7 Settembre 2017

Del doman non c’è certezza, del passato nemmeno

di Riccardo Girotto

Un chiarimento Inps ha compromesso il recupero psicofisico dei consulenti del lavoro nel mese di agosto. Non si tratta di un chiarimento banale, bensì la presa di posizione era molto attesa per gli effetti ridondanti che avrebbe potuto provocare. Dovremmo quindi essere contenti, mal che vada abbiamo ottenuto certezza, eppure il primo problema che si rileva nella posizione espressa con la circolare Inps n. 124/2017 è proprio l’intenzione di fissare la posizione su una questione viva dal 2011, ribaltandone completamente il risultato. Il tema centrale delle nota è l’inversione della condotta fin qui adottata in ambito previdenziale con riferimento al contributo malattia per i lavoratori dello spettacolo, inversione giustificata tramite passaggi al limite dell’incredibile.

Per sgombrare il campo dal cuore del problema, ricordiamo le risultanze della querelle sorta dalla norma di interpretazione autentica articolo 20, comma 1, D.L. 112/2008, convertito in L. 133/2008, che ha visto la propria conclusione nel 2011, riguardante l’obbligo di finanziamento del contributo malattia nei settori dove il Ccnl obbliga il pagamento dell’indennità a carico del datore di lavoro. La Cassazione ha stabilito che la prestazione di malattia a favore dei lavoratori in stato morboso temporaneo deve risultare pagata in via residuale dall’Inps, cioè quando non lo prevede il contratto collettivo, ma il finanziamento delle prestazioni resta comunque a carico di tutti, in virtù di un principio solidalistico e non mutualistico. Per intenderci, tutti versano per solidarietà e qualcuno fruisce perché non può ottenere trattamenti sostitutivi. Giusto o meno, questo principio è stato trasposto in legge grazie al D.L. 98/2011 convertito in L. 111/2011.

Ora l’istituto, dopo aver sparato nel mucchio richiedendo ad alcune azienda in area ex Enpals di integrare quanto non versato negli ultimi 2 anni per finanziare le prestazioni di malattia, chiarisce che l’obbligo deve intendersi esteso a tutto il periodo a partire dal 2011, snobbando bellamente i chiari requisiti di specialità del settore, che proprio l’Inps stesso ha più volte riconosciuto nella prassi.

Ciò che più disturba peraltro non è tanto la scelta, comunque discutibile, di applicare la teoria solidalistica in un settore connotato da forte specialità e per niente inserito nel contesto de quo, ma è proprio la scelta di farlo con azione postuma. Fino ad oggi, infatti, i datori di lavoro hanno agito nel massimo rispetto delle leggi in vigore, versando ciò che l’istituto chiedeva e senza subire alcuna richiesta ulteriore. La nuova posizione Inps legittima l’azione a posteriori, conseguentemente ogni condotta, pur avallata dall’Istituto, potrà poi essere ripresa a piacimento con effetto retroattivo.

Proprio l’effetto retroattivo è il dubbio che serpeggia tra le righe della prassi Inps. Rileva infatti come le aziende esonerate dal versamento fossero destinatarie di un preciso codice 8G. Questo, unitamente al codice 4J, verrà revocato, obbligando quindi al versamento corrente del contributo malattia.

Fin qui tutto comprensibile, non condiviso da chi scrive, ma almeno comprensibile.

Praticamente la situazione va letta in questo modo, io Istituto ritengo che dal 2011 dovevi versare, ma siccome io Istituto ti ho espressamente esonerato dal farlo, ora ti revoco quell’esonero. Insomma, io Inps ho cambiato idea e l’interpretazione di ciò che è avvenuto nel 2011 oggi non è più la stessa. In questi casi la richiesta del contributo decorrerà dalla revoca del codice.

Ciò che non è comprensibile è il trattamento riservato a chi il codice 8G non lo possedeva, oppure chi lo otteneva a tratti per poi vederselo revocare e ancora una volta riassegnare, oppure a chi, in assenza del codice, veniva ritenuto, anche dopo accurate ispezioni previdenziali, esonerato dal finanziamento del contributo. I casi non sono rari, ma anche lo fossero meriterebbero la giusta attenzione, che, nei fatti, non c’è stata.

 

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