Altrimenti ci arrabbiamo
di Riccardo GirottoIl primo blog del nuovo anno non può esimerci dal rassegnare gli innumerevoli temi introdotti e rivitalizzati dal consueto combinato Legge di Bilancio-Decreto Milleproroghe. Alcuni di questi scontano la necessaria trattazione sommaria, perché dettati dal rischio esercizio provvisorio che poneva il nostro Governo nella scomoda posizione di Damocle, altri paiono più freschi, ma ancora lontani da ottiche riformatrici.
Nulla di questo sorprende. Non solo i tecnici, ma anche coloro che si limitano ad accarezzare il diritto del lavoro, ben comprendono come un Esecutivo appena insediato non possa certo puntare in pochi mesi alla rivoluzione; un programma solido richiede del tempo, tempo che al momento non c’è stato.
Prima dei punti salienti, però, è bene richiamare ciò che manca, perché l’assuefazione data dalla nomina del nuovo Ministro del lavoro ha fatto sperare nella revisione dei temi più spinosi nel minor tempo possibile. Dobbiamo, invece, affermare come fosse ovvio sorvolare su aspetti che nel corso del 2022 hanno ostacolato il nostro lavoro, perché dedicare il tempo necessario agli aspetti importanti è segno di competenza, non certo di lassismo. Ecco che trasparenza, contratti a termine e, udite udite, rappresentanza, non potevano certo essere rivoltati in un superficiale passaggio di fine anno, peraltro con gli strumenti di chiusura quali Bilancio e Milleproproghe, che in passato, quando utilizzati in ottica riformatrice, lo sono stati a sproposito, creando danni tutt’ora gravanti sulla nostra attività. Si pensi alla previdenza complementare, presuntuosa azione introdotta dalla Finanziaria per il 2007 o alla revisione degli ammortizzatori sociali con spirito universalistico, introdotta in modo colpevolmente scoordinato dalla Legge di Bilancio per il 2022.
Il modus operandi di questo Governo in ambito lavoristico, pertanto, è stato realista e, in prima battuta, responsabile.
Scendendo al cuore delle previsioni, un punto cruciale riguardava sicuramente l’alleggerimento del cuneo fiscale. Con tale termine si intende inquadrare il gap tra costo del lavoro e reddito netto del dipendente, pertanto, ogni intervento legislativo appare sicuramente neutro laddove negli accordi tra le parti viga lo sconsigliabile vincolo del netto garantito. Nei rapporti regolati, invece, da retribuzioni contrattuali, il previsto taglio della contribuzione a carico dipendente, incrementato rispetto al 2022 al 3% per i redditi fino a 25.000 euro e al 2% per quelli fino a 35.000 euro, reca possibile vantaggio ai percettori senza ridurre il costo, pertanto cuneo ridotto, ma costo del lavoro invariato. Il vantaggio, peraltro, per essere apprezzato dovrà riconciliare la riduzione contributiva con lo scontato incremento dell’imponibile fiscale, pertanto, per gioire si dovrà attendere il ricalcolo dell’imposta.
Non si può, invece, parlare di intervento sul cuneo segnatamente alla riduzione di aliquota, dal 10 al 5%, per gli importi premiali (c.d. detassazione), in quanto l’incremento del valore netto del premio si propaga su valori solo eventuali di retribuzione, peraltro dipendenti da andamenti aziendali positivi legati a previsioni contrattualcollettive, requisiti severi e circoscritti a casistiche specifiche. Rileva, inoltre, come tale riduzione di aliquota, per contro, limita fortemente l’opzione alternativa verso il welfare, ove prevista.
L’incremento delle agevolazioni alle assunzioni aiuta, ma rimanendo imbrigliato nel paradossale veto unionale, al momento può rivestire il ruolo di un mero proposito. Di sicuro le nuove assunzioni non possono dirsi agevolate di default e questo limita drasticamente chi condiziona l’incremento occupazionale al possibile costo agevolato.
La revisione, promessa, del controverso Reddito di cittadinanza porta con sé la previsione di un nuovo incentivo, fatto che potrà sicuramente incrementare le assunzioni, ma in un’ottica, come quella attuale, dove la richiesta di risorse non riesce a essere soddisfatta, andrà coniugata necessariamente con le operazioni di controllo dei percettori e rafforzamento delle condizionalità.
Tramite il rinnovo fiduciario al lavoro accessorio capiremo finalmente se trattasi di un’opzione occupazionale non compresa appieno o semplicemente di un caso di Legislatore testardo. Fatto sta che la struttura, salvo nei limiti di utilizzo, non muta di molto. Anche qui il tempo risicato non ha agevolato gli estensori della Legge di Bilancio, avrà, quindi, tempo il Legislatore di mettere in discussione l’efficacia della misura e scovare eventualmente vie alternative.
Simpatica l’ulteriore proroga della cassa integrazione per cessazione attività, misura a suo tempo abrogata perché invisa alla ratio del Jobs Act ispiratrice del D.Lgs 148/2015, ma di fatto continuamente rifinanziata tramite misure ad hoc fino a privare definitivamente il citato decreto riformatore di ogni residuo ispiratore. L’attuale presidio normativo è datato 2018 e la proroga in essere prevede ulteriori 12 mesi di trattamento.
Anche il Milleproroghe propone la propria buona dose di insistenza, tirando la giacchetta ai Fondi di solidarietà bilaterali, senza precisare, ancora una volta, quale interesse dovrebbe attrarli per adeguarsi a un sistema che ne commissaria sempre più radicalmente la gestione.
Dulcis in fundo, lo slittamento della riforma del lavoro sportivo, punto dolente perché trattasi di ennesima, consecutiva, proroga al fotofinish. Se davvero tale proroga si lega al coordinamento con le stagioni sportive, e se davvero tutto ciò sarà accompagnato dal coordinamento con la normativa fiscale, possiamo mantenere viva la speranza, altrimenti … altrimenti ci arrabbiamo.
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