Esg, una scatola vuota, ma talmente capiente da contenere tutto l’estro del consulente
di Riccardo Girotto Scarica in PDFPresenzia sulla bocca di tutti e insiste sulla penna di molti: è il tema della sostenibilità, un ariete che spalanca le porte a scenari infiniti. Anche il diritto del lavoro può fruire di una stagione molto fertile, che, considerando l’indeterminatezza della materia, mi si perdoni l’affondo, offre 2 possibili posizioni: quella attendista, ove i consulenti e i giuslavoristi si limitano a vigilare la produzione di nuove norme o di specifica prassi sull’argomento, e quella creativa, ove gli stessi soggetti provano a confezionare possibili strumenti di anticipazione e gestione del tema.
L’obiettivo della sostenibilità spalanca le porte a molteplici questioni, dalla più scontata della transizione ecologica, e la conseguente incertezza degli effetti occupazionali, alle buone pratiche aziendali già presidiate da specifiche certificazioni tipo la parità di genere, finanche agli aspetti più estremi, come la tutela whistleblowing.
Come ripetutamente accade, l’intervento del sonnecchiante Legislatore giunge dopo che l’argomento ha ben riempito i talk show e l’opinione pubblica già si è schierata, tanto i sostenitori, quanto i detrattori, ma ad oggi timidi interventi non hanno offerto uno scenario ben preciso, né, tantomeno, una tendenza regolatoria organica.
Ecco che l’azienda può affrontare il tema scegliendo una delle due direttrici contrapposte, anche grazie alla linea condivisa con i propri consulenti: quella attendista, o quella anticipatrice, quest’ultima tesa a cavalcare le opportunità che possono fare dell’azienda un vero modello per tutti i competitor. In questo secondo caso, l’azienda agisce da vero e proprio protagonista, tendendo alla monetizzazione di quanto effettivamente prodotto. La componente comunicativa deve quindi ritenersi determinante, nel solco della vecchia regola delle 3 F (Fare le cose, Farle bene e Farlo sapere), notiziando, magari anche con ambizioni emulative, le buone pratiche adottate a tutti gli stakeholders.
Concretamente, dal punto di vista legislativo al momento permane uno stallo, salvo aspetti parcellizzati quali l’agevolazione contributiva connessa alla parità di genere, o passi di recepimento delle generiche Direttive europee, nonché timide espressioni di prassi (interessante la posizione contraddittoria sulle colonnine di ricarica fornita dall’Agenzia delle entrate[1]), che amplificano la necessità di un quadro regolatore.
Il percorso, pertanto, rimane quello avviato in tema di due dilligence in recepimento alla Direttiva UE 2464/2022[2], destinato alle aziende superdimensionate, ma a cascata anche tutte quelle che vi collaborano, caratterizzato dallo stimolo a proceduralizzare l’analisi del proprio rating in tema di sostenibilità. Un’indicazione certamente generica, ma aperta a qualsiasi estensione contenutistica, che può quindi stimolare l’azienda alla più ampia definizione del tema. A questo punto l’opera del consulente dinamico sarà stimolante, in quanto potrà spingere verso aspetti di diversa natura, al fine di comporre un puzzle utile a raggiungere il miglior rating, salvo poi, come già accennato, riuscire a comunicarlo nel migliore dei modi.
L’opportunità sta proprio qui, tanto per le aziende che da sempre insistono sul tema con grande sensibilità e che oggi trovano lo sfogo in specifiche procedure di emersione, quanto per le aziende che si affacciano solo ora al tema scoprendo riflessi interessanti, quanto, infine, per le aziende che incontrano la sostenibilità solo in qualità di anelli della supply chain, ma che cavalcando l’obbligo possono svilupparne le opportunità.
Da non dimenticare su questi aspetti il ruolo del sindacato. Ogni tipologia di transizione richiede necessariamente il pieno appoggio della popolazione aziendale, che, si presume, sia determinata a trarre il massimo vantaggio da nuovi percorsi di reskilling e upskilling, eppure ogni processo di cambiamento porta con sé dei rischi che le organizzazioni sindacali guardano sempre con mal celata diffidenza. Il rischio di non ricevere massima disponibilità al cambiamento da parte di personale storicamente votato a specifiche mansioni, svolte con reiterate modalità obsolete, così come lo spauracchio esuberi, sempre latente e pronto a scatenarsi quanto il cambiamento si presenta imponente, cristallizzano la ferrea posizione sindacale. Interessante in argomento lo studio Next Step: Transition – New competences for workers[3], che dimostra chiaramente l’attuale staticità del sindacato sul tema nel nostro Paese.
Oltre ai contenuti incerti e al percorso legislativo spoglio, anche gli attori sembrano, quindi, al momento indefiniti, terreno fertile per la fantasia dei consulenti, i quali, fino a quando non si delineerà un aspro perimetro sanzionatorio (forse è solo questione di tempo), potranno sfogare il proprio infinito estro.
[1] Risposta a interpello n. 329/E/2022, risposta a interpello n. 421/E/2023.
[2] Per i curiosi consiglio il dossier atto del Governo 160 di luglio 2024, che illustra il decreto legislativo di recepimento recentemente approvato (CdD10/6/2024).
[3] Per un approfondimento del progetto si veda S. Negri, S. Prosdocimi, “La giusta transizione energetica: un progetto comparato in Italia”, Spagna, Bulgaria e Belgio, in Boll. Adapt 1° luglio 2024.