Agenzia delle entrate: istruzioni operative circa il nuovo concetto di domicilio fiscale
di Michele Donati Scarica in PDFL’Agenzia delle entrate ha pubblicato la circolare n. 20/E del 4 novembre 2024, con la quale vengono fornite indicazioni operative in tema di residenza fiscale delle persone fisiche, sulla scorta del dettato del D.Lgs. 209/2023, e, più in particolare, rispetto alla novella apportata all’articolo 2, comma 2, Tuir.
Tale modifica si colloca da un lato in discontinuità rispetto al precedente impianto normativo interno e, dall’altro, va, invece, nella direzione tracciata dalle c.d. convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni (e quindi converge verso l’orientamento Ocse) in molti casi sottoscritti dall’Italia, congiuntamente con altri Stati, al fine di attenuare l’effetto del prelievo fiscale al ricorrere di fattispecie di transnazionalità.
Tale condizione si realizza nel momento in cui il medesimo soggetto (passivo di imposta) produce redditi in 2 o più Stati e, al contempo, non presenta una lineare e univoca attrazione nel sistema fiscale di un Paese.
La centralità di tale definizione è da rintracciarsi nella necessità di individuare in maniera univoca un Paese nei confronti del quale il contribuente è soggetto passivo per le imposte che si riferiscono ai redditi ovunque prodotti.
Il combinato disposto tra normativa interna (nel nostro caso il Tuir) e quella internazionale (le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni calibrate sul modello Ocse) consente, da un lato, di individuare il Paese che ha la potestà impositiva finale e, dall’altro, di arrivare a ciò conferendo alle fonti normative di coordinamento sovranazionali una posizione prevalenza[1].
Tornando alle modifiche apportate dal D.Lgs. 209/2023, delle quali la circolare n. 20/E/2024 fornisce indicazioni operative, il terreno di intervento è quello legato al concetto di residenza e domicilio fiscale di cui all’articolo 2, comma 2, Tuir, dal quale poi discende, nel caso lo stesso si concretizzi, la potestà impositiva complessiva nel nostro territorio nazionale.
La definizione della residenza fiscale era ancorata al dato formale dell’iscrizione alle anagrafi della popolazione residente, nonché al concetto di residenza e domicilio di declinazione codicistica.
Le 3 ipotesi al ricorrere delle quali si concretizzava la sussistenza della residenza fiscale erano alternative tra loro, sicché tale condizione (la residenza fiscale appunto) veniva a sussistere al singolo ricorrere di una delle condizioni sopra menzionate.
La prevalenza del dato formale era, poi, connessa all’ancoraggio con la definizione codicistica di residenza e domicilio, che, secondo quanto stabilito dall’articolo 43, cod. civ., sono rintracciabili nel luogo ove la persona ha stabilito la sede principale dei suoi interessi (il domicilio), ovvero in quella ove dimora abitualmente (la residenza).
La novella apportata dal D.Lgs. 209/2023 riscrive l’articolo 2, comma 2, Tuir, e introduce il concetto di residenza fiscale – e, più in particolare, di domicilio – ancorato prioritariamente al luogo ove si sviluppano le relazioni personali e familiari della persona.
A corollario di tale approccio viene, poi, derubricata a presunzione relativa la rilevanza dell’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta.
In base a tale assetto viene ora ad acquisire rilevanza centrale la presenza materiale all’interno del territorio dello Stato per la maggior parte del tempo nel corso del periodo d’imposta; tale condizione si affianca a quelle già previste, al netto della rimodulazione gerarchica conseguente alla derubricazione a presunzione relativa dell’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente già esaminata in precedenza.
Analogamente rispetto all’impianto previgente, viene confermato il principio di alternatività tra le condizioni al ricorrere delle quali si concretizza il concetto di residenza fiscale, sicché è sufficiente la sussistenza di uno solo dei requisiti sopra richiamati.
Tale novella appare oltremodo opportuna anche e soprattutto in considerazione del mutato contesto socio-economico, che oggi – anche a seguito della stagione pandemica – ha conosciuto una crescente mobilità internazionale, abbinata a una sostanziale rimodulazione delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa (anche grazie al massiccio ricorso al lavoro svolto in modalità agile, in contesti geografici spesso diversi da quelli originari).
Naturalmente, anche con la nuova formulazione del concetto di residenza fiscale, non viene meno il ruolo assolto dalle convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni, che mantengono la finalità di dirimere eventuali conflitti tra normative di diversi Stati, al fine di individuare quello che dev’essere considerato depositario della potestà impositiva complessiva nei confronti del soggetto passivo.
[1] Nel caso del nostro ordinamento tributario interno, tale assetto è garantito da un lato dall’art. 169 del TUIR e dall’art. 75 del D.P.R. 600/1973.