La figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e i profili di responsabilità penale
di Fabio Pontrandolfi Scarica in PDFSulla base delle considerazioni espresse nella risposta a interpello n. 5/2024 della Commissione ex articolo 12, D.Lgs. 81/2008, si approfondiscono funzioni e caratteristiche della figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, anche ai fini della verifica dell’esistenza di una sua responsabilità penale laddove il mancato esercizio delle funzioni integri gli estremi di una cooperazione colposa.
Premessa
Secondo l’articolo 9, L. 300/1970: “i lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica”[1].
Con l’avvento della legislazione comunitaria (in particolare, la Direttiva 1989/391/CEE), l’intervento dei lavoratori interessati e dei loro sindacati venne collocato su di un piano più “partecipativo/collaborativo” (senza giungere alla co-decisione e alla co-responsabilità) che “negoziale e/o conflittuale”, espresso nelle forme della consultazione e della partecipazione dei lavoratori.
Quanto ai rappresentanti, essendone rimessa l’individuazione all’esclusiva volontà dei lavoratori, ne è stata confermata la natura privatistica e volontaria, secondo la logica costituzionale della libertà sindacale, tanto da non prevedere alcun effetto conseguente alla mancata individuazione.
Le funzioni descritte nell’articolo 19, D.Lgs. 626/1994, e, poi, negli articoli 47 e ss., D.Lgs. 81/2008, hanno ampliato (in coerenza con la delega contenta nella L. 123/2007) le competenze e il ruolo del Rls, così alimentando il dibattito sulla vigenza o sulla tacita abrogazione dell’articolo 9, L. 300/1970, ovvero sulla riconducibilità della previsione dell’articolo 9 alle sole ipotesi delle aziende con oltre 15 lavoratori dotate di rappresentanze sindacali, laddove il Rls fosse eletto al di fuori di queste rappresentanze.
La risposta a interpello n. 5/2024
Come da qualche tempo consueto, la Commissione non “innova” la lettura del D.Lgs. 81/2008, ma rinvia, di fatto, alle previsioni del testo normativo. In questo caso, la domanda del Ministero dei trasporti riguardava l’individuazione della nozione di unità produttiva e, di conseguenza, l’analisi dei criteri d’individuazione del Rls.
Richiamando la normativa e precedenti interpelli (n. 20/2014 e successiva ulteriore precisazione, n. 4/2023), la Commissione conferma la nozione di unità produttiva fornita dalla normativa (articolo 2, D.Lgs. 81/2008) e le regole per l’individuazione del Rls (articolo 47, D.Lgs. 81/2008), senza formulare ulteriori considerazioni qualificative della lettura ministeriale.
L’interpello, quindi, non aggiunge nulla alla lettura della normativa vigente.
In via generale, per quanto il Legislatore sembri introdurre un obbligo di presenza del Rls in tutte le aziende, poi fonda la nomina/individuazione su di una scelta rimessa ai lavoratori o alle relative rappresentanze, scelte incomprimibili, e opportunamente rimesse, in ultima analisi, alla contrattazione collettiva.
Attribuzione che non può che connotare – diversamente da quanto ritenuto – un profilo puramente volontaristico, nell’ambito di un’autonomia sindacale tutelata dall’articolo 28, L. 300/1970, tanto che qualsiasi ingerenza del datore di lavoro nel sollecitare la nomina (che non sia il mero rammentare la possibilità dell’elezione, nomina o designazione) costituirebbe condotta antisindacale. Ecco che la presenza del Rls è facoltativa e rimessa agli stessi lavoratori. La stessa contrattazione collettiva ben può regolare le modalità di nomina/elezione, ad esempio, prevedendo che, in presenza di Rsu, la figura del Rls possa essere individuata esclusivamente all’interno di tale realtà sindacale, senza che – in mancanza – possa attivarsi la figura del Rlst.
Il ruolo del Rls
La definizione (articolo 2, D.Lgs. 81/2008) pone l’accento sul ruolo di rappresentanza, in quanto persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro. Una funzione che appare assai riduttiva, rispetto alle attribuzioni individuate nell’articolo 50, D.Lgs. 81/2008, dove, salve le previsioni contrattuali, al Rls sono conferite potestà, diritti di consultazione, diritti d’informazione e formazione, dovere di promozione della sicurezza, di partecipazione, di reazione.
Attribuzioni che si configurano – dal punto di vista giuridico – come potestà, diritti e doveri.
Le potestà ampliano le facoltà del Rls per consentirgli di esercitare la propria attività: accesso ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni (anche laddove ad altri lavoratori sia precluso, evidentemente con le dovute cautele) – articolo 50, comma 1, lettera a, D.Lgs. 81/2008; formulazione di osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle Autorità competenti, dalle quali è, di norma, sentito (lettera i), partecipazione alla riunione periodica di cui all’articolo 35, D.Lgs. 81/2008 (lettera l); possibilità di fare proposte in merito all’attività di prevenzione (lettera m); possibilità di fare ricorso alle Autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro (lettera o).
I diritti garantiscono al Rls gli strumenti per l’esercizio della funzione: consultazione (lettere b, c e d); informazione e documentazione (lettere e, f), formazione (lettera g).
I doveri rendono effettiva ed efficace la partecipazione nel segnalare i rischi individuati nel corso della propria attività (lettera n).
Quanto ai doveri, si ritiene che quello previsto alla lettera n (“avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività”) si configuri come obbligo giuridico, sia in sé sia perché ripete, in sostanza, un obbligo che fa capo a tutti i lavoratori (articolo 20, comma 2, lettera e, D.Lgs. 81/2008), ai quali il preposto non è, ovviamente, sottratto:
“segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l’obbligo di cui alla lettera f) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”.
Anche e soprattutto in questo dovere partecipativo si condensa il ruolo di “figura intermedia di raccordo tra datore di lavoro e lavoratori, con la funzione di facilitare il flusso informativo aziendale in materia di salute e sicurezza sul lavoro” evidenziata dalla giurisprudenza.
Rls e sistema organizzato della sicurezza
Il sistema articolato della sicurezza, in una logica organizzativa e non più (solamente) tecnica o comportamentale, richiede la partecipazione di più soggetti e l’adozione di procedure e comportamenti predeterminati dal Legislatore. La procedimentalizzazione degli obblighi di sicurezza costituisce, quindi, lo strumento metodologico per l’efficace adempimento degli obblighi di sicurezza (come emerge dalla lettura dell’articolo 28, D.Lgs. 81/2008, in tema di valutazione dei rischi).
Tra le previsioni di tale centrale disposizione del D.Lgs. 81/2008, la valutazione dei rischi (articolo 28, comma 2, lettera a, D.Lgs. 81/2008), l’indicazione delle misure di prevenzione e protezione (lettera b), il programma delle misure di miglioramento (lettera c), l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri (lettera d) e l’indicazione del nominativo del Rspp, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio.
Nel nuovo modello della sicurezza, quindi, il Rls ha un ruolo essenzialmente consultivo e partecipativo, ma non decisionale.
Il tema della partecipazione, collocato nell’ambito della procedimentalizzazione della sicurezza, lascia emergere con chiarezza l’importanza della collaborazione e della responsabilizzazione nello svolgimento dei compiti che, a prescindere da specifici obblighi o posizioni di garanzia, fanno emergere un obbligo di attivazione e una conseguente responsabilità[2].
Rls e funzione sindacale
Va ricordato che lo svolgimento della funzione di Rls è tutelato dalle garanzie riconosciute dalla legge allo svolgimento di attività sindacale. Infatti, secondo l’articolo 50, comma 2, D.Lgs. 81/2008, il Rls “non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività e nei suoi confronti si applicano le stesse tutele previste dalla legge per le rappresentanze sindacali”.
Secondo la giurisprudenza[3]: “il lavoratore che sia anche rappresentante sindacale se, quale lavoratore subordinato, è soggetto allo stesso vincolo di subordinazione degli altri dipendenti, si pone, in relazione all’attività di sindacalista, su un piano paritetico con il datore di lavoro, con esclusione di qualsiasi vincolo di subordinazione, giacché detta attività, espressione di una libertà costituzionalmente garantita dall’art. 39 Cost., in quanto diretta alla tutela degli interessi collettivi dei lavoratori nei confronti di quelli contrapposti del datore di lavoro, non può essere subordinata alla volontà di quest’ultimo; l’esercizio, da parte del rappresentante sindacale, del diritto di critica, anche aspra, nei confronti del datore di lavoro, garantito dagli artt. 21 e 39 Cost., incontra i limiti della correttezza formale, imposti dall’esigenza, anch’essa costituzionalmente assicurata (art. 2 Cost.), di tutela della persona umana; solo ove tali limiti siano superati con l’attribuzione all’impresa datoriale o a suoi dirigenti di qualità apertamente disonorevoli e di riferimenti denigratori non provati, il comportamento del lavoratore può essere legittimamente sanzionato in via disciplinare”.
In altre parole, il sindacalista è “titolare anche di un di un diritto funzionale al perseguimento e alla tutela di interessi collettivi di rilevanza costituzionale (artt. 2 e 39 Cost.)”.
Anche da tale connotazione scaturisce con tutta evidenzia il ruolo di primaria importanza del Rls, “quale soggetto fondamentale che partecipa al processo di gestione della sicurezza dei luoghi di lavoro, costituendo una figura intermedia di raccordo tra datore di lavoro e lavoratori, con la funzione di facilitare il flusso informativo aziendale in materia di salute e sicurezza sul lavoro”.
È evidente che se l’ordinamento tutela l’attività del Rls, perché “diretta alla tutela degli interessi collettivi dei lavoratori”, l’attività di collaborazione in vista della protezione non può essere ricondotta a una mera eventualità. Se lo svolgimento di questa attività, di valenza costituzione, pone il Rls addirittura “su un piano paritetico con il datore di lavoro”, è evidente che il Legislatore ha inteso valorizzare e garantire il ruolo primario della tutela collettiva dei lavoratori.
Il mancato svolgimento di compiti attributi dalla legge non rileva, quindi, sul piano della rappresentanza (ossia, solamente al fine della eventuale revoca del mandato sindacale), ma incide sull’efficacia del complesso e articolato intreccio di azioni tese a garantire la sicurezza.
Va ricordato che, tra gli obblighi dei lavoratori, v’è quello di segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui all’articolo 20, comma 2, lettere c e d), D.Lgs. 81/2008, nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso d’urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità e, fatto salvo l’obbligo di cui alla lettera f, per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
L’obbligo di dare notizia di rischi e pericoli (anche) al Rls non può avere altra finalità che quella di sollecitare l’intervento dello stesso, nell’esercizio della propria funzione. Se la conseguente reazione del Rls – legata alla propria attribuzione d’informativa del responsabile dell’azienda – non fosse doverosa, non si comprenderebbe nemmeno l’obbligo posto in capo al lavoratore.
Non si può pensare, infatti, che la notizia al Rls non costituisca quest’ultimo in posizione di obbligo di esercitare, a sua volta – e, per di più, con le garanzie sindacali – l’azione d’informativa del datore di lavoro, in una logica collaborativa.
Obblighi del Rls e dei lavoratori
I lavoratori (articolo 20, comma 2, lettera e, D.Lgs. 81/2008) devono: “segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l’obbligo di cui alla lettera f) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”.
Il Rls “avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività”.
I lavoratori, uti singuli, sono chiamati a collaborare anche mediante l’evidenziazione di condizioni di pericolo e dandosi da fare per eliminare o ridurre le situazioni di grave pericolo.
Si tratta di un obbligo il cui inadempimento è penalmente sanzionato (articolo 58, comma 1, lettera a, D.Lgs. 81/2008): omettere di comunicare situazioni di pericolo non è tollerato dall’ordinamento, in quanto la sicurezza è un bene da tutelare da parte di ciascuno, mediante differenti azioni volte a prevenire i rischi.
Il Rls, come lavoratore, che ometta la segnalazione del pericolo o dei rischi, incorre in sanzione penale.
Il Rls ha anch’egli un esplicito dovere di segnalazione delle situazioni di rischio.
Evidentemente, la finalità è comune: attivare, in una logica collaborativa e sollecitatoria, l’adozione di misure correttive e di interventi prevenzionali, contro pericoli e rischi.
La differente logica individuale (del lavoratore) e collettiva (del Rls) non sembra consentire alcuna distinzione, se non una logica di maggiore valorizzazione della funzione e della responsabilità del Rls, in quanto portatore di una funzione costituzionalmente protetta. È evidente che, se viene riconosciuta una tutela a garanzia della funzione svolta, tale motivazione non può che indurre a valorizzare la portata dell’azione sindacale al fine di sollecitare l’adozione delle doverose misure prevenzionali.
Non avrebbe alcuna logica sanzionare il singolo lavoratore e non il Rls per la medesima omissione: se il singolo lavoratore è portatore di una posizione di garanzia (per sé e i propri colleghi), non può non esserlo – a maggior ragione – il Rls.
Appare difficile giustificare, sul piano logico prima che su quello giuridico, il fatto che un lavoratore sia penalmente sanzionato se non segnala le criticità presenti e un Rls (individuato dai lavoratori per collaborare alla prevenzione nell’interesse di tutti), per di più garantito da una tutela sindacale e pur in presenza di una precisa disposizione normativa in tal senso proattivo e sollecitatorio, ometta di esercitare la propria funzione.
In entrambe le situazioni, pur giuridicamente differenti, vi è un obbligo di attivazione: per il lavoratore, è costituita una vera e propria posizione di garanzia; per il Rls, pur in assenza di una specifica posizione di garanzia, sussiste innegabilmente una funzione di partecipazione collaborativa alla tutela della sicurezza collettiva, per la quale ha ricevuto uno specifico mandato e che, per di più, esercita con le tutele rafforzate di legge.
Appare del tutto incoerente che la qualifica di Rls faccia decadere gli obblighi posti in capo al lavoratore, posto che il Rls – in più rispetto al lavoratore – ha un compito sovraindividuale, a protezione di tutti i lavoratori. La posizione a lui riconosciuta e tutelata dall’ordinamento impone di ritenere che la sua funzione raccolga quella dei singoli, per cui – in un quadro fondato sulla collaborazione e cooperazione – è assurdo pensare che egli perda (invece di rafforzare) la funzione di garanzia (e la connessa responsabilità).
Si potrà discutere se si tratta di una posizione di garanzia o meno (a parere di chi scrive, essa non sussiste) ma, certamente, il ruolo impone un dovere di azione addirittura maggiore di quella dei singoli, proprio in considerazione della funzione assegnata e degli strumenti (conoscitivi) di cui è destinatario.
Organizzazione della sicurezza come cooperazione
S’è detto che l’attuale modello della sicurezza si connota in una logica organizzativa, partecipativa e collaborativa, con la distribuzione di ruolo e funzioni differenti, ma con il comune filo conduttore dello sforzo collettivo per la comune sicurezza sul lavoro.
In dottrina si ritiene che, nelle realtà in cui vi sia un coinvolgimento integrato di ruoli, competenze e funzioni, imposto dalla legge, da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o che sia almeno contingenza oggettivamente definita senza incertezze e condivisa sul piano della consapevolezza, sussistono i presupposti per una corresponsabilizzazione (anche sul piano penale) delle persone coinvolte.
La nota sentenza Thyssenkrupp ha svolto considerazioni illuminanti in questo senso, evidenziando che “l’intreccio cooperativo, il comune coinvolgimento nella gestione del rischio giustifica la penale rilevanza di condotte che, come si è accennato, sebbene atipiche, incomplete, di semplice partecipazione, si coniugano, si compenetrano con altre condotte tipiche …
In tutte queste situazioni ciascun agente dovrà agire tenendo conto del ruolo e della condotta altrui. Si genera così un legame ed un’integrazione tra le condotte che opera non solo sul piano dell’azione, ma anche sul regime cautelare, richiedendo a ciascuno di rapportarsi, preoccupandosene, pure alla condotta degli altri soggetti coinvolti nel contesto. Tale pretesa d’interazione prudente individua il canone per definire il fondamento ed i limiti della colpa di cooperazione. La stessa pretesa giustifica la deviazione rispetto al principio di affidamento e di autoresponsabilità, insita nell’idea di cooperazione colposa”.
La cooperazione come “modello di doveroso accrescimento dell’efficienza delle cautele giustifica il coinvolgimento anche di soggetti che, nell’ambito di una determinata organizzazione, svolgono un ruolo subalterno e meno qualificato e che, conseguentemente, facilmente svolgono nei fatti un ruolo meno significante”.
L’esempio è quello del rapporto tra primario e assistente, “nonostante la posizione subordinata e meno qualificata di quest’ultimo; che ha comunque il dovere di manifestare l’eventuale dissenso rispetto alle scelte terapeutiche”.
Si tratta, in sostanza, di cautele relazionali, legate a relazioni di cooperazione, laddove manchino specifici obblighi cautelari[4] tali da giustificare la contestazione del reato in chiave omissiva.
Ammesso che il Rls non abbia una posizione di garanzia (al pari del Rspp), la collocazione tra le figure della sicurezza, le competenze attribuite dalla legge, la formazione ricevuta e le finalità collaborativa e sollecitatoria ben consentono di parlare di “interazione prudente” in capo al Rls, come tale foriera di una responsabilizzazione, nell’evento rispetto al quale sia consapevolmente mancata quella collaborazione, fondamentale nel contesto organizzativo della sicurezza.
Responsabilità penale del Rls
A dispetto dell’assenza di una formale posizione di garanzia del potere, in grado di incidere sulle decisioni del datore di lavoro, anche il Rls è stato ritenuto penalmente responsabile per non aver esercitato le proprie funzioni[5].
L’articolo 50, D.Lgs. 81/2008, attribuisce al Rls un ruolo di primaria importanza, quale soggetto fondamentale che partecipa al processo di gestione della sicurezza dei luoghi di lavoro, costituendo una figura intermedia di raccordo tra datore di lavoro e lavoratori, con la funzione di facilitare il flusso informativo aziendale in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
La posizione e le attribuzioni, pure in assenza di una posizione di garanzia (intesa come titolarità di un dovere di protezione e di controllo finalizzati a impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire), impongono di valutare se una condotta non rispettosa di quelle attribuzioni possa contribuire causalmente alla verificazione dell’evento infortunistico.
La valorizzazione del contributo causale in assenza di una precisa posizione di garanzia sposta l’attenzione sul diverso ambito della cooperazione nel delitto colposo, prevista e disciplinata dall’articolo 113, c.p.[6], secondo il quale nel delitto colposo, quando l’evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso.
La violazione dei compiti attribuiti per legge, laddove consenta di evidenziare un contributo causale al verificarsi dell’evento colposo, determina la responsabilità.
Non si tratta di un principio innovativo, ma del tutto consolidato: già nel 2009[7] era stato affermato che l’effetto estensivo dell’articolo 113, c.p., “si configura senz’altro nei reati commissivi mediante omissione, quando vi sia l’apporto di soggetto non gravato dell’obbligo di garanzia”.
L’elemento centrale è la consapevolezza dei comportamenti degli altri attori della sicurezza, nel senso che il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge, da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o, almeno, sia contingenza oggettivamente definita senza incertezze e pienamente condivisa sul piano della consapevolezza[8].
È stato, quindi, affermato che: “l’agente che, trovandosi a operare in una situazione di rischio da lui immediatamente percepibile, pur non rivestendo alcuna posizione di garanzia, contribuisca con la propria condotta cooperativa all’aggravamento del rischio, fornendo un contributo causale giuridicamente apprezzabile alla realizzazione dell’evento, ancorché la condotta del cooperante in sé considerata, appaia tale da non violare alcuna regola cautelare, essendo sufficiente l’adesione intenzionale dell’agente all’altrui azione negligente, imprudente o inesperta, assumendo così sulla sua azione il medesimo disvalore che, in origine, è caratteristico solo dell’altrui comportamento”[9].
Conclusioni
Il Rls è chiamato a operare in una realtà complessa, nell’ambito della quale rappresenta un punto di snodo tra l’impresa e i lavoratori, da cui consegue una funzione partecipativa, collaborativa e sollecitatoria.
L’estensione della responsabilità penale, soprattutto nelle realtà organizzative complesse (ad esempio, in materia di sicurezza sul lavoro e di lavoro in équipe medica), coinvolge tutti coloro che apportano – con colpa – un contributo causale nella produzione dell’evento.
Si tratta di una considerazione che riguarda, in particolare, il Rls e il Rspp.
L’estensione si rinviene anche in altre ipotesi: quando si passa attraverso la violazione dell’articolo 2087, cod. civ., quale norma di chiusura del sistema, per fondare ipotesi di colpa penale; quando si applicano il principio di colpevolezza secondo l’articolo 40, c.p., prescindendo dall’esistenza di precise regole cautelari modali; in occasione del giudizio relativo al concorso di cause dell’articolo 41, c.p., quando si imputano al datore i comportamenti colposi di altri soggetti.
Una profonda rilettura dell’intero tessuto normativo del D.Lgs. 81/2008 dovrebbe portare a una differente e trasparente redistribuzione di obblighi e responsabilità, al fine di legare la responsabilità con precisione a condotte e a posizioni di garanzia puntuali, legati a regole cautelari precise e di carattere modale, consentendo a ciascuno di rispondere esclusivamente per il fatto proprio, e non anche per la colpa altrui.
[1] Sull’origine e l’evoluzione del principio contenuto nell’articolo 9 si veda L. Menghini, “Le rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza dall’art. 9 dello Statuto alla prevenzione del Covid-19: riaffiora una nuova “soggettività operaia”?”, in DSL, n. 1/2021
[2] Questa riflessione avvicina tra di loro le figure della sicurezza che, a prescindere dall’esistenza di una formale posizione di garanzia, sono chiamati a collaborare, a qualsiasi titolo, in modo da contribuire a garantire la sicurezza sul lavoro, a partire dal Rspp, responsabile di rappresentare tutti i pericoli e rischi nel luogo di lavoro, quale tecnico, consulente del datore di lavoro (in assenza di una posizione di garanzia).
[3] Cassazione, n. 23850/2024.
[4] Cassazione, n. 43083/2013.
[5] Cassazione, n. 38914/2023.
[6] In commento all’articolo 113, c.p., si veda – tra i tanti – M. Di Florio, “La cooperazione nel delitto colposo: una fattispecie con una (problematica) funzione incriminatrice”, in Archivio Penale, 2021, n. 1, pag. 1 ss..
[7] Cassazione, n. 1786/2009.
[8] Cassazione, n. 38354/2022, n. 49735/2014 e n. 26239/2013.
[9] Cassazione, n. 46408/2021, n. 46373/2019, n. 43083/2013 e n. 2584672019.
Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare di lavoro e previdenza”.