Abuso dei permessi ex L. 104/1992: conseguenze sul rapporto di lavoro e responsabilità penale del lavoratore
di Nicola GhirardiLa fruizione da parte del lavoratore dei permessi previsti dalla L. 104/1992 per l’assistenza a soggetti disabili può spesso condurre a un uso improprio e fraudolento degli stessi. In questo caso, il lavoratore rischia non solo il licenziamento per giusta causa, ma anche di essere chiamato a rispondere in sede penale per il reato di truffa (articolo 640 c.p.).
I permessi retribuiti ex L. 104/1992 …
Come noto, la L. 104/1992 (legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale, i diritti e l’assistenza delle persone handicappate), come aggiornata da ultimo dal D.L. 90/2014, convertito in legge con modificazioni dalla L. 114/2014, prevede una serie di agevolazioni a sostegno delle persone affette da disabilità.
In particolare, l’articolo 33, comma 3, afferma che, a condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di 3 giorni di permesso mensile retribuito, coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa.
Si tenga presente, per quanto si dirà più avanti, che la L. 183/2010 ha eliminato il requisito della prestazione di assistenza continuativa ed esclusiva da parte del lavoratore al parente disabile.
La legge aggiunge che i permessi non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con handicap e che, per l’assistenza allo stesso figlio con handicap, il diritto è riconosciuto a entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente.
La contrattazione collettiva ha interpretato la disposizione di legge riconoscendo un “monte ore” mensile, mediante la conversione dei permessi giornalieri in permessi orari e prevedendo il diritto a fruire di 3 giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa.
… e il loro abuso
Il nobile e giusto intento della legge – quello di garantire alle persone con gravi handicap di godere del sostegno e dell’assistenza da parte dei familiari- è stato talvolta, purtroppo, fonte di abuso proprio da parte di quei soggetti destinatari dei permessi, come emerge dalla giurisprudenza in materia.
In particolare, si tratta di casi in cui i lavoratori beneficiari dei permessi ex L. 104/1992, invece di dedicare il tempo all’assistenza dei familiari disabili, approfittavano dei permessi per svolgere attività ludiche o, comunque, relative ai propri interessi personali.
I lavoratori che abusino dei permessi utilizzandoli a scopo personale, o facciano false dichiarazioni relativamente ai permessi stessi, rischiano non solo il licenziamento, sul piano del rapporto di lavoro, ma anche di incorrere in responsabilità penale, potendo essere accusati del reato di truffa.
L’abuso dei permessi nella giurisprudenza giuslavoristica …
La giurisprudenza lavoristica si è dimostrata (giustamente, a parere di chi scrive) molto rigorosa nel valutare il comportamento dei dipendenti che, beneficiando di permessi per l’assistenza ai disabili, ne facciano un uso improprio, affermando il principio per cui: “Il permesso ex articolo 33 della l. n. 104 del 1992 è riconosciuto al lavoratore in ragione dell’assistenza al disabile, rispetto alla quale l’assenza dal lavoro deve porsi in relazione causale diretta, senza che il dato testuale e la “ratio” della norma ne consentano l’utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per la detta assistenza. Ne consegue che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l’abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari”.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, a una dipendente era stato contestato di avere utilizzato, complessivamente, 38 ore e 30 minuti di permesso ai sensi della L. 104/1992, fruiti per finalità diverse dall’assistenza alla madre disabile, e specificamente per recarsi a frequentare le lezioni universitarie di un corso di laurea.
La sentenza di secondo grado, poi confermata dai giudici di legittimità, ha osservato:
- che la fruizione dei permessi, comportando un disagio per il datore di lavoro, è giustificabile solo a fronte di un’effettiva attività di assistenza e l’uso improprio del permesso costituisce grave violazione intenzionale degli obblighi gravanti sul dipendente;
- che la tutela offerta dalla L. 104/1992 non ha funzione di ristoro compensativo delle energie spese per l’accudimento del disabile;
- che i fatti erano risultati dimostrati alla stregua delle risultanze delle indagini di P.G., in relazione all’attività di osservazione e pedinamento compiuta nelle giornate di fruizione dei permessi;
- che non poteva trovare accoglimento la tesi della lavoratrice, secondo cui l’attività assistenziale veniva svolta di sera: da un lato, l’attività di assistenza deve essere necessariamente svolta in coincidenza temporale con i permessi accordati.
Ove il nesso causale tra assenza dal lavoro e assistenza al disabile manchi del tutto, come nel caso di cui si è detto, non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto.
Un’altra recente sentenza di legittimità, la n. 17968/2016, ha affrontato il caso in cui un lavoratore, il quale si era sempre recato presso l’abitazione del parente assistito, ma, a fronte di 24 ore di permessi retribuiti concessi, l’assistenza si era limitata a complessive 4 ore e 13 minuti, pari al 17,5% del tempo totale.
Anche in questo caso, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento, affermando che la fruizione dei permessi mensili per scopi estranei a quelli per cui sono stati concessi costituisce una condotta oggettivamente grave, da giustificare il recesso per giusta causa, in grado di determinare nel datore di lavoro la perdita della fiducia nei successivi adempimenti. L’aver fornito assistenza per sole 4 ore a fronte di 24 ore di permessi retribuiti concessi rappresenta, secondo la Corte, la prova di un sostanziale disinteresse del lavoratore per le esigenze aziendali, in violazione dei principi basilari di buona fede e correttezza di cui agli articoli 1175 e 1375 cod. civ., che dovrebbero trovare opportuno riscontro in ogni momento dell’esecuzione del contratto di lavoro.
Anche in ipotesi in cui il lavoratore dichiari una falsa residenza della persona handicappata (magari affermando che si trova presso la sua abitazione personale, di modo da poter godere liberamente dei permessi in casa propria, invece che presso quella della persona da assistere), lo stesso potrà essere oggetto di sanzione disciplinare (e di eventuale denuncia per il reato di truffa, di cui si dirà).
Come in altre ipotesi di comportamenti extra-lavorativi, ciò che rileva ai fini del rapporto di lavoro è la lesione del vincolo fiduciario che deve necessariamente sussistere tra datore di lavoro e dipendente. La sua irreparabile lesione comporta la risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa.
Deve, naturalmente, osservarsi che il datore di lavoro potrà procedere al licenziamento solo nei casi di abuso più gravi, dovendosi tenere in conto anche qui, come in ogni ipotesi di condotta disciplinarmente rilevante, la proporzionalità tra comportamento del lavoratore e sanzione.
La sanzione espulsiva sarà quindi legittima in casi di assistenza nulla o drasticamente limitata (come nel caso del lavoratore che si rechi in viaggio di piacere o si dedichi ad attività ludiche – invece che prestare assistenza alla persona disabile – per la maggior parte del tempo), mentre in casi meno gravi (ad esempio quando il lavoratore si assenti per brevi periodi di tempo) sarà legittima solo una sanzione conservativa.
… e in quella penale
La giurisprudenza penale si è mostrata sin qui – almeno apparentemente – maggiormente “flessibile” in relazione all’interpretazione della legge sui permessi e, di conseguenza, dell’uso fattone dai lavoratori beneficiari.
In particolare, la giurisprudenza penale ha esaminato la questione dei permessi ex L. 104/1992 in relazione al reato di truffa di cui all’articolo 640 c.p..
La Cassazione penale, con sentenza n. 4106/2016, affronta il caso di un lavoratore che aveva ottenuto un permesso retribuito per assistere la sorella, affetta da una grave forma di sclerosi, salvo poi recarsi, durante le ore diurne (in cui avrebbe dovuto essere altrimenti al lavoro) a un raduno ciclistico, per partecipare a un trofeo che prevedeva un percorso pari a 85 chilometri.
La sentenza di secondo grado, che aveva condannato il lavoratore per il reato di truffa, veniva però riformata dalla Cassazione, secondo cui: “I permessi lavorativi, sono soggetti ad una duplice lettura: a) vengono concessi per consentire al lavoratore di prestare la propria assistenza con ancora maggiore “continuità”; b) vengono concessi per consentire al lavoratore, che con abnegazione dedica tutto il suo tempo al famigliare handicappato, di ritagliarsi un breve spazio di tempo per provvedere ai propri bisogni ed esigenze personali. Qualunque sia la lettura che si voglia dare della suddetta normativa (e, comunque, l’una non esclude l’altra), quello che è certo è che, da nessuna parte della legge, si evince che, nei casi di permesso, l’attività di assistenza dev’essere prestata proprio nelle ore in cui il lavoratore avrebbe dovuto svolgere la propria attività lavorativa”.
Il principio è stato confermato da un’altra sentenza della Cassazione penale, la n. 54712/2016, di poco successiva, la quale, pur ribadendo che il lavoratore non è obbligato a prestare assistenza alla persona handicappata nelle ore in cui avrebbe dovuto svolgere attività lavorativa, specifica che il dipendente non può, tuttavia, utilizzare quei giorni come se fossero giorni feriali senza, quindi, prestare alcuna assistenza alla persona handicappata (per cui è stato condannato per il delitto di truffa il lavoratore che, avendo chiesto e ottenuto di poter usufruire dei giorni di permesso retribuiti, li aveva utilizzati per recarsi all’estero in viaggio di piacere, non prestando, quindi, alcuna assistenza).
Secondo queste due recenti sentenze, dunque, sarebbe sufficiente per un uso legittimo dei permessi che il lavoratore presti una qualche forma di assistenza alla persona disabile, anche se non necessariamente in corrispondenza dell’orario di lavoro che dovrebbe altrimenti rispettare.
È importante però rilevare che le suddette sentenze fanno riferimento a fatti occorsi anteriormente alla L. 183/2010, che, come detto, ha eliminato il requisito della prestazione di assistenza continuativa ed esclusiva da parte del lavoratore al parente disabile, requisito che avrebbe potuto, in effetti, giustificare una gestione dei permessi meno rigida. Ciò posto, a mio modo di vedere, le conclusioni potrebbero essere significativamente diverse – in senso più restrittivo – in caso di fatti occorsi successivamente alla modifica normativa del 2010.
Ancora in ambito penale, è stata esclusa la responsabilità per i reati di falso e truffa aggravata nel caso di una lavoratrice che aveva attestato falsamente che la madre e il padre non erano ricoverati a tempo pieno presso una casa di riposo, ottenendo quindi i permessi retribuiti in difetto del necessario presupposto (si ricorda che i permessi non spettano in caso di ricovero a tempo pieno del disabile), ciò in quanto, secondo la Cassazione penale n. 8435/2013, la casa di riposo non sarebbe una struttura ospedaliera, e quindi non rappresenterebbe un “ricovero a tempo pieno”.
I controlli sui comportamenti del lavoratore beneficiario dei permessi
Il datore di lavoro che abbia il sospetto che il dipendente assente per permessi ex L. 104/1992 ne faccia un uso distorto, ben può avvalersi di agenzie investigative per la verifica del corretto uso dei permessi, come del resto in ogni altro caso di comportamento extra-lavorativo che incida sul rapporto fiduciario intercorrente tra le parti.
Così la giurisprudenza ha affermato che: “È legittimo il controllo effettuato dal datore di lavoro in ordine all’accertamento dell’utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi di cui all’Articolo 33, L. n. 104 del 1992, anche qualora demandato ad un’agenzia investigativa. Ciò in quanto detto controllo non riguarda l’adempimento della prestazione lavorativa, essendo effettuato al di fuori dell’orario di lavoro e in fase di sospensione dell’obbligazione principale di rendere la prestazione lavorativa, di talché lo stesso non può ritenersi precluso ai sensi degli artt. 2 e 3 dello Statuto dei lavoratori (L. n. 300 del 1970)”.
Le prove acquisite dalle agenzie investigative sono quindi producibili in giudizio a sostegno dell’eventuale sanzione irrogata al lavoratore.
Abuso dei permessi e intervento dell’Inps
Come noto, i permessi per l’assistenza a persone disabili sono retribuiti dall’Inps per tutto il periodo di astensione. Pertanto, in caso di abuso di tali permessi, l’Ente potrà, innanzitutto, chiedere al lavoratore la restituzione di quanto indebitamente percepito a tale titolo (perlomeno per i periodi in cui vi sia prova della mancata assistenza) ed eventualmente sporgere anche denuncia per truffa nei suoi confronti in sede penale.
Conclusioni
Il dipendente che si avvalga dei permessi ex L. 104/1992 per motivi diversi da quelli dell’assistenza alla persona disabile (in particolare per motivi ludici o, ad ogni modo, strettamente personali) o faccia false dichiarazioni, può essere legittimamente licenziato per giusta causa, posto il venir meno del vincolo fiduciario che deve necessariamente intercorrere con il datore di lavoro.
Il controllo sul comportamento del lavoratore nei giorni in cui usufruisce dei permessi può essere legittimamente effettuato anche a mezzo di apposite agenzie investigative.
Il lavoratore rischia, infine, di dover rispondere del reato di truffa ex articolo 640 c.p., nonché di dover restituire quanto indebitamente percepito dall’Inps per i periodi di mancata assistenza alla persona disabile.
Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza“.
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