16 Maggio 2024

Le tutele del whistleblower

di Evangelista Basile Scarica in PDF

Con la sentenza n. 12688 dello scorso 9 maggio 2024, la Cassazione ha ribadito che in tema di pubblico impiego privatizzato, la segnalazione ex articolo 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001 (cd. “whistleblowing”) sottrae alla reazione disciplinare del datore di lavoro tutte quelle condotte che siano funzionalmente correlate alla denunzia dell’illecito, risultando riconducibili alla causa di esonero da responsabilità disciplinare di cui alla norma citata.

La vicenda trattata dalla Cassazione trae origine dal licenziamento per giusta causa intimato ad un dirigente pubblico, per non aver curato l’impugnativa di un avviso di accertamento di importo pari a circa 4 milioni di euro, notificato alla datrice di lavoro.

Ritenuto legittimo il licenziamento da parte dei giudici di merito, il dirigente ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando in particolare che questi avessero sorvolato completamente la contestazione della nullità del licenziamento in quanto irrogato in violazione dell’articolo 54-bis, D. Lgs. 165/2001 (TUPI), ignorando del tutto l’applicabilità della disciplina del whistleblowing ivi contenuta, che avrebbe invece dovuto essere presa in considerazione alla luce delle segnalazioni all’autorità anticorruzione e alla procura regionale aventi ad oggetto le violazioni di legge poste in essere dai vertici aziendali, presentate negli anni dal lavoratore.

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso, evidenziando come la competenza del lavoratore a gestire il contenzioso fiscale oggetto di contestazione disciplinare, di fatto, non emergesse con chiarezza dalle sue attribuzioni, né risultava chiaro quali azioni avrebbe dovuto porre in essere per fronteggiare la situazione. In secondo luogo, la Suprema Corte ha ritenuto fondati i rilievi del ricorrente attinenti all’omessa valutazione da parte della Corte Territoriale della sua attività whistleblowing, correttamente esercitata ex articolo 54bis, D. Lgs. 165/2001 (TUPI). Peraltro, alcune delle denunce presentate avevano ad oggetto proprio le condotte poste in essere dal Direttore che parte ricorrente riteneva competente per la gestione dell’avviso di accertamento ricevuto dalla società.

Pertanto, riprendendo la propria consolidata giurisprudenza, la Corte di Legittimità ha chiarito che, riguardo al licenziamento ritorsivo, la decisione di dichiararne la nullità dipende dalla verifica che la ritorsività abbia giocato un ruolo esclusivo e determinante nella volontà di risolvere il rapporto di lavoro, anche in confronto ad altri eventi rilevanti per la configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di licenziamento.

Conseguentemente, la Cassazione, richiamando l’orientamento già espresso con la pronuncia n. 14093 del 2023, ha escluso la possibilità, per il datore di lavoro, di avere qualsiasi tipo di reazione disciplinare nei confronti del lavoratore che abbia sporto una segnalazione ai sensi dell’articolo 54-bis del D. Lgs. n. 165/2001 (TUPI), e questo, relativamente a qualsiasi condotta che sia funzionalmente correlata alla denuncia effettuata, e anche se tale condotta avesse un rilievo penale. Infatti, secondo la Corte, qualsiasi condotta posta in essere in funzione dell’esercizio whistleblowing è riconducibile alla causa di esonero da responsabilità disciplinare di cui alla norma invocata.

Nel caso di specie la Corte ha ritenuto che, sebbene il fatto omissivo contestato al lavoratore non avesse attinenza specifica alla segnalazione da lui effettuata, comunque la valutazione della reazione disciplinare doveva essere valutata alla luce del contesto in cui si inseriva e soprattutto alla luce delle denunce effettuate dal lavoratore in quel periodo.

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