25 Novembre 2020

Articolare la flessibilità della prestazione lavorativa a livello individuale o aziendale: forme di flessibilità degli orari di ingresso al lavoro

di Dimitri Cerioli

Analizzando il tema della flessibilità appare evidente come non esista una definizione univoca di questo concetto nel diritto del lavoro: con questo termine si è soliti indicare la tendenza o il tentativo di allentare le rigidità della normativa su di un singolo istituto giuslavoristico. Gran parte del dibattito teorico, sociologico e politico relativo alla flessibilità nel diritto del lavoro, storicamente, si concentra sulla proliferazione delle tipologie contrattuali di lavoro subordinato atipiche. Per alcuni questa flessibilità si traduce in un’attenuazione delle tutele del lavoratore, per altri sfocia inevitabilmente in una vera e propria precarietà: il lavoro a tempo parziale, a tempo determinato, la somministrazione di lavoro, le 3 tipologie di apprendistato, il lavoro intermittente, introdotte prima col D.Lgs. 276/2003, sono state in seguito confermate e riformate dal D.Lgs. 81/2015. È evidente come la flessibilità concentrata sulle forme contrattuali sia il contrappeso alla rigidità delle norme previste in materia di licenziamento illegittimo, all’interno di un mercato del lavoro poco dinamico come quello italiano.

Esiste, però, anche un’ulteriore accezione del termine flessibilità nel diritto del lavoro, che attiene alla possibilità delle parti contrattuali di allentare le rigidità degli istituti relativi allo svolgimento del rapporto di lavoro. Con il presente articolo si inaugura una serie di interventi sul tema, partendo dall’orario di lavoro.

 

Premessa

Prendendo a riferimento il momento in cui si attiva si potrebbe definirla flessibilità endocontrattuale, per contrapporla a quella precontrattuale, che incide sulla fase preventiva della scelta della tipologia contrattuale da utilizzare. È una flessibilità che non viene osteggiata dalle parti sociali, che non è terreno di scontro e che ha come obiettivo, da un lato, il miglioramento delle condizioni di lavoro dei lavoratori al fine di conciliare i tempi di vita e di lavoro, dall’altro, il favorire una maggiore competitività dei datori di lavoro. Questa flessibilità è potenzialmente riferibile a tutte le forme contrattuali di lavoro subordinato, comprese quelle atipiche, e interviene prevalentemente su questi istituti:

  • forme di flessibilità degli orari di ingresso al lavoro;
  • forme di flessibilità degli orari settimanali di lavoro;
  • forme di flessibilità in caso di maternità e congedi parentali;
  • il lavoro a distanza e lavoro agile o smart working;
  • la regolamentazione delle forme di lavoro atipiche: lavoro a tempo parziale, a tempo determinato, in somministrazione, intermittente;
  • le ferie solidali;
  • la formazione come strumento per consentire una maggiore flessibilità dei lavoratori;
  • la flessibilità delle mansioni.

La fonte normativa di questa flessibilità è quasi sempre il contratto collettivo, in particolare quello di secondo livello, sia esso territoriale o aziendale. Non vi sono norme di Legge a essa specificamente dedicate. L’articolo 9, L. 53/2000, finalizzato a promuovere azioni volte a conciliare tempi di vita e tempi di lavoro, si limita a destinare fondi per l’erogazione di contributi in favore di datori di lavoro che attuino accordi contrattuali che promuovano e incentivino azioni volte a conciliare tempi di vita e tempi di lavoro. Si lascia alle parti sociali il compito di regolamentare la flessibilità, indicando solo gli istituti su cui intervenire per introdurre azioni positive:

  • forme di flessibilità degli orari e dell’organizzazione del lavoro, orario flessibile in entrata o in uscita, su turni e su sedi diverse, orario concentrato;
  • part-time reversibile;
  • telelavoro e lavoro a domicilio;
  • banca delle ore;
  • programmi e azioni volti a favorire il reinserimento delle lavoratrici e dei lavoratori dopo un periodo di congedo parentale;
  • misure per conciliare tempi di vita e tempi di lavoro.

In modo molto innovativo, già vent’anni fa si promuoveva l’idea di poter prevedere negli accordi l’applicazione di sistemi innovativi per la valutazione della prestazione e dei risultati in aggiunta alle forme di flessibilità degli orari di lavoro e dell’organizzazione del lavoro. Regioni, Provincie, Comuni e altri enti locali, in questi anni, hanno utilizzato tali fondi per promuovere progetti attraverso bandi.

Ad oggi, gli strumenti giuridici attraverso cui introdurre la flessibilità nei contratti collettivi di secondo livello sono sostanzialmente 2:

  1. la contrattazione di prossimità ex articolo 8, D.L. 138/2011;
  2. gli accordi interconfederali, quali ad esempio quello del settore industriale del 28 giugno 2011.

Al di là dei tecnicismi nei contratti collettivi troviamo 2 modalità di intervento:

  • su sollecitazione da parte del Legislatore con la tecnica dell’integrazione del precetto normativo primario attraverso il ricorso, con varie modalità, alla fonte contrattuale collettiva;
  • su sollecitazione autonoma delle parti sociali stipulanti il contratto collettivo.

Con particolare riferimento alla seconda casistica, analizzando il contenuto dei contratti collettivi, appare evidente la tendenza a filtrare l’interpretazione delle norme e a integrarla, spesso in modo creativo, privilegiando alcuni aspetti o interpretazioni di una determinata normativa, attribuendosi il potere di interpretare la norma in modo più flessibile al fine di contemperare degli interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori o adeguarsi alle specificità del comparto produttivo. Questo consente alle parti stipulanti di bilanciare gli interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori, ma anche di adeguarsi alle specificità del comparto produttivo. È evidente che in questo caso occorre porre molta attenzione a che le previsioni contrattuali non siano in contrasto con le norme di Legge. Evento che potrebbe verificarsi, ad esempio, nel corso del tempo, quando l’emanazione di nuove norme finisce per rendere le previsioni contrattuali obsolete o non compatibili con il nuovo contesto giuridico. La continua riscrittura delle norme di Legge nel corso degli anni spesso comporta un lavoro di esegesi difficile: in questi casi non sempre si riesce a stabilire se le previsioni contenute nei contratti collettivi stipulati prima dell’entrata in vigore di una norma, con riferimento al previgente quadro normativo, mantengano la loro validità.

In questo articolo cercheremo di concentrare la nostra attenzione sulle forme di flessibilità degli orari di ingresso al lavoro contenute nei contratti collettivi di lavoro. Seguiranno poi ulteriori interventi relativi agli altri aspetti della flessibilità evidenziati in precedenza.

La normativa relativa all’orario di lavoro è contenuta nel D.Lgs. 66/2003. Questo è uno degli esempi in cui è abbondante l’utilizzo del meccanismo di delega alla contrattazione collettiva a integrare le previsioni di Legge. Gli aspetti relativi a:

  • orario normale di lavoro;
  • durata massima dell’orario di lavoro;
  • lavoro straordinario;
  • pause;
  • ferie;
  • lavoro notturno;

sono tutti integrabili o disciplinabili, per espressa previsione di Legge, dai contratti collettivi.

La parola flessibilità nel D.Lgs. 66/2003 non è presente, eppure l’orario di lavoro è uno degli strumenti più utilizzati per rendere flessibile la prestazione di lavoro. L’orario di lavoro è fissato su base settimanale. Non esiste una definizione di orario di lavoro giornaliero, se non rilevabile per differenza tra le 24 ore totali e le ore di riposo giornaliero continuativo pari a 11 ore.

Chi stabilisce l’orario di lavoro? Quando inizia l’orario di lavoro? Come si computa l’orario di lavoro? Come è possibile flessibilizzare l’orario di lavoro al fine di conciliare i tempi di vita e di lavoro?

 

La determinazione dell’orario di lavoro

A partire dal 2003 non è più obbligatoria per Legge l’esposizione della tabella dell’orario di lavoro in azienda. L’orario di lavoro è stabilito dalle parti alla stipula del contratto di lavoro individuale. Nella prassi, la forma comune con cui viene predisposto un contratto di lavoro è la lettera di assunzione, consegnata dal datore di lavoro al lavoratore, dopo una “trattativa” precontrattuale che non sempre vede i lavoratori quali parti particolarmente attive. La Direttiva 533/1991, attuata dal nostro Legislatore con il D.Lgs. 152/1997 disciplina oggi l’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore sulle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro[1].

L’individuazione precisa, sulla lettera d’assunzione, della dislocazione oraria della prestazione lavorativa, permette al datore di lavoro di fissare l’obbligo di presenza sul posto di lavoro del dipendente. Per i lavoratori con contratto a tempo pieno non è obbligatorio indicare in modo puntuale l’articolazione dell’orario di lavoro. Tale obbligo è previsto solo per contratti di lavoro a tempo parziale, per i quali è necessario indicare sia la durata della prestazione sia la precisa collocazione oraria all’interno del periodo di riferimento, tipicamente: la settimana, ma anche il mese o l’anno in alcuni casi.

Qualora il datore di lavoro applichi un contratto collettivo di lavoro, ovviamente, oltre alle limitazioni previste dalla norma di Legge, sarà soggetto alle previsioni di questo.

I Ccnl prevedono generalmente indicazioni precise sulla durata a livello settimanale o multiperiodale. Ove presenti, i contratti collettivi aziendali potrebbero contenere previsioni in merito alla collocazione dell’orario di lavoro in modo più puntuale. A livello aziendale, un ulteriore strumento utilizzato a tal fine potrebbe essere il regolamento interno. Questi 2 strumenti possono entrare nel dettaglio della collocazione oraria, introducendo regimi di flessibilità che quasi sempre tendono a favorire, per i lavoratori, un’entrata o un’uscita che consenta la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Alcuni esempi concreti di contratti collettivi nazionali e di secondo livello possono essere di aiuto a comprendere alcuni aspetti relativi alla disciplina dell’orario di lavoro e alle possibilità concrete di flessibilità ad esso connesse.

Nel Ccnl Metalmeccanica industria, nel Titolo III – Orario di lavoro, all’articolo 1 si prevede che l’entrata e l’uscita dei lavoratori dall’azienda sia regolata dalle disposizioni aziendali, che dovranno definire l’orario di accesso allo stabilimento e quello di inizio del lavoro. All’inizio dell’orario di lavoro, il lavoratore dovrà trovarsi al suo posto per iniziare il lavoro. In sede aziendale potranno essere definiti sistemi di flessibilità in entrata e in uscita dell’orario di lavoro giornaliero.

Esempi di regolamentazione aziendale nel rispetto dei principi delineati dal Ccnl possono essere i seguenti.

Nel primo esempio viene concessa la flessibilità a tutta la popolazione aziendale, con l’esclusione di alcuni addetti a particolari attività di contatto con il pubblico/clientela o di supporto ai colleghi.

Fac simile – Concessione della flessibilità a eccezione di alcune attività
I lavoratori full time non legati all’erogazione dei servizi di customer care o di supporto alle attività aziendali potranno usufruire di un’elasticità oraria che prevede:

− almeno 6 ore di presenza minima giornaliera tra le 8:00 e le 20:00;

− ingresso entro le 10:00, salvo fasce stabilite nell’ambito del gruppo di lavoro per esigenze di continuità;

− pausa pranzo minima di 30 minuti compresa nella fascia 12:00 – 15:00.

In alcune aree aziendali potrà essere consentito l’accesso sin dalle ore 7:30.

Oppure più semplicemente:

Fac simile – Concessione della flessibilità in entrata
L’orario normale di lavoro è fissato in 40 ore settimanali per 5 giorni lavorati dal lunedì al venerdì. Il lavoro ordinario si svolge dalle 8:15 alle ore 17:15, con un intervallo di 60 minuti usufruibile tra le 12:30 e le ore 14:30.

È prevista un’ora di flessibilità in entrata, con conseguente slittamento dell’orario di uscita. Per il personale in part-time è prevista, nella stessa fascia oraria, una pausa pranzo fruibile in 30 minuti.

In alternativa, potrebbe esser data la facoltà di anticipare l’inizio dell’orario di lavoro, magari prevedendola in modo diverso tra reparti produttivi e uffici amministrativi:

Fac simile – Concessione di anticipare l’inizio dell’orario di lavoro
Le parti stabiliscono la possibilità di avvalersi, a livello individuale, di un anticipo di mezz’ora ora dell’orario di ingresso rispetto agli orari di lavoro standard vigenti.

Oppure

Fac simile – Concessione flessibilità diversificata per reparti produttivi
L’azienda consente una flessibilità in ingresso, in uscita e per pausa pranzo per il personale impiegatizio, allo scopo di migliorare le necessità familiari. Questa libertà è da concordarsi sempre con i responsabili e potrà essere effettuata nei seguenti orari:

Stabilimento:

− ingresso: compreso nella fascia dalle ore 7:30 alle 9:30;

− in pausa pranzo: durata compresa tra un minimo di 30 minuti fino a un massimo di un’ora compresa nella fascia oraria 12:30-14:30;

− uscita: compresa nella fascia dalle ore 16:30 alle ore 18:00.

Uffici amministrativi:

− possibilità di fruire della pausa pranzo di durata fino a un massimo di 2 ore comprese nella fascia oraria dalle ore 12:00 alle ore 14:30.

La flessibilità verrà garantita nel rispetto delle esigenze del reparto/ufficio di appartenenza, concordandola con i relativi responsabili e rispettando le regole di sicurezza.

In alcuni casi la flessibilità potrebbe essere declinata con una sorta di bonus una tantum settimanale:

Fac simile – Concessione flessibilità di un’ora alla settimana
Le parti prevedono la possibilità di gestire un’ora alla settimana come ora in più da utilizzare come compensativo per eventuali recuperi in un altro giorno della settimana.

Spesso e volentieri si ritiene compatibile la possibilità di flessibilizzare l’orario di lavoro solo per il personale impiegatizio; in realtà vi sono esempi virtuosi di applicazione di queste possibilità nel settore industriale, per i reparti produttivi. Viene a tal proposito spesso citato il contratto integrativo Ducati Motor, che contiene un programma di work life balance già dal 2018 per la sperimentazione di forme di elasticità e di flessibilità di orario anche nelle linee produttive, organizzandola per gruppi/reparti/team omogenei di lavoro.

 

Il computo dell’orario di lavoro

Secondo il D.Lgs. 66/2003, è compreso nell’orario di lavoro qualsiasi periodo in cui:

  • il lavoratore sia al lavoro;
  • a disposizione del datore di lavoro;
  • nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni.

Non sempre viene definita nei contratti collettivi quando inizia l’attività di lavoro. Le attività di vestizione e di svestizione da sempre sono oggetto di vertenze giudiziali e contrattuali, l’argomento meriterebbe una trattazione approfondita e autonoma, che esula dal presente contributo[2]. In linea generale, il c.d. tempo tuta va incluso nell’orario di lavoro solo se il datore ha imposto al lavoratore di indossare determinati indumenti da lui stesso forniti, con il vincolo di tenerli sul posto di lavoro. Viceversa, non è riconducibile all’orario di lavoro l’ipotesi in cui i lavoratori non siano obbligati a indossare la divisa in azienda e non abbiano l’obbligo di dismetterla alla fine dell’orario, lasciandola in sede. In tali ultime ipotesi, infatti, il lavoratore resta libero di scegliere il tempo e il luogo dove indossare la divisa, ben potendo decidere di effettuare tale operazione presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro (Ministero del lavoro, interpello n. 1/2020).

Nel Ccnl Gomma e plastica industria, all’articolo 47, parte seconda, l’inizio e la fine del lavoro sono regolati in modo dettagliato:

– il primo segnale è dato 20 minuti prima dell’ora fissata per l’inizio del lavoro e significherà l’apertura dell’accesso allo stabilimento;

– il secondo segnale è dato 5 minuti prima dell’ora fissata per l’inizio del lavoro;

– il terzo segnale è dato all’ora precisa per l’inizio del lavoro ed in tale momento il lavoratore deve trovarsi al suo posto di lavoro.

(…) La cessazione del lavoro è annunciata da un unico segnale: nessun lavoratore potrà cessare il lavoro prima dell’emissione del segnale stesso”.

Un’ulteriore problematica relativa al computo dell’orario di lavoro riguarda la determinazione dello stesso mediante l’utilizzo di orologi marcatempo o altri strumenti di rilevazione dell’orario di lavoro. Anche in questo caso i Ccnl, in alcuni casi, contengono delle prescrizioni vincolanti.

Nel Ccnl Gomma e plastica industria il conteggio delle ore di lavoro è effettuato a partire da mezz’ora dopo l’orario normale di ingresso nello stabilimento, sempreché il ritardo non superi la mezz’ora stessa.

Lo stesso viene previsto nel Ccnl Ceramica industria, all’articolo 24: “Al lavoratore ritardatario il conteggio delle ore di lavoro sarà effettuato a partire da mezz’ora dopo l’orario normale d’ingresso nello stabilimento, sempreché il ritardo non superi la mezz’ora stessa”, ma anche nel Ccnl Chimica industria.

La soluzione adottata nel Ccnl Metalmeccanica industria è diversa: “al ritardatario il conteggio delle ore di lavoro sarà effettuato a partire da un quarto d’ora o mezz’ora dopo l’inizio dell’orario di lavoro che avrebbe dovuto osservare, a seconda che il ritardo sia compreso nei primi 15 minuti o oltre i 15 e fino ai 30”.

In modo simile il Ccnl Lapidei PMI Confapi dispone, all’articolo 63:

L’inizio dei lavori potrà essere regolato come segue:

  1. il primo segnale è dato 20 minuti prima dell’ora fissata per l’inizio del lavoro e significherà l’apertura dell’accesso allo stabilimento;
  2. il secondo segnale è dato 5 minuti prima dell’ora fissata per l’inizio del lavoro;
  3. il terzo segnale è dato all’ora precisa dell’inizio del lavoro ed in tale momento il lavoratore deve trovarsi al suo posto di lavoro.

La cessazione del lavoro è annunciata da un unico segnale.

Al ritardatario il conteggio delle ore di lavoro sarà effettuato a partire da 15 minuti dopo l’orario normale di ingresso nello stabilimento, sempreché il ritardo non superi il quarto d’ora stessa. Aziendalmente potranno essere concordate tra Direzione e Rsu normative diverse”.

Nell’esempio che segue si evidenzia come anche questo aspetto possa essere oggetto di contrattazione integrativa aziendale/regolamento aziendale in relazione alla flessibilità:

Fac simile – Flessibilità dell’orario di lavoro: timbrature e arrotondamenti
Pur confermando la flessibilità prevista a livello aziendale/di reparto, a prescindere dall’orario di lavoro applicato a livello individuale, l’arrotondamento delle timbrature verrà così determinato:

Timbrature effettuate all’interno delle fasce di flessibilità: arrotondamento al minuto

oppure

Timbrature effettuate all’interno delle fasce di flessibilità: arrotondamento ai 15 minuti successivi, comprese quelle fatte al rientro della pausa pranzo

Con riferimento all’orario di uscita, invece, spesso ci si deve confrontare su come determinare le prestazioni di lavoro straordinario. Spesso i Ccnl nulla dispongono in merito. Un regolamento aziendale o un contratto integrativo potrebbero intervenire prevedendo che:

Fac simile – Determinazione lavoro straordinario
Per lavoro straordinario si intende la prestazione aggiuntiva rispetto alle 40 ore settimanali, richiesta e autorizzata dal responsabile del reparto. La durata minima della prestazione è di 15/30 minuti continuativi prima o dopo l’orario di servizio.

Oppure:

Fac simile – Determinazione lavoro straordinario
Fermo restando l’orario di lavoro settimanale definito dall’articolo ______ del Ccnl ______, le prestazioni straordinarie saranno retribuite mensilmente con le maggiorazioni previste all’articolo ______ del presente Ccnl, operando con le modalità di seguito indicate:

ai fini della corresponsione, nella sommatoria risultante dal computo complessivo settimanale, la frazione di ora sino a 29 minuti si arrotonda a 30 minuti; la frazione di ora superiore a 30 minuti si arrotonda a un’ora.

 

[1] Si segnala che nella G.U.U.E: è stata pubblicata la Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 1152/2019, entrata in vigore il 31 luglio 2019, che dovrà essere recepita da tutti gli Stati membri entro il 1° agosto 2022, che in parte modifica questo adempimento.
[2] Si veda in proposito: L. Gracci, Tempo tuta e orario di lavoro alla luce del potere direttivo, in “Il giurista del lavoro” n. 8-9/2018.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Strumenti di lavoro“.

 

Centro Studi Lavoro e Previdenza – Euroconference ti consiglia:

Lavoro non subordinato: collaboratori, soci e amministratori