Ammortizzatori: dalla politica difensiva del reddito a quella attiva del lavoro
di Alessandro Rapisarda
Risentendo, soltanto in parte, delle indicazioni delle Commissioni Parlamentari di Camera e Senato, a cui è stato sottoposto dal 15 giugno scorso per l’esame in sede consultiva, il D.Lgs. n.148/15 (G.U. n.221/15, S.O. n.53), recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in deroga in costanza di rapporto di lavoro, in attuazione della L. n.183/14, ha posto il primo suo vagito nell’ordinamento il 24 settembre 2015.
L’articolato legislativo permette di dare completa attuazione all’art.1, co.1, Legge delega, che affidava all’Esecutivo il compito del riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali, tenuto conto delle peculiarità dei diversi settori produttivi, con riferimento sia agli strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro (art.1, co.2, lett.a), L. n.183/14) che a quelli di sostegno in caso di disoccupazione involontaria (art.1, co.2, lett.b), L. n.183/14). Doverosamente, per poter avere una visione d’insieme del meccanismo legislativo e della portata della riforma in materia di ammortizzatori sociali, dato anche l’incisività sulla materia del sostegno al reddito in costanza e al di fuori del rapporto di lavoro, il nuovo decreto deve essere correlato al D.Lgs. n.22/15, recante “Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, oltre che al D.Lgs. n.149/15, recante “Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive”.
Diversamente dagli altri decreti delegati attuativi della L. n.183/14, il combinato disposto di questi testi legislativi, a parere di chi scrive, può concretamente qualificare una vera e propria rivisitazione di tutti gli istituti inerenti la sfera degli ammortizzatori sociali, in una prospettiva di riordino, rinnovamento – per non dire di modificazione sostanziale – e adeguamento ai tempi, a cui è seguita l’abrogazione esplicita o implicita di tutte le norme contrastanti con la novella.
Senza scendere in un giudizio qualificatorio, qui il Legislatore non si è limitato a “spostare qualche mobile” e a togliere un po’ di “polvere”, ma ha concretamente riscritto e coordinato delle norme. Un’opera che non è soltanto una radicale razionalizzazione e un riordino della materia, per garantirne una coerenza logica e di sistema, attraverso la collocazione in un unico testo di legge, in termini coordinati, delle diverse disposizioni riferite ai vari strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro – cassa integrazione ordinaria e straordinaria, contratti di solidarietà e fondi di solidarietà bilaterali – ma, soprattutto, realizza una forte disincentivazione al ricorso agli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, mitigandone gli effetti della spesa sulle casse delle Stato.
Un elemento di novità contenuto nel decreto è l’evidente prospettiva di impulso verso politiche del lavoro, non solo difensive, ma anche attive. Proprio nella parte generale della norma, che va dall’art.1 all’art.8 e che regola alcune norme comuni riferibili a tutti gli ammortizzatori sociali ivi contemplati, il Legislatore inserisce la norma finalizzata all’attuazione di politiche attive del lavoro in seno alle sospensioni o riduzioni di orario di lavoro, alla stregua di applicazione di strumenti di ammortizzazione sociale.
In tal senso, fatto salvo il riconoscimento dell’accreditamento della contribuzione figurativa per i periodi di sospensioni o riduzioni dell’orario superiori al 50% dell’orario di lavoro che avrebbe svolto il lavoratore, ai sensi dell’art.8, D.Lgs. n.148/15, i beneficiari delle integrazioni salariali per i quali, ab initio, siano programmate una sospensione o una riduzione di orario superiore al 50% di quello contrattuale, calcolato in un periodo di 12 mesi, sono soggetti alle disposizioni di cui all’art.22 del decreto politiche attive (D.Lgs. n.150/15), adottato in attuazione dell’art.1, co.3, L. n.183/14, per il riordino della normativa in materia di servizi per l’impiego e di politiche attive.
Con tale logica, i lavoratori richiamati saranno convocati, in orario compatibile con la prestazione lavorativa, dal Centro per l’impiego per la stipula di un patto di servizio personalizzatom, ex art.20 del decreto politiche attive. All’interno del patto, tra l’altro, il lavoratore dovrà confermare la propria disponibilità:
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alla partecipazione a iniziative e laboratori per il rafforzamento delle competenze nella ricerca attiva di lavoro quali, in via esemplificativa, la stesura del curriculum vitae e la preparazione per sostenere colloqui di lavoro o altra iniziativa di orientamento;
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alla partecipazione a iniziative di carattere formativo o di riqualificazione o ad altre iniziative di politica attiva o di attivazione;
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all’accettazione di congrue offerte di lavoro, come definite ai sensi dell’art.25 del decreto.
Come previsto dall’art.22, co.3 del decreto politiche attive, allo scopo di mantenere o sviluppare le competenze in vista della conclusione della procedura di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa e in connessione con la domanda di lavoro espressa dal territorio, il patto di servizio personalizzato può essere stipulato, sentito il datore di lavoro e con l’eventuale concorso dei fondi interprofessionali per la formazione continua, ex art.118, L. n.388/00, e il beneficiario del sostegno può essere avviato alle attività previste dal patto di servizio o a quelle socialmente utili. Giusto per promemoria, ai sensi dell’art.26, co.1 del decreto sulle politiche attive, per attività socialmente utili si individuano quelle poste in essere dal lavoratore a fini di pubblica utilità a beneficio della comunità territoriale di appartenenza, svolte sotto la direzione e il coordinamento di Amministrazioni pubbliche di cui all’art.1, co.2, D.Lgs. n.165/01, nel territorio del comune ove sia residente.
I lavoratori che non si conformeranno alle disposizioni in materia di condizionalità e politiche attive, richiamate dall’art.8 del decreto ammortizzatori, saranno assoggettati a sanzioni economiche consistenti nella progressiva decurtazione del beneficio e, nei casi più gravi, nella sua decadenza. I lavoratori che svolgono attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale perderanno il diritto al trattamento per le giornate di lavoro effettuate, fermi restando gli obblighi di comunicazione all’Inps.
Le nuove potenziali dinamiche contenute nel D.Lgs. n.148/15 si collocano molto bene, per intenzioni, in un mercato del lavoro che ha bisogno di impulsi legislativi volti alla ricollocazione oltre che alla difesa del reddito perso. Si rimane però perplessi sulle modalità e, soprattutto, sugli strumenti di politiche attive scelti dal Legislatore. Bisogna capire se i centri per l’impiego, tenuto conto della nuova organizzazione delle politiche attive e dei servizi per il lavoro prevista nel D.Lgs. n.150/15 e in attesa di attuazione, saranno capaci di svolgere il duplice ruolo di tutoraggio e controllo, ma soprattutto se avranno le competenze per instradare i lavoratori in una nuova logica del lavoro, che non può più essere solo cercato ma costruito con nuove competenze.