun dubbio.
Fanno notare i giudici di legittimità come, ai fini Irpef, tra i redditi d’impresa possono annoverarsi quelli derivanti dell’esercizio d’impresa individuale o dalla partecipazione a società di tipo personale (Snc, Sas). Quelli che possono pervenire al socio di una Srl, al contrario, rientrano tra quelli definiti di capitale; e questo non già per un vezzo dei contribuenti, ma in quanto così definiti ex articolo 44, Tuir.
Non essendo, quindi, tali redditi definibili “d’impresa”, essi non potranno entrare a far parte di quella “totalità” di tale forma reddituale richiesta dalla norma previdenziale. Per tale motivo, quindi, la risposta alla domanda per il caso specifico che ci siamo posti, secondo quanto si apprende dalla recente sentenza, è la seguente: la base imponibile contributiva è formata solo dal reddito della propria impresa artigiana, senza sommare ad esso anche il reddito attribuibile al soggetto, pro quota, dalla Srl.
Non sfugge la delicatezza della cosa, a chi si trova nella specifica situazione; l’inserimento o meno del reddito derivante dalla partecipazione in Srl, nella base imponibile contributiva, modifica talora in maniera sostanziale la contribuzione dovuta.
La decisione richiamata è, quindi, molto importante, anche se dubito che sia recepita dall’Inps, almeno finché non si giunga a un suo consolidamento. È pur vero che la condanna alle spese, come nel caso di specie, è una giusta arma per motivare un cambio di direzione da parte dell’Istituto. Non serve nemmeno proclamare presunte distinzioni che si potrebbero scorgere sul tema del reddito da Srl in altre situazioni. Finché la norma è scritta in questo modo, a mio parere, ogni discussione è vana.
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Centro Studi Lavoro e Previdenza – Euroconference ti consiglia:
19 Settembre 2019 a 9:55
Buongiorno, nella sentenza viene confermata la tesi secondo la quale i redditi di partecipazione in una srl non sono da assoggettare a contribuzione ove non sia prestata attività lavorativa.
Si ritiene che la stessa regola possa applicarsi anche nell’ipotesi in cui un socio di snc già iscritto alle gestione commercianti ( e anche socio nella srl ) presti seppur marginalmente attività lavorativa nella srl ?
Esempio:
societa commerciale snc con tre soci iscritti alla gestione commercianti
gli stessi soci ( solo loro) compongono anche una srl immobiliare che ha affittato l’immobile- composto da diversi locali- a terzi e, in parte, alla stessa snc.
Per le operazioni amministrativo/gestionali della srl ( contatti con fornitori, clienti banche ecc.) potrebbe essere sufficiente stipulare un contratto di “service” con la snc commerciale, per contrastare la tesi dell’Inps e conseguentemente considerare redditi di capitale quelli conseguiti nella srl confermando la tesi della Cassazione 21540/2019 sulla non assoggettabilità ai fini previdenziali?
20 Settembre 2019 a 11:16
Ciao Marco,
il tuo caso è complesso e meriterebbe un approfondimento.
Direi, in sintesi, che la specifica Srl potrebbe rientrare nel concetto di società senza impresa, dato che si limita alla gestione (in locazione) di immobili. Il lavoro che viene svolto per la Srl, quindi, potrebbe essere inteso quale attività puramente amministrativa e non anche posta in essere in quanto socio.
Per il discorso, slegato dal tuo caso concreto, riguardante il socio che svolge una piccola parte di lavoro nella Srl, essendo il suo lavoro prevalente nella Snc, io sarei per un’interpretazione rigorosa della norma. Si tratta di totalità di redditi d’impresa e quello da Srl, al di là del lavoro svolto o meno, non lo è.
Come sai sono concetti in divenire e parecchio discussi.
Saluti.
Roberto