8 Ottobre 2024

Il Rls ha diritto di critica sindacale

di Giulia Ponzo Scarica in PDF

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23850 del 5 settembre 2024, ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto illegittima la sanzione disciplinare irrogata a un Responsabile per la sicurezza dei lavoratori, in relazione ad alcune dichiarazioni da questi rese su un portale di un quotidiano online nei confronti del datore di lavoro (in materia di infortuni sul lavoro), ritenute dalla Corte d’Appello non violative dei limiti di continenza, riconducibili al diritto di critica sindacale e, quindi, non sanzionabili.

I giudici di legittimità, respingendo il motivo spiegato dalla datrice di lavoro, hanno statuito non solo che la figura del Rls rientra tra i soggetti tutelati al pari dei lavoratori sindacalisti, poiché portatori di interessi collettivi, ma, in ogni caso, che le dichiarazioni di sostegno in favore di altri lavoratori, se pure con valenza politico-sindacale, sono manifestazione del più ampio diritto di esprimere il proprio pensiero.

I lavoratori rappresentanti sindacali, pur essendo assoggettati come gli altri dipendenti al vincolo di subordinazione, nell’esercizio dell’attività sindacalista si pongono eccezionalmente su un piano paritetico con il datore di lavoro. Tale diritto, infatti, costituzionalmente riconosciuto dall’articolo 39, Costituzione, ricomprende anche il diritto di critica nei confronti del datore di lavoro e del più ampio diritto di esprimere il proprio pensiero, di cui all’articolo 21, Costituzione. Tale esercizio, derivante da un interesse collettivo di cui è portatore, può anche esplicarsi con espressioni soggettivamente non gradite dalla controparte, nel caso di specie dal datore di lavoro, poiché nascenti da opinioni e posizioni evidentemente discordanti e frutto di una personale interpretazione dei fatti, che non può essere oggetto di una contestazione disciplinare, stante l’intrinseca “dialettica sindacale”.

Tuttavia, ricorda la Corte di Cassazione, anche il diritto di critica legato all’esercizio dell’attività sindacale è soggetto a dei limiti, in particolare alla correttezza formale finalizzata a tutelare la persona umana, di cui all’articolo 2, Costituzione. Pertanto, le dichiarazioni, anche se rese da un Rls, non possono configurarsi quali affermazioni denigratorie nei confronti del datore di lavoro o dei propri superiori, poiché tale ipotesi sconfinerebbero dall’attività propria del ruolo di Rls e, quindi, ne determinerebbero, quale conseguenza, una sanzione disciplinare. È, quindi, necessario che le affermazioni rese siano non solo veritiere, ma altresì formalmente adeguate. La stessa Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 35922/2023, ha, ad esempio, ritenuto sanzionabile, e quindi non espressione del diritto di critica sindacale, le dichiarazioni, definite di “sgradevole volgarità”, rilasciate da un sindacalista, prive di finalità divulgativa e finalizzate unicamente a ledere il decoro e la reputazione dell’azienda.

Ciò che, quindi, rileva ai fini della valutazione del legittimo esercizio del diritto di critica sindacale, rimessa all’apprezzamento dei giudici di merito, è che:

  1. l’esercizio del diritto di critica sia attuato da lavoratori sindacalisti o tutelati come tali, tra cui Rls;
  2. le affermazioni rese ineriscano al ruolo ricoperto;
  3. siano rispettati i limiti di correttezza formale e, quindi, le dichiarazioni siano pertinenti e continenti rispetto al diritto costituzionalmente riconosciuto, oltre che veritiere.

Qualora ricorrano gli elementi di cui sopra, quindi, la contestazione dell’autorità propria del datore di lavoro e la sua supremazia, che caratterizzano il rapporto di lavoro, non può essere sanzionata disciplinarmente, poiché espressione di un diritto garantito dalla Costituzione; si pongono, infatti, due diritti contrapposti, che, in un’ottica di bilanciamento, devono necessariamente propendere per quello costituzionalmente garantito.

La conclusione cui sono approdati i giudici di legittimità, ossia il riconoscimento del Rsl tra i soggetti tutelati come i lavoratori sindacalisti, muove dall’assunto per cui anche il responsabile è eletto dai lavoratori ed è, quindi, un portavoce di interessi collettivi, sicché il diritto riconosciuto dalla giurisprudenza al rappresentante sindacale dei dipendenti di porsi, come detto, su un piano paritetico con il datore di lavoro nell’esercizio del proprio ruolo, è quindi esteso anche agli Rsl.

L’attività del responsabile, quindi, non può essere subordinata alla volontà del datore di lavoro.

Diritto del lavoro