27 Luglio 2021

Avvertimento del Garante privacy alla Regione Sicilia: il green pass non è condizione di accesso al lavoro

di Redazione

Il Garante privacy, con provvedimento n. 273 del 22 luglio 2021, ha ribadito che le certificazioni attestanti l’avvenuta vaccinazione (e, non diversamente, la guarigione da COVID-19 o l’esito negativo di un test antigenico o molecolare) non possono essere ritenute una condizione necessaria per consentire l’accesso a luoghi o servizi o per l’instaurazione o l’individuazione delle modalità di svolgimento di rapporti giuridici, se non nei limiti in cui ciò è previsto da una norma di rango primario, nell’ambito dell’adozione delle misure di sanità pubblica necessarie per il contenimento del virus SARS-CoV-2. Il D.L. 52/2021, infatti, nel prevedere specifiche misure atte a ridurre il rischio di contagio in ambienti in cui si svolge anche l’attività lavorativa, non ha introdotto quella relativa al possesso di un attestato comprovante l’avvenuta vaccinazione o il risultato negativo di un test per COVID-19, pertanto il datore di lavoro non può trattare i dati relativi alla vaccinazione dei propri dipendenti (inclusa l’intenzione di aderire o meno alla campagna vaccinale).

Con il provvedimento n. 273/2021, il Garante “avverte” la Regione Sicilia evidenziando che l’ordinanza n. 75/2021 del Presidente delle Regione viola le norme sulla privacy dei lavoratori. L’ordinanza prevede, infatti, trattamenti di dati personali relativi allo stato vaccinale dei dipendenti pubblici e degli enti regionali, determinando limitazioni dei diritti e delle libertà individuali che possono essere introdotte solo da una norma nazionale di rango primario, previo parere dell’Autorità. Le disposizioni regionali prevedono che tutti i dipendenti a contatto diretto con l’utenza siano “formalmente invitati” a ricevere la vaccinazione e, in assenza di questa, assegnati ad altra mansione. Tali trattamenti relativi allo stato vaccinale del personale non previsti dalla legge statale, introducono, di fatto, un requisito per lo svolgimento di determinate mansioni su base regionale, generando una disparità di trattamento rispetto al personale che svolge le medesime mansioni sull’intero territorio nazionale.

 

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