1 Ottobre 2024

Illegittime le trattenute sullo stipendio per la gestione della cessione del quinto

di Mario Cassaro Scarica in PDF

I costi amministrativi legati alla gestione della cessione del quinto dello stipendio non possono essere addebitati al lavoratore, ma devono essere sostenuti dal datore di lavoro. È il principio ribadito dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 7 agosto 2024, n. 22362.

Come noto, la cessione del quinto è una forma di prestito personale che consente al lavoratore di cedere fino a un quinto del proprio stipendio a favore di una società finanziaria per il rimborso di un prestito. Questo tipo di finanziamento è regolato dall’articolo 1260, cod. civ., che disciplina la cessione del credito, e dal D.P.R. 180/1950, che stabilisce le modalità specifiche della cessione del quinto, applicabile originariamente ai dipendenti pubblici. Con la L. 311/2004, l’applicazione di questo strumento è stata estesa anche ai dipendenti del settore privato. Si tratta di un accordo bilaterale di natura contrattuale che prevede la cessione di un diritto di credito del lavoratore (cedente) nei confronti del datore di lavoro (ceduto) a una società finanziaria (cessionario). La cessione del quinto dello stipendio è un tema che è stato oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali, soprattutto in merito ai diritti e agli obblighi delle parti coinvolte. Il caso di specie riguardava la legittimità delle trattenute effettuate dal datore di lavoro ai propri dipendenti, per il rimborso dei costi gestionali della pratica di cessione del quinto dello stipendio.

In particolare, alcuni dipendenti chiedevano l’accertamento dell’illegittimità delle trattenute sullo stipendio a titolo di costi di gestione relativi alla cessione del quinto. Per i giudici di merito, tale onere amministrativo rientra nelle normali responsabilità del datore di lavoro, con la conseguenza che le trattenute in busta paga sono illegittime. La società soccombente ricorreva per la cassazione della sentenza.

La Suprema Corte, ripercorrendo l’evoluzione normativa dell’istituto in esame, ha ribadito che le trattenute relative ai costi amministrativi per la gestione della cessione del quinto sono illegittime. Confermando quanto argomentato nei giudizi di merito, gli Ermellini hanno precisato che la cessione del credito costituisce uno strumento di finanziamento che consente al lavoratore di accedere al mercato dei beni e dei servizi per il soddisfacimento di esigenze diverse. Secondo le argomentazioni della Corte, tale strumento non è estraneo al rapporto lavorativo né si pone in relazione meramente occasionale con esso, ma è garantito dal riconoscimento normativo di un diritto potestativo del lavoratore a ottenere finanziamenti mediante la cessione fino a un quinto dello stipendio. Sebbene non siano funzionali al rapporto di lavoro al pari delle scritturazioni connesse alle assenze per malattia, infortuni, al godimento di permessi parentali, alla fruizione dei benefici di cui alla L. 104/1992 o alle anticipazioni sul Tfr, la gestione e contabilizzazione della cessione del quinto sono attività radicate nel rapporto di lavoro.

La decisione richiama i principi di correttezza e buona fede (articoli 1175 e 1375, cod. civ.), applicabili anche ai profili del pagamento (articolo 1196, cod. civ.) nella fattispecie del debitore ceduto, sottolineando che il datore di lavoro non può addebitare ai dipendenti costi aggiuntivi senza dimostrare che la gestione amministrativa della cessione rappresenti un onere eccessivamente gravoso per l’azienda, in ragione delle dimensioni di quest’ultima. A riguardo, la Corte ricorda che a fronte di un elevato numero di dipendenti, l’impresa deve dotarsi di una struttura organizzativa, contabile e amministrativa corrispondente alla sua dimensione, ex articolo 2086, comma 2, cod. civ.. Per giustificare eventuali richieste di rimborso dei costi amministrativi sostenuti, è necessario fornire la prova concreta della particolare gravosità di tali costi, in misura tale che la gestione amministrativa delle cessioni risulti sproporzionata e intollerabile rispetto alle proprie risorse organizzative, cosa che non è avvenuta nel caso de quo. La società ricorrente, infatti, si è limitata a elencare le attività, i tempi di evasione del personale impiegato nella contabilizzazione e gestione della pratica del quinto dei dipendenti e dei relativi costi, senza fornire dimostrazione della loro insopportabilità.

Sulla base delle suesposte considerazioni, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, con condanna al pagamento delle spese di giudizio in favore dei controricorrenti.