4 Marzo 2021

Attività durante la Cassa integrazione: in assenza di comunicazione all’Inps si decade dal trattamento

di Luca Vannoni

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 3116 del 9 febbraio 2021, ricorda che il lavoratore sospeso decade dal trattamento di integrazione salariale nel caso in cui non comunichi all’Inps lo svolgimento di un’attività lavorativa, sia autonoma che subordinata. Appare, viceversa, sproporzionata la sanzione disciplinare del licenziamento.

Il caso affrontato dalla Suprema Corte riguarda il licenziamento per giusta causa irrogato a un dipendente, pilota di aereo, in quanto durante la sospensione dovuta a cassa integrazione aveva svolto attività lavorativa – non qualificabile come subordinata – in favore di altro datore di lavoro, in assenza di comunicazione o accordi, anche nei confronti dell’ente previdenziale. Era stato proprio quest’ultimo, notificando al datore di lavoro un verbale di accertamento sulla questione, a innescare il procedimento disciplinare.

Tuttavia, il tempo trascorso presso la compagnia aerea estera era stato ritenuto nei giudizi di merito come “periodo neutro”, finalizzato al mantenimento delle licenze e abilitazioni al volo: oltre a considerare illegittimo il licenziamento, ritenendo insussistente il fatto contestato (articolo 18, comma 4, L. 300/1970) e annullando il recesso, con condanna della società alla reintegra – a cui il lavoratore ha rinunciato in favore di 15 mensilità, a cui si aggiunge il risarcimento del danno quantificato in 12 mensilità dell’ultima retribuzione di fatto percepita, oltre alla regolarizzazione contributiva del periodo in cui il rapporto è stato interrotto – si precisava nel merito che proprio in virtù del carattere neutro del periodo svolto presso la compagnia aerea saudita, in assenza di formalizzazione di un rapporto contrattuale di natura subordinata, si “consentiva la cumulabilità del trattamento in Cigs con il reddito percepito dal dipendente durante il periodo”.

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ribalta l’esito del ricorso.

In particolare, si richiama quanto previsto dall’articolo 8, commi 4 e 5 (convertito in L. 160/1988), D.L. 86/1988, disposizione che, in primo luogo, stabilisce che il lavoratore che svolge attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto al trattamento per le giornate di lavoro effettuate. In secondo luogo, se il lavoratore omette di dare preventiva comunicazione alla sede Inps territoriale, decade dal diritto al trattamento di integrazione salariale (oggi il riferimento normativo è l’articolo 8, D.Lgs. 148/2015, il cui contenuto ricalca quasi perfettamente quanto previsto dal D.L. 86/1988).

Tornando al merito della questione, si ammette, quindi, lo svolgimento di altra attività, autonoma o subordinata, durante la sospensione, con cumulo parziale dei proventi di tali attività con l’integrazione salariale percepita, sempre che si sia proceduto preventivamente a informare l’Inps, pena la decadenza dal diritto all’integrazione salariale.

Riguardo agli aspetti disciplinari, la mancata comunicazione da parte del lavoratore è evidentemente un fatto verificatosi, centrale ed esplicitamente dettagliato nella lettera di contestazione, aspetto che fa emergere l’erronea applicazione nei gradi di merito della tutela reintegratoria sulla base dell’articolo 18, comma 4, L. 300/1970, norma che prevede la tutela reintegratoria (con risarcimento fino a 12 mensilità e contributi per il periodo di interruzione del rapporto) nel caso in cui risulti insussistente il fatto contestato.

La giurisprudenza di legittimità è oramai consolidata nel ritenere che può rilevarsi l’”insussistenza del fatto contestato”, in presenza di un fatto materialmente sussistente, solo ove lo stesso sia privo del carattere di illiceità (Cassazione n. 3655/2019, Cassazione n. 13383/2017, Cassazione n. 20540/2015).

In caso contrario, l’eventuale illegittimità del licenziamento deve essere valutata solo nell’ottica della proporzione tra la sanzione del licenziamento e il comportamento tenuto del lavoratore, come doveva essere fatto nel caso di specie.

L’indebita percezione dell’indennità di integrazione salariale in presenza di altri redditi dovuta al mancato obbligo informativo, pur non ritenuta dalla Corte fattispecie che integra una giusta causa di licenziamento, doveva, infatti, portare a un giudizio di proporzionalità, previsto dall’articolo 18, comma 5, L. 300/1970, il cui esito è esclusivamente una tutela indennitaria forte.

 

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