Le condotte extralavorative possono condurre al licenziamento
di Evangelista Basile Scarica in PDFCon sentenza n. 4502 del 20 febbraio 2024, la Cassazione si è pronunciata sulla rilevanza delle condotte extralavorative sul rapporto di lavoro. La vicenda nasce da una pronuncia della Corte di Appello di Lecce, che a sua volta ha confermato la decisione del Tribunale, che ha ordinato la reintegrazione di un dipendente licenziato da una società operante nel settore della raccolta di rifiuti solidi urbani, nonché il pagamento di una indennità risarcitoria.
La società aveva licenziato il dipendente in base alla scoperta di procedimenti penali pendenti nei suoi confronti, presumendo un rischio di infiltrazioni mafiose nell’azienda, in quanto la stessa società aveva rapporti esclusivamente con le Pubbliche Amministrazioni e doveva vigilare affinché la sua organizzazione fosse libera da elementi contigui alla criminalità organizzata. Il dipendente, tuttavia, impugnando il licenziamento, contestava l’assenza di una valutazione specifica dell’incidenza negativa dei procedimenti penali sulla sua effettiva prestazione lavorativa e sulla sicurezza dell’azienda.
La Corte di Appello, interpellata a seguito della soccombenza della società nel procedimento di primo grado, ha quindi respinto il motivo di appello della società, sottolineando che la giusta causa di licenziamento non poteva basarsi esclusivamente sui procedimenti penali pendenti, senza una valutazione precisa dei loro effetti sulla prestazione lavorativa e sulla permeabilità dell’azienda alle infiltrazioni mafiose. La società ha, quindi, proposto ricorso in Cassazione, contestando l’applicazione della giusta causa di licenziamento e sostenendo che le condotte extra lavorative del dipendente, anche se risalenti nel tempo, erano giuridicamente rilevanti per il datore di lavoro e idonee a ledere il vincolo fiduciario tra le parti.
Tuttavia, la Corte Suprema ha respinto i motivi di ricorso, confermando l’interpretazione della Corte di Appello. Ha ribadito che le condotte costituenti reato possono integrare giusta causa di licenziamento anche se commesse prima dell’instaurazione del rapporto di lavoro, ma devono essere state giudicate con sentenza irrevocabile e dimostrarsi incompatibili con il vincolo fiduciario del rapporto lavorativo. Pertanto, la Cassazione ha confermato la decisione di reintegrazione del dipendente e ha respinto il ricorso della società, condannandola al pagamento delle spese processuali.
Sullo stesso tema, la Corte di Cassazione si è pronunciata anche con la sentenza n. 4458, nel caso di specie, la Corte territoriale aveva dichiarato la nullità del licenziamento intimato per giusta causa nei confronti di un dipendente, motivato dal fatto che quest’ultimo era stato condannato con sentenza definitiva per il reato di associazione mafiosa ex articolo 416-bis c.p. Tuttavia, tale condanna era intervenuta nel 2009 e si riferiva a fatti commessi tra il 1989 e il 1994, mentre il rapporto di lavoro si era instaurato solo nel 2016 e, nel periodo intercorrente tra la data di assunzione e quella di licenziamento (avvenuto nel 2019) non vi erano mai stati episodi di rilevanza disciplinare, tantomeno collegabili al reato di cui sopra.
Anche in tal caso, secondo la Corte, non sussistono i requisiti indicati nel principio di diritto. Infatti, le condotte costituenti reato si erano verificate molto prima dell’instaurazione del rapporto di lavoro e lo stesso valeva per la sentenza passata in giudicato, che risaliva a ben 7 anni prima dell’assunzione presso la società ricorrente in Cassazione. Allo stesso tempo, la condanna, seppur per fatti molto gravi, non aveva dato seguito a comportamenti di rilevanza disciplinare, tale per cui non era possibile sostenere che gli eventi criminosi avessero in qualche modo inciso vincolo fiduciario tra datore e lavoratore. È interessante, in questo senso, anche quanto sostenuto prima facie dalla Corte d’Appello, che ha sottolineato il diritto anche del pregiudicato a reinserirsi nella società, espletando un lavoro onesto, mentre consentire di licenziare qualcuno solo perché pregiudicato, senza valutazioni in ordine alla compromissione dei successivi adempimenti, significa impedire il reinserimento del condannato, che invece il nostro Stato favorisce all’articolo 27, Costituzione.